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Con Trump una nuova età dell’oro? Il commento dell’amb. Castellaneta

La parola chiave del futuro presidente è dazi. Ma con l’economia americana così dipendente dalle importazioni potrebbe penalizzare i consumatori a basso reddito. Per l’Europa il tema è il surplus commerciale. Per l’Italia circa 40 miliardi di euro. Il commento di Giovanni Castellaneta, già ambasciatore italiano negli Stati Uniti

Sono passate poco più di 24 ore dalla vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali. Ma si è già detto e scritto di tutto su quello che gli Stati Uniti – e il resto del mondo – si potranno aspettare dal ritorno alla Casa Bianca di “The Donald”. Un aspetto sul quale varrebbe forse la pena soffermarsi è un passaggio del discorso di Palm Beach del leader repubblicano. Ha promesso una nuova golden age (età dell’oro) per gli Stati Uniti. Potrà essere davvero così? E a quali condizioni? Quale sarà il prezzo da pagare per gli altri Paesi per consentire a Washington di godere di un periodo di rafforzata e diffusa prosperità e senza parlare per ora delle conseguenze sulle due guerre in corso, in Ucraina e Medio Oriente sulle rivendicazioni della Cina su Taiwan e sulle tensioni nel Sudest asiatico e in Africa?

Innanzitutto, bisognerebbe partire da un dato inoppugnabile: la campagna elettorale del ticket composto da Trump e JD Vance è stata in parte costruita sulla base di percezioni negative, sapientemente alimentate dai social media, spesso in contrasto con la realtà dei dati oggettivi. L’ormai prossimo 47° presidente ha lasciato credere che gli Stati Uniti si trovassero in una pesante crisi economica causata dall’amministrazione Biden. In realtà, il prodotto interno lordo degli Stati Uniti è quello che è cresciuto di più in tutto l’Occidente, tanto che per il 2024 si prevede un +2,8% (rispetto al ben più misero +0,8% dell’Italia e della stagnazione in Germania). La disoccupazione è ai minimi storici, intorno al 4%. L’inflazione sta tornando finalmente sotto controllo, tanto che la Federal Reserve ha iniziato a tagliare i tassi di interesse.

E allora? Trump ha saputo parlare alla gente delle loro difficolta quotidiane dalla spesa alimentare con il prezzo del cartone delle uova che è triplicato alla difficoltà a ottenere il mutuo per la prima casa dove mettere su famiglia. Ha fatto leva sul reale problema dell’economia statunitense: le disuguaglianze sempre più accentuate e la transizione a un sistema produttivo molto sbilanciato sul terziario ad alto valore aggiunto che ha lasciato alcune aree del Paese a vocazione manifatturiera esposte alla feroce competizione di Paesi come la Cina. La Bidenomics ha tentato di affrontare in parte questi problemi, mantenendo i dazi commerciali verso Pechino e varando un programma di incentivi ambizioso come l’Inflation Reduction Act con il tentativo di ravvivare le industrie americane, ma il risultato è a oggi incompleto.

Dunque, come intende Trump portare gli Stati Uniti a una situazione di leadership economica ancora superiore rispetto a quella odierna? La parola chiave sembra ancora: dazi.

Il futuro presidente ha minacciato la Cina di imporre tariffe aggiuntive del 100%, mentre anche l’Unione europea non dovrebbe venire risparmiata, con barriere commerciali innalzate tra il 10 e 20% su tutti i prodotti. In parallelo, la nuova amministrazione promette di abbassare le tasse e di sostituire (almeno in parte) gli introiti delle minori tasse sul reddito con quelli provenienti dai maggiori dazi. Un approccio quantomeno rischioso, che rischia di ridurre fin troppo drasticamente le entrate federali seppure a fronte della promessa di tagliare significativamente la spesa pubblica e dei ministeri. Il rischio è quello di tagliare eccessivamente le entrate federali senza riuscire a garantire i servizi ai cittadini, soprattutto alle fasce più deboli della popolazione che già oggi sono rese fragili da un sistema di welfare che non è paragonabile a quelli europei. Inoltre, per un’economia come quella statunitense così dipendente dalle importazioni, un aumento brusco dei dazi potrebbe far crescere nuovamente l’inflazione rendendo più cari i beni stranieri finendo per penalizzare, ancora una volta, i consumatori a basso reddito. Per non parlare dei rischi per le politiche di concorrenza, considerando l’enorme potere che Elon Musk con le sue aziende (dai social media all’automotive passando per l’aerospazio) potrebbe consolidare. Insomma, non è detto che ci siano i presupposti per una nuova età dell’oro.

Come dovrebbero reagire l’Europa e l’Italia di fronte a queste prospettive? Il forte rischio è che il surplus commerciale vantato nei confronti degli Stati Uniti venga progressivamente eroso (solo per l’Italia vale circa 40 miliardi di euro). Occorre un approccio pragmatico, teso a intercettare l’atteggiamento transazionale e tipicamente da uomo d’affari di Trump, nel tentativo di minimizzare i danni. Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, può diventare un punto di riferimento a livello europeo: oltre a essere leader di un governo di centrodestra, è a capo dell’esecutivo attualmente più stabile tra i grandi Paesi dell’Unione europea. L’Italia potrebbe dunque avere davanti a sé una finestra di opportunità da sfruttare, anche per stimolare un approccio compatto nei confronti della Casa Bianca. Mai come nei mesi che stiamo per vivere sarà necessario per l’Europa agire con una voce sola.



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