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Sergej Aleksandrovič Esenin

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Sergej Aleksandrovic Esenin (1895 – 1925), poeta russo.

Sergej Esenin

Citazioni di Sergej Esenin

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  • Blok invece mi apprezzò subito... Eh, gli volevo bene ad Aleksandr Aleksandrovič! Ne ero innamorato addirittura.[1]
  • È forse possibile riferirsi alla memoria di Blok senza devozione? Io, Esenin, ho per essa una vera devozione.[1]
  • Guardando Blok cominciai a sudare, perché era il primo poeta vivo che vedevo.[1]
  • [Da una lettera a Griša Panfilov] Il destino si sta divertendo a giocare con me.[1]
  • [Da una lettera a Griša Panfilov] Non riesco a capire come mai la nostra vita debba essere così, e cioè vivere e non sentirsi vivi, non sentire la propria anima [...]. Ricorrerò a qualunque mezzo, pur di svegliarmi. Vivere in questo modo, dormendo e prendendo coscienza solo per qualche attimo, è troppo disgustoso.[1]
  • Sono felice per aver baciato le donne, | calpestato i fiori, giaciuto sull'erba. | E per non avere mai picchiato sulla testa | gli animali nostri fratelli minori.[2]

Russia e altre poesie

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  • Al cavallo imbrigliato dal cavo delle mani, | tu davi da bere, si specchiavano nello stagno le betulle | guardavo dalla finestra l'azzurro fazzoletto, | faceva il vento ondeggiare i riccioli come serpenti. | Volevo nello scintillio della schiumosa corrente | strappare un bacio alle tue rosse labbra. (da Imitazione di un canto)
  • Al mondo non si fa altro | che cantare e ricantare l'amore. | E anch'io in un tempo lontano l'ho fatto | e ancora, e di nuovo, | perché hanno un respiro profondo | le parole della tenerezza. | Se l'anima davvero potesse amare | il cuore si muterebbe in una zolla d'oro. | Eppure so che non basta | la tiepida luna di Teheran a riscaldarmi. (da Diletta, le tue mani – due cigni)
  • Avanti, baciami, baciami tantissimo, | fino al dolore e al sangue. | La fermezza non va d'accordo | con l'onda effervescente del cuore. (da Avanti, baciami, baciami tantissimo)
  • Cantate nel fitto del bosco, uccelli, canterò con voi, | seppelliremo insieme la mia giovinezza. | Il mattino della Trinità, il canone mattutino. | Nel boschetto lungo le rive un bianco scampanare. (da Il mattino della Trinità)
  • Che cosa desiderare sotto il fardello della vita, | maledicendo la mia sorte e la casa? | Io vorrei ora vedere una bella | ragazza sotto la finestra. | Perché lei, con occhi di fiordaliso, | solo a me – | non a qualcun altro – | e con parole e sentimenti nuovi | mi metta la pace nel cuore e nel petto. | Perché solo questa bianca lunarità, | accogliendo una sorte felice, | io non mi sciolga, mi illanguidisca nel comporre una canzone | e con l'allegra giovinezza altrui | non abbia rimpianti per la mia giovinezza. (da Cadono le foglie, cadono le foglie)
  • Come scheletri si alzano le betulle. | E allo stesso modo finiremo anche noi. | Ma poiché non spunta fiore | nel mezzo dell'inverno, | inutile è il rimpianto. (da Che malinconia mentre ti guardo)
  • Dal boschetto è venuto ancora | il cigno blu della notte | portando sulle ali | venerate reliquie. (da Il sorbo si è fatto rosso)
  • Dove sei, felicità? Buio e disgusto, insulto e disprezzo. | Sei nascosta nei campi? Nelle osterie? Non vedo, non vedo. | Ma a tastoni, ecco – con le mani allungate, | la slitta con i cavalli... la neve... un bosco... su, andiamo | "Ehi, guidatore, più in fretta! Mica sono un tipo fiacco, io! | E non mi lagno se per le buche l'anima sussulta." (da La mia gioventù sregolata e gloriosa)
  • Eccola, questa sciocca felicità | con le sue finestre bianche spalancate sull'orto! | Sopra lo stagno, uguale a un cigno purpureo, | naviga silenzioso il tramonto. | Salve, mia pozzanghera d'oro, | e voi betulle capovolte nell'acqua! (da Eccola, questa sciocca felicità)
  • Ed è forse un gioco dilettevole l'amore? | Mi baci, e le tue labbra sono di metallo. (da Non torturarmi con l'indifferenza)
  • Ei tu, Rus', amata mia, | capanne – e icone incorniciate... | non si vede né limite né fine – | solo l'azzurro che succhia gli occhi. | Come un pellegrino che passa, | io guardo i tuoi campi. | E presso i bassi confini | sonoramente seccano i pioppi. | Odora di mele e di miele | nelle chiese il tuo mite Salvatore. | E rimbomba nel girotondo | sui prati la gaia danza. | Correrò sul calpesto sentiero | Verso la libertà dei vecchi solchi, | Mi accoglierà, come suono di orecchini, | il riso di cantanti fanciulle. | Se griderà la santa schiera: | «Lascia la Rus', vivi in paradiso!» | Io risponderò: «Non voglio paradiso, | Lasciatemi la mia terra nativa». (da Ei tu, Rus', amata mia)
  • E mi ha risposto quell'uomo | che all'amore non servono parole | ma cenni silenziosi | e sguardi di zaffiro. | Il bacio non ha nome, | non resta scritto nemmeno sulle tombe. | Il bacio è una rosa sospesa nel vento | e i suoi petali si sfogliano sulle labbra. (da Ho chiesto oggi a un agente di cambio)
  • E non desidero risultato migliore | che affogare i ricordi nel grido della tempesta. | Perché solo nel disordine trovo la forza | di vivere su questa terra. (da Non insultatemi. Ecco la mia tragedia!)
  • E non torturarmi con i divieti, | ti prego, non parlarne nemmeno. | Sono nato poeta | e come poeta voglio baciarti. (da Tu m'hai raccontato che Sadì)
  • E tu, mezzanotte, illumina l'anfora della luna | perché raccolga il latte delle betulle! (da Vagabondo)
  • Guarda questa armata di bottiglie! | Tutti i loro tappi mi servono | per sigillare bene la mia anima! (da La felicità è il premio dei rozzi)
  • Ho appreso a guardare in te | come si guarda in un lago. (da Ochtar, 3)
  • Ho vergogna di aver creduto in Dio, | ma mi duole di non credervi più. (da frammento di poesia non titolata, 1923)
  • I credenti nelle chiese | si ubriacano di eternità. | Ma io do spallate al cielo | e rimescolo la tenebra. (da Oktoich, ottetto della Chiesa)
  • Il sole è spento, nella campagna immensa pace. | Un pastore suona sul corno la sua canzone. | La mandria sembra che ascolti, attenta | il motivo del rustico gamajùn: | è l'eco che rinasce di continuo scorre alle labbra, | conduce la memoria a ignote praterie. | Nell'amore che porto al tuo giorno, al buio delle tue notti, | per te, patria, ho scritto questo canto. (da La mandria)
  • Immaginare qualcosa di nuovo, | di sconosciuto all'erba e alle zolle, | un qualcosa che appartenga solo al cuore | e all'uomo sia impossibile dare un nome. (da I miei sentimenti saranno quasi marci)
  • In ogni cosa viva c'è un'impronta. Segnata a fondo dalla prima età. (da La Russia delle bettole)
  • Io voglio vivere, vivere, vivere | sebbene fra minacce e terrori, | da ladro o da teppista non importa | pur di vedere i topi frusciare allegri nei campi | e ascoltare le rane che inebriate cantano nel pozzo. | Come il fiore del melo, bianca mi esplode l'anima | il vento attizza l'azzurra fiamma dei miei occhi. | Per amor del cielo indicatemi che cosa devo fare, | ditemelo, e io a qualsiasi cosa mi piegherò, | a qualsiasi cosa, pur di frascheggiare nel giardino degli uomini. (da Monologo di Burnov, Pugačëv)
  • La tormenta di neve piange come un violino zigano | e io, ragazza gentile dal sorriso triste, | mi chiedo perché non divento timido sotto il tuo sguardo azzurro. (da La tormenta di neve piange come un violino zigano)
  • La luna, rana d'oro del cielo. (da L'acero antico)
  • O caro amico, ci vedremo ancora, | ché sempre nel mio cuore tu rimani. | Ormai di separarsi è giunta l'ora, | ma promette un incontro per domani. | O caro amico addio, senza parole, | senza versare lacrime o sorridere. | Morire non è nuovo sotto il sole, | ma più nuovo non è nemmeno vivere.[3] (da Congedo)
  • O Russia, terra color lampone | e azzurro caduto nel fiume, | amo fino alla gioia, fino al tormento | la tua tristezza di lago. (da Ha cominciato a cantare il mio carretto rustico)
  • O sole, sole, | Secchio d'oro calato sul mondo, | Raccogli la mia anima | E tirala fuori dall'abisso di supplizi | Del mio paese! | Tutte le mattine, | abbarbicato alla catena dei tuoi raggi, | Do la scalata al cielo, | Per precipitare la sera, lacerato, | Nelle fauci del buio. (da Il libro d'ore del villaggio)
  • O terra dalle piene impetuose, | dalle segrete energie primaverili, | qui sono stato alunno delle stelle | alunno dell'aurora. (da O campi, campi, campi)
  • Paese amato! Il cuore sogna | le biche del sole nel grembo dell'acqua. | Io vorrei perdermi, | nei tuoi spazi verdi di cento campane. (da Paese amato! Il cuore sogna)
  • Pantani e paludi, | azzurro fazzoletto del cielo. | Il dorato degli aghi di pino | il bosco fa risuonare. | Trilla la cincia | tra i riccioli del bosco, | sognano gli oscuri abeti | lo schiamazzo dei falciatori. | Se ne vanno i carri | scricchiolando sul prato – | di tiglio un po' secco | hanno odore le ruote. | Ascoltano i salici | il fischiettare del vento... | tu mio paese dimenticato, | tu paese mio materno!... (da Pantani e paludi)
  • Pegno di un destino non lieto | è questo cuore infelice di poeta. (da Tu sei così semplice, come tutte)
  • Piano in una forra di ginepri contro un dirupo | l'autunno – fulva giumenta – si pettina la criniera | sul tappeto fluviale delle rive | si sente l'azzurro stridio dei suoi ferri. | Il vento-eremita con cauto passo | calpesta il fogliame sulle sporgenze delle strade | e bacia un cespuglio di sorbo | le rosse ulcere di un invisibile Cristo. (da Autunno)
  • Qualcuno, con tenerezza primaverile, | ha spento nella nebbia turchina il mio pianto | per una terra di sogno | sconosciuta e bellissima. | E questo silenzio di latte non mi opprime, né la paura delle stelle. | Amo il mondo e l'eterno | come il focolare dove sono nato. (da Non è passato invano il sibilo dei venti)
  • Quanti pensieri chiusi nel segreto, | quante canzoni composte a bassa voce: | Ma sì, felice sono in questo nero universo | d'ogni respiro, d'ogni cosa vissuta. | Felice di aver baciato le donne, | pestato i fiori, corso nell'erba, | e mai aver battuto sul capo le bestie | nostri fratelli minori. (da Noi ce ne andiamo adesso a poco a poco)
  • Sento la radunica di Dio – | non invano io vivo, | mi inchino presso i margini delle strade, | mi prostro sull'erba. | Fra i pini, fra gli abeti, | fra le collane ricciolute delle betulle, | sotto la coroncina, in un anello di spine, | mi compare davanti Isús. | Egli mi chiama nei querceti, | come nel regno dei cieli, | e splende nel suo broccato lilla | il bosco coperto dalle nubi. | Lo spirito di colomba viene da Dio, | come una lingua di fuoco, | ha invaso la mia strada, | ha soffocato il mio debole grido. | Fluisce la fiamma nell'abisso della visione, | nel cuore c'è la gioia dei sogni infantili, | io credo fin dalla nascita | nel mantello protettivo della Madre di Dio. (da Sento la radunica di Dio)
  • Solo te posso amare, Russia, | mio dolce paese | che hai gioia breve e violenta | nelle sonore canzoni di primavera sui prati. (da Russia, 5)
  • Tutto ciò che vive reca da gran tempo | una sigla particolare. | Se non fossi poeta | sarei senza dubbio un ladro e un mascalzone. | Fragile, di aspetto gentile, | il più scatenato dei monelli, | arrivavo a casa spesso, troppo spesso davvero, | col viso sanguinante; | e a mia madre allarmata | sussurravo tra le labbra vermiglie: | "Cosa da niente. Ho inciampato in un sasso, | domani certo sarò guarito". | Adesso che è scomparso | il furibondo ardore di quei giorni | altre forze irrequiete, insolenti, | si riversano nella mia poesia... | come allora, pieno di audacia e di orgoglio, | mi tiro dietro qualcosa di nuovo a ogni passo. | E se da ragazzo non mi spaccavano che il volto, | tutta la mia anima oggi è nel sangue. | E più non parlo alla madre | ma a una plebaglia sghignazzante e ostile: | "Cosa da niente. Ho inciampato in un sasso, | domani certo sarò guarito. (da Tutto ciò che vive reca da gran tempo)

Confessioni di un teppista

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  • Non tutti possono cantare, | Non tutti possono cadere | Come una mela ai piedi del prossimo. || Questa è la confessione più grande | Per un teppista.
Не каждый умеет петь, | Не каждому дано яблоком | Падать к чужим ногам. | Сие есть самая великая исповедь, | Которой исповедуется хулиган. (Исповедь хулигана)
  • O luce azzurra, immensamente azzurra, | In te è bello anche morire. | E non importa se mi prendono per un cinico | Che tiene un lume sopra le spalle. | Vecchio, buono, sfiancato Pegaso, | Mi serve forse il tuo trotto cadente? | Professionista-canaglia, sono venuto | a cantare i topi e a celebrarli. | E il mio capo che somiglia all'agosto | In vino di capelli tumultuosi si riversa. || Io voglio essere una vela d'oro | Per quella terra verso cui navighiamo.
Синий свет, свет такой синий! | В эту синь даже умереть не жаль. | Ну так что ж, что кажусь я циником, | Прицепившим к заднице фонарь! | Старый, добрый, заезженный Пегас, | Мне ль нужна твоя мягкая рысь? | Я пришел, как суровый мастер, | Воспеть и прославить крыс. | Башка моя, словно август, | Льется бурливых волос вином. | Я хочу быть желтым парусом | В ту страну, куда мы плывем. (Исповедь хулигана)
  • Teneramente malato di memorie infantili | Sogno la nebbia e l'umido delle sere d'aprile.
Я нежно болен вспоминаньем детства, | Апрельских вечеров мне снится хмарь и сырь. (Исповедь хулигана)

Inonia

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  • E a te, America, remota | metà della terra, io dico: | guardati dal varare navigli di ferro | sui mari del dubbio. | Non umiliare i campi con arcobaleni | d'acciaio, né i fiumi col cemento. (v. 3)
  • E dall'oscuro precipizio, | perché l'intero universo ne accolga lo schianto, | come un raggio di luce | infilerò nella valanga il mio capo ornato di stelle.
  • Io non avrò paura della morte: | Indifferente potrò affrontare una pioggia di frecce. | Così, secondo la bibbia, | Parla Sergej Esenin, il profeta. | Il mio tempo è arrivato, | non mi ferisce il sibilo della frusta, | e il corpo di Cristo, ecco, | ve lo rendo dalla bocca con uno sputo. | Non devo inchini | alle sue sofferenze e alla sua croce: | sogno un altro vangelo | di pianeti che forano lo spazio eterno. | Vedo prossimo un regno | dove la fede non è corrotta da terrori di morte.
  • Libero la tua gente dall'attesa inerte: | le darò coraggio e potenza | perché nella prima luce dell'alba | fecondi col sole il buio della notte.

In quel paese della gialla ortica

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  • Di nascosto io accarezzo un sogno, | quello di avere un cuore puro. | Ma anch'io sgozzerò qualcuno | al fischio dell'autunno. | E così al soffiare del vento, | su quella stessa strada sabbiosa, | mi condurranno con una corda al collo | ad amare la tristezza. | E quando passando vicino con un sorriso | io raddrizzerò il mio petto, | il maltempo con la sua lingua leccherà | la strada da me vissuta.
  • Sono tutti assassini o ladri | così come ha voluto il destino. | Mi sono innamorato dei loro sguardi tristi | delle guance incavate.

La colombina del Giordano

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  • O mia patria d'oro! | In autunno lucente cattedrale!
  • Vai, vola, non ti angosciare, | per ogni cosa c'è un tempo e una sponda. | Le canzoni recano un vento | che risuonerà nei secoli.

L'uomo nero

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  • Amico mio, amico mio, | Sono molto molto malato. | Io stesso non so da dove mi venga questo male. | Se sia il vento che sibila | Sul campo vuoto e deserto, | forse, come a settembre al boschetto, | È l'alcool che sgretola il cervello. || La mia testa sventola le orecchie, | Come fa un uccello con le ali. | La mia testa non è più capace | Di ciondolarsi sul collo. | Un uomo nero, | Nero, nero, | Un uomo nero | Si siede sul mio letto, | Un uomo nero | Non mi lascia dormire per tutta la notte.
Друг мой, друг мой, | Я очень и очень болен. | Сам не знаю, откуда взялась эта боль | То ли ветер свистит | Над пустым и безлюдным полем, | То ль, как рощу в сентябрь, | Осыпает мозги алкоголь. || Голова моя машет ушами, | Как крыльями птица. | Ей на шее ноги | Маячить больше невмочь. | Черный человек, | Черный, черный, | Черный человек | На кровать ко мне садится, | Черный человек | Спать не дает мне всю ночь. (Черный человек)
  • È morta la luna. | Azzurreggia alla finestra l'alba. | Ah tu, notte! | Che m'hai combinato, notte? | Me ne sto in piedi qui col mio cilindro. | Non c'è nessuno con me. | Sono solo... | Con uno specchio in frantumi...
Месяц умер, | Синеет в окошко рассвет. | Ах ты, ночь! | Что ты, ночь,| наковеркала? | Я в цилиндре стою. | Никого со мной нет. | Я один... | И – разбитое зеркало... (Черный человек)
  • Tra bufere e tempeste, | nel freddo della vita d'ogni giorno, | nei dolori più gravi, | quando si è disperati | sorridere | è l'arte suprema del mondo.
В грозы, в бури, | В житейскую стынь, | При тяжелых утратах | И когда тебе грустно, | Казаться улыбчивым и простым – | Самое высшее в мире искусство. (Черный человек)
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  • Canterò, canterò, canterò! | Senza offendere niente di ciò che vive. | Se c'è spazio per il rimpianto | significa che un tempo abbiamo sorriso. | Noi tutti portiamo in tasca la mela della gioia | e in bocca il fischio del bandito. (v. 5)
  • Navigate, uomini, tentate le altitudini | e di là riversateci addosso un allegro gracidio di corvi. | Presto dall'albero bianco cadrà appassita | la bionda foglia della mia testa.

O paese di piogge e maltempo

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  • O paese di piogge e maltempo, | nomade silenzio, | come una pagnotta di grano sotto la volta | è spezzata la tua luna.
  • Vortica e danza il fumo della palude... | ma sul tappeto di tenebra cantante | di animalità indicibile | sono imbevuti i tuoi colli.

Russia sovietica

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  • Chi devo chiamare? Con chi posso dividere | la triste gioia di essere vivo?
  • E già viene la sera. Il tramonto | innaffia i campi d'oro liquido | e i pioppi, simili alle mucche dello stagno, | hanno bagnato nei fossi i piedi scalzi.

Sorokoust, requiem

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  • Tra poco il gelo coprirà il paese | e queste campagne. Dove, | dove salvarsi dalla sfortuna? | Non c'è più un luogo per sfuggire al nemico | che avanza con il suo ventre d' acciaio. | Eccolo, viene dalle valli con cinque dita aperte. (v. 1)
  • Cari, cari piccoli illusi, | perché vi affannate a correre così? | Non sapete dunque che i cavalli di carne e di sangue | sono vinti dai cavalli di ferro? (v. 3)

Citazioni su Sergej Esenin

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  • A Pietroburgo c'è Esenin, sentimentale come un pensionato e con idee ingarbugliate, ma certo un talento incontestabile. (Nina Nikolaevna Berberova)
  • Da sobrio Esenin era timidissimo. Quando c'era gente non mangiava quasi mai. Nascondeva le mani, gli sembravano brutte. Si è molto parlato della sua brutalità verso le donne. Io non ne ho mai riscontrato la minima traccia.[1] (Avgusta Miklaševskaja)
  • [Dal Pianto per Esenin scritto per la morte dell'amico] È forse vero che nei sentieri russi | crescono fiori più azzurri dei tuoi occhi? (Nikolas Kliuev)
  • Egli era il Beato Angelico dei campi.[4] (Lunaciarskij)
  • Egli può bestemmiare ma è capace di piangere davanti alla bellezza di un'aurora. (Stanislas Fumet)
  • Esenin, come cento anni prima di lui Aleksandr Puskin, possedeva dei doni rarissimi: l'eterna giovinezza, la naturalità, la grazia, una specie di irraggiamento d'innocenza, un amore spontaneo, direi animale, per la vita e le creature.[4] (Sophie Lafitte)
  • Esenin era sempre circondato da satelliti. La cosa più triste di tutte fu vedere, di fianco a Esenin, un gruppo casuale di uomini che non avevano nulla a che fare con la letteratura, ma a cui semplicemente piaceva (e piace ancora) bere la vodka di qualcun altro, crogiolarsi nella fama di qualcun altro, e nascondersi dietro l'autorità di qualcun altro. Non fu attraverso questo sciame nero, tuttavia, che morì, lui li trasse a sé. Sapeva quel che valevano; ma nel suo stato trovò più facile stare con persone che disprezzava. (Il'ja Grigor'evič Ėrenburg)
  • [Sei giorni prima della morte] Feci per accomiatarmi. Non volevo salire. [...] Cercava di convincermi con una sorta d'ansia, quasi di paura. [...] Una volta a casa sua, la conversazione stentò: non facevamo che passare da un argomento all'altro, oppure restare a lungo in silenzio... Feci qualche tentativo di andarmene, ma ogni volta Sergej saltava su trattenendomi, e intanto la sua inquietudine non faceva che aumentare. – Non te ne andare. Se sei stanco, mettiti pure a dormire. [...] Voleva aver compagnia fino al mattino. Aveva paura. Il suo terrore della solitudine era tanto forte che quando, verso le sei del mattino, me ne andai, svegliò sua sorella e la convinse a stargli vicina. – Siediti qui sul divano. Ti leggo qualche poesia.[5] (Evgenij Sokol)
  • Gridava anche lui, ebbro di Dio, non di vino. Con le lacrime agli occhi, sferrava pugni non sul tavolo ma sul proprio petto, e sputava non sull'altrui, ma sulla propria faccia. (Marc Chagall)
  • La forza di Esenin stava nel tono emotivo della sua lirica. Un'emozione poetica ingenua, ancestrale, e perciò straordinariamente vitale. (Jurij Tynianov)
  • Ma c'è in Esenin, evocatore di ritmi, luci, colori, odori, un'altra realtà; l'infanzia del suo linguaggio con immagini strappate ad ogni spirale logica e segni, quasi discografia distorta, che sfuggono alle architetture sintattiche abituali... "Io non sono un mercante di parole", scrive in una sua lirica, quasi a voler stringere i propri giudici su un terreno di humus sacrale, in un prodigio di itinerari ignoti alla cifra grafica. (Salvatore Quasimodo)
  • Mi trovai davanti ad un Esenin diverso da quello comunemente conosciuto, dal sorriso cordiale uguale per tutti; quella non era la faccia del baldo giovanotto dai riccioli d'oro, bensì il volto vivo, autentico e creatore di un poeta; un volto lavato dal gelo della disperazione, improvvisamente rinvigorito dal dolore e dallo spavento di fronte al proprio riflesso. [...] Davanti a me c'era un uomo, un collega, un poeta che si trovava per la prima volta di fronte alla propria distruzione e che stringeva la mia mano solo per sentirne il calore umano. È questo l'Esenin che io piango. (Nikolaj Nikolaevič Aseev)
  • Nella primavera del 1918 conobbi Esenin a Mosca. Aveva un fisico attraente, proporzioni armoniose, i gesti calmi ma decisi, ed un viso non tanto bello quanto simpatico. La cosa che mi piacque di più in lui fu la sua allegria, lieve, vivace, ma mai chiassosa o violenta. Era molto ritmico. Ti guardava dritto negli occhi, dandoti subito l'impressione di essere una persona sincera, e sicuramente un ottimo amico. (Vladislav Chodasevič)
  • Sergej Esenin, il poeta arcangelo-contadino che passò attraverso il bene e il male dell'esistenza per lasciarci un dolce messaggio. (Mario Rigoni Stern)
  • I suoi poemetti rivoluzionari a me sembrano piuttosto bellissimi inni sacri, mi sembrano i capitoli di una "bibbia" eseniana di cui Sergej è il profeta. E poi la sua morte, costantemente considerata un suicidio e che, quasi certamente, suicidio non fu. [...] La voce del suo canto continua a risuonare anche oggi, nella sua sturggente bellezza.
  • La poesia di Esenin è profondamente religiosa (non certo clericale) nel senso più autentico della parola. [...] In realtà Esenin era, per così dire d'istinto, un "animista", e questo animismo (certo una forma originaria di paganesimo) era mescolato con il suo cristianesimo ortodosso. [...] L'ortica su cui luccica la rugiada [...] accompagna il poeta in tutto il suo cammino, in compagnia delle altre sorelle piante e dei fratelli animali. Sorelle e fratelli: Esenin è un poeta, in questo senso, "francescano".
  • Se dovessi sintetizzare in due parole il mondo di Esenin, userei proprio le due parole tenerezza e angoscia. O anche tenerezza e disperazione. [...] Egli visse come una candela accesa dai due lati.
  • Anche il suo abbigliamento, le sue abitudini e il suo modo di comportarsi denotavano l'aspirazione a trasformare un'esistenza assurda e scapigliata in favola popolare, nel vascello contadino di Cristo. [...] Egli era posseduto da un delirio d'amore per le stagioni antiche dell'animismo messianico; nessuno aveva mai lodato come lui la vita della campagna. E quel vento malandrino che solleva la veste alle betulle, la luna che abbandona le briglie come un cavaliere malinconico [...], quanta verità svelavano nella loro straordinaria invenzione immaginifica. [...] Era convinto che la fedeltà ai riti antichi avrebbe conservato alla Russia la sua tradizionale santità. [...] Estero era per lui l'urbanesimo, il funzionalismo, la città ferrigna, la morte dell'anima, era tutto ciò che Majakovskij e i cubofuturisti amavano e desideravano si avverasse in Russia.
  • C'erano poeti, allora, che erano cavalli da tiro come Majakovskij. Esenin sembrava un angelo caduto sulla terra per caso, a parte il carattere che forse di angelo non era e fu notevolmente peggiorato dal contatto con la città. Aveva il passo leggero, sapeva danzare con grazia – alla russa – la sua timidezza nascondeva una grande voracità di gloria, era volubile, ingenuo, istintivo, malinconico, depresso, elegante, bello – anzi bellissimo. Slanciato, profilo gentile, gli occhi di un azzurro intenso, e i capelli d'oro a boccoli. Da piccolo, lo vestivano da bambina. [...] Dal 1880 al 1893 avevano visto la luce Aleksandr Blok, Andrej Belyj, Velimir Chlebnikov, Nikolaj Gumilëv, Vladislav Chodasevič, Nikolaj Kljuev, Igor Severjanin, Anna Achmatova, Boris Pasternak, Osip Mandel'stam, Marina Cvetaeva, Majakovskij... un firmamento poetico affollato di stelle dove non sarebbe stato facile brillare.
    [...] egli era però il solo che provenisse dalla campagna – gli altri erano figli di professori universitari, di ingegneri, di commercianti, di militari, vivevano nelle città e molti di essi avevano viaggiato per l'Europa. Era il solo che avesse assimilato le usanze, i costumi, le tribolazioni trascendentali del popolo russo, indissolubilmente legate a un sentimento di adorazione e rassegnazione religiose.
  • Ejzenstein in un suo spettacolo, lo aveva rappresentato con un costume diviso in due parti: mezzo pastorello in camicia con brachesse e stivali, e mezzo damerino in abito da sera, tal quale egli si descrive nel poema L'uomo nero. Da una parte le radici e il rimpianto, dall'altra il frequentatore di night-club e teatri, il mettiscandali internazionale. Può apparire un'interpretazione superficiale per un poeta che scrisse sempre in limine mortis; ma è una bipolarità che, a grandi linee, ribadisce il tanto discusso dissesto dell'io eseniano. [...] Aveva le tasche gonfie di versi. [...] Il demone del canto lo aveva afferrato da giovanissimo, lo teneva in pugno e lo scrollava come un albero.
  • Tinta d'oro come una pittura bizantina, la Russia di Esenin appartiene a uno schema del cuore che si prolunga oltre il fatto poetico, e per questo diventa mito.[...] Ricorda Viktor Šklovskij che quell'«arcangelo contadino» passato tragicamente attraverso la poesia russa, sembrava guardare sempre dietro un vetro oleato. [...] Ripeteva spesso un verso di Puskin: «Dio mi ha condannato a morire sulla strada...»
  • Del bel cherubino ricciuto rimanevano soltanto gli occhi chiarissimi, ma anche quelli sembravano sbiaditi, come per effetto di un sole troppo violento. Il loro sguardo irrquieto scorreva sui volti della gente con espressione mutevole, ora arrogante e strafottente, ora invece incerta, smarrita e diffidente. Ebbi l'impressione che ce l'avesse con la gente in generale. E si vedeva che beveva. [...] Le sue mani erano irrequiete e snodate ai polsi come quelle di un tamburino. E inoltre era angosciato, distratto.
  • Ho sentito recitare Esenin e ne sono stato commosso fino alle lacrime... Possedeva una tale intensità di sentimento e una così perfetta e coinvolgente maniera di porgere... che si trasfigurava. Alla fine non fui nemmeno capace di esprimergli il mio grazie perché avevo un nodo in gola che mi impediva di parlare. In quel momento non ho potuto fare a meno di pensare che Esenin più che un uomo era uno strumento musicale creato dalla natura esclusivamente per la poesia, per esprimere amore a tutto ciò che vive e respira, e implorare misericordia per la fragilità degli uomini.
  • Tutto di lui: la voce roca e rotta, i gesti incerti, il corpo oscillante, la fiamma della disperazione negli occhi, tutto era come doveva essere nelle circostanze attuali della sua vita. [...] Si prese la testa fra le mani e incominciò a recitare la Canzone della cagna. E quando disse i due ultimi versi anche i suoi occhi si riempirono di lacrime.
  • Egli ha un rublo in tasca e un tesoro nell'anima.
  • Rievocammo i vecchi tempi. Era taciturno, simpatico, triste. Prese a cantare delle častuški. [...] Aveva già la voce rauca, il viso sciupato, e attraverso quel viso, come dietro alla nebbia del tempo, io rivedevo il Sergun'ka primaverile d'una volta. Poi, con espressione mutata, cominciò a declamare L'uomo nero. La sua recitazione magistrale sembrava come percorsa da uno spasimo interiore. Vedevo dalla sua eccitazione che doveva trattarsi di qualcosa di molto importante per lui. C'era come l'appello della disperazione.
  • Il mio ultimo incontro con lui mi fece un effetto terribilmente deprimente. [...] Mi si butta addosso un uomo dalla faccia gonfia, la cravatta tutta di traverso, il berretto che gli si reggeva in testa per miracolo, trattenuto da un ricciolo biondo. [...] Feci veramente fatica a riconoscere Esenin e altrettanto a fatica mi sottrassi al suo invito ad andare a berci una vodka, invito accompagnato dallo sventolio d'un grosso fascio di banconote. Rimasi per tutto il giorno con quest'immagine deprimente davanti agli occhi e la sera, naturalmente, ne parlai a lungo con gli amici (purtroppo in questi casi ci si limita tutti e sempre soltanto a questo).
  • [Sulla morte di Esenin] Se ci fosse stato inchiostro all'Angleterre | non avreste avuto bisogno di tagliarvi le vene.
  • Anche se con Majakovskij ci davamo del lei e con Esenin del tu, i nostri incontri furono ancora più rari. Si potrebbero contare sulla punta delle dita, ed andavano immancabilmente a finir male. O ci giuravamo eterna fedeltà inondandoci di lacrime a vicenda, o ci picchiavamo di santa ragione e dovevano dividerci.
  • Dai tempi di Kol'cov la terra russa non aveva più prodotto nulla di più genuino, di più naturale, di più rispondente e nativo di Sergej Esenin, gratificando così la sua epoca con rara naturalezza e senza gravare il dono con gli interessi del populismo... Esenin era un vivo frammento pulsante di quell'arte che, con Puskin, noi definiamo il più alto principio mozartiano, l'elemento mozartiano.
  • Esenin considerò la sua vita come una favola... Anche le sue poesie le scrisse come fiabe, ora disponendo le parole come un solitario, ora vergandole col sangue del suo cuore. La sua cosa più valida è l'immagine della natura in cui nacque, boschiva, russo-centrale, di Rjazan', resa con la stessa abbagliante freschezza con cui gli si era rivelata nell'infanzia.
  • Esenin espresse la propria protesta di fronte all'invasione e alla devastazione della campagna da parte della civiltà industriale mediante la fabbrica e la miniera, i pali del telegrafo e le strade ferrate... e la sua crisi è quella del campagnolo inurbato, un contadino divenuto figura pubblica, per sempre corrotto e contaminato dentro e fuori la Russia dal morbo della vita moderna. Evase nel paradiso artificiale dell'alcool, nell'inferno dell'acquavite.
  • Il poeta più immaturo ma in potenza più autentico che la Russia avesse prodotto dopo Aleksandr Blok.
  • Sergej Esenin fu il poeta della natura, non della storia; dell'autunno, non dell'Ottobre... La sua enfasi cromatica fa spesso pensare alla pittura d'icona, alla decorazione musiva, o più generalmente all'arte bizantina.
  • L'estremo e supremo cantore di una Russia agreste travolta dalla rivoluzione e dall'industrializzazione.
  • Poeta autentico e raro, ma non superiore ai massimi rappresentanti della grande poesia russa novecentesca che lo superarono in profondità e vastità di visione e innovazione, poeta «popolare», forse l'unico ad essere veramente tale tra gli altri poeti russi del nostro secolo, che furono aristocraticamente eterei come i simbolisti o raffinatamente plebei come i futuristi o spiritualmente sovrani come gli acmeisti, [...] Esenin è un angelo caduto da un paradiso immaginario in un inferno reale.
  • Poeta «contadino» tanto quando poeta «urbano», poeta di un passato senza ritorno tanto quanto di un presente senza avvenire, poeta di un'angelica purezza tanto quanto di una diabolica viziosità, poeta della nostalgia e della disperazione.
  • Mi fece l'effetto di un ospite casuale, solo e abbandonato, capitato chissà perché in quella città di petrolio, di smog e di polvere, come se non gli importasse nulla di dove rifugiarsi e attraccare.
  • Non notai in lui la minima traccia di posa, anzi aveva una grazia seducente, umile e conquistatrice, dolce e dura al tempo stesso.
  • Quando arrivai lo trovai seduto sul letto, che singhiozzava. Aveva il viso inondato di lacrime e spiegazzava un fazzoletto bagnato. – Non m'è restato nulla. È terribile. Né parenti, né amici. Niente, nessuno da amare. Non mi resta che la poesia. Le ho dato tutto, capisci? Tutto. La chiesa, il villaggio, l'orizzonte, i campi, il bosco. E tutto questo mi ha abbandonato. – Continuò a piangere per più di un'ora.

Note

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  1. a b c d e f Citato in Elvira Watala, Wiktor Woroszylski, Vita di Sergej Esenin, traduzione dal polacco di Vera Petrella, Vallecchi Editore Firenze, 1980.
  2. Da Ora noi ce ne andremo poco a poco; citato nella postfazione di Angela Borghesi ad Anna Maria Ortese, Le piccole persone: in difesa degli animali e altri scritti, Adelphi, Milano, 2016, p. 243. ISBN 978-88-459-3070-6
  3. Questi versi attribuiti a Esenin possono essere considerati le sue ultime parole. Si suppone siano stati scritti dal poeta con il suo stesso sangue. Quella stessa notte il poeta si sarebbe poi impiaccato nella sua camera d'albergo a Leningrado. (cfr. Elizabeth M. Knowles, The Oxford Dictionary of Quotations, Oxford University Press, 1999, p. 456. ISBN 0198601735)
  4. a b Citato in Sergej Aleksandrovic Esenin, Russia e altre poesie, Baldini Castoldi Dalai, 2007.
  5. Citato in Elvira Watala, Wiktor Woroszylski, Vita di Sergej Esenin, traduzione dal polacco di Vera Petrella, Vallecchi Editore, Firenze, 1980.

Bibliografia

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  • Sergej Aleksandrovic Esenin, Russia e altre poesie, traduzione di Curzia Ferrari, Baldini Castoldi Dalai, 2007.

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