Robert Rudolf Schmidt
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Robert Rudolf Schmidt (1882 – 1950), archeologo e studioso di preistoria tedesco.
L'anima dell'uomo preistorico
[modifica]- E ambedue, fuoco e strumenti di selce, furono ritrovati dove fu l'abitacolo del Sinanthropus. L'ominide primitivo dell'Eurasia possiede ora i contrassegni capitali della civiltà umana primitiva: il fuoco e gli strumenti di selce.
L'uomo è comparso. (p. 54)
- L'Ominide primitivo, indifeso, al quale la natura non aveva donato organi fisici prevalenti di protezione, dà di piglio per la sua conservazione alla materia prima secondo l'istinto medesimo delle bestie. E la terra gli offre sassi da lancio adatti alla sua mano, ciòttoli-martello, e scheggie affilate di roccia in quantità. Ma soltanto con l'uso ripetuto, ed in breve regolare, di questi strumenti naturali l'uomo esce dal mondo delle possibilità animali. Soltanto allora egli si alza al disopra della azione puramente istintiva e si emancipa dalla tutela materna della Natura. È questo il crepuscolo, l'alba della Civiltà della pietra. (p. 100)
- L'organismo del Pithecanthropus (angolo frontale 52 gradi), unico elemento di correlazione filogenetica, ci mostra l'intelletto in formazione. La circonvoluzione dell'eloquio (terza del lobo frontale) caratteristica d'intelligenza superiore, è più pienamente sviluppata nel Pithecanthropus, che non in tutti gli antropoidi. Forse per poter trionfare nella corsa alla civiltà, gli manca il dominio sul fuoco, che fa sorgere la comunità umana. L'orientazione indipendente dell'intelletto si inizia soltanto quando l'uomo in istato di civiltà, in possesso di strumenti e di fuoco, si affranca dalla tutela materna della Natura, essa si inizia quando si desta l'assillo della conservazione della vita. Qui giace la linea di demarcazione: uomo e bestia. (p. 104)
- I primi incendi, provocati dalla mano dell'uomo, annunciano la civiltà che sorge. Dalla pietra focaia sprizza la magica scintilla. Intorno alla fiamma che riscalda e che nutre si raccolgono i primi accampamenti delle schiatte. Il fuoco diventa il polo magnetico e con esso nasce la comunanza di vita e di destino. (p. 106)
- I primi tentativi dell'uomo, di trovare un mezzo tecnico di rappresentazione, risalgono alla primitiva Età di Aurignac. Questi primi sforzi infantili di realizzare una forma dell'Homo sapiens ci sono illustrati dalle immagini più antiche e più profonde delle grotte della regione nordica primordiale dell'Europa occidentale. Ancora una volta è la figura primordiale della mano, che – come per il primo strumento universale – indica all'uomo la via. (p. 149)
- L'uomo, essere pratico, ha riconosciuto la potenza della sua mano. Essa diventa l'organo prensile dei suoi desideri. Essa schiude anche la via all'evento magico, all'azione magica. La figura della mano umana appare sulle pareti dei più antichi luoghi destinati al culto, prima che sorgano raffigurazioni di animali e di uomini. Probabilmente è stata la constatazione che la mano fuligginosa o tinta di colore lasciava tracce sulla parete di roccia che toccava, ad indicare all'uomo la via da seguire per tradurla in figura.(p. 149)
- Nel tempo di mezzo dell'Età maddaleniana, appaiono le opere d'arte a più colori. Sono dipinte alla debole luce delle fiaccole o di lucerne di pietra, su fondo roccioso secco, ben dentro nelle caverne (come tutte le pitture murali della regione nordica primordiale) e con materie coloranti gialle, rosse brune impastate con grasso, olio o resina, applicate con pennello o lapis colorato. Il loro colore è per lo più fossilizzato, la loro condizione primitiva perciò conservata in eterno. Caso curioso: quasi l'artista fosse conscio che il colore da solo non basta a dar vita, egli rileva la figura dal fondo naturale e ricava dalla roccia, con lo scalpello, i dettagli dell'immagine, egli persegue la realtà totale. Plastica, disegno, colore riuniti a formare armonicamente una figura aderente alla realtà, le conferiscono alito di vita. (p. 160)
Bibliografia
[modifica]- Robert Rudolf Schmidt, L'anima dell'uomo preistorico (Der Geist der Vorzeit), traduzione e note di Sergio Gradenigo, Garzanti, Milano, 1941.
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