Arrigo Cajumi
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Arrigo Cajumi (1899 – 1955), scrittore, critico letterario e giornalista italiano.
Pensieri di un libertino
[modifica]- Il più comico è che, nella pacifica Italia del tempo, Soffici e i suoi scandalizzavano mezzo mondo, e – come immoralisti – trovavano lettori sino nei bordelli, cosa che del resto li lusingava assai.
Ma ho in mente che si tratti di un'invenzione, o di una loro vanteria. Le puttane, e le padrone di casino, sono persone serie, business women. (p. 22) - In fondo, certa gente mi fa pensare a chi va al bordello per farsi dire, a un tanto al quarto d'ora: «Che bell'uomo! Che bel maschio! Come devi piacere alle donne!», e ci si bea.
Se uno avesse una statistica esatta circa il numero di questa specie di amatori, gli servirebbe assai più di un'intera biblioteca di scienze politiche. (p. 23) - Ora, senza una borghesia istruita, che a tempo perso sappia scombiccherare un sonetto, o incuriosirsi di un problema storico, a gustar la pittura o un romanzo, una nazione è squilibrata, e rischia di diventar acefala: molte delle nostre crisi sono avvenute per mancanza di quella che si definirebbe meglio classe pensante, che dirigente.
La formazione e la restaurazione di una classe borghese media è il gran problema. Per tutti i paesi. Altrimenti, le distruzioni della democrazia demagogica sono alle porte. (p. 25) - Più vado avanti negli anni, più mi si conferma l'istintivo individualismo, la tendenza a ricercar col lavoro il modo di appagare modestamente i quattro o cinque piaceri che m'attraggono, abolendo radicalmente ciò che si chiama ambizione, considerazione sociale, ricchezza come scopo della vita, vanità anche letteraria, ecc., [...] (p. 34)
- Non sappiamo perché, e che mai siamo venuti a fare quaggiù: quindi, cerchiamo di passare il tempo nel modo più consono ai nostri gusti. Io non ho altra morale; anzi, sono pronto ad applaudire chi, nato per fare il collezionista di francobolli o di porcellane, non ha che questo scopo nella vita. Egli ha raggiunto la vera felicità. (p. 34)
- Il gusto di fare l'uomo positivo e pratico, di «smontare» i soliti piccoli trucchi, mi fa passare per pessimista congenito. (p. 56)
- Più si vedono da vicino i fenomeni storici, meglio si scorge che le rivoluzioni le hanno sempre fatte la borghesia, o parte di essa. Il popolo è buono a compiere soltanto delle jacqueries, che non concludono [...]. (p. 64)
- Il buon amministratore è colui che – pur facendo i propri affari – non delude l'altrui fiducia, remunera il capitale, paga onestamente e puntualmente gli interessi, e ne fa, anzi, un punto d'onore.
Gli altri? Dei truffatori in buona o mala fede, e meglio ancora i secondi dei primi. (p. 64) - – Qual è quell'animale cieco, sordo, tardigrado, impotente, ostinato, che ogni cosa dimentica, nulla capisce, e persevera nell'errore?
– Il risparmiatore, il risparmiatore! (p. 64) - Gli amici sono coloro coi quali parli schietto e osceno, ti vesti come tutti i giorni, e che non ti impongono dei seccatori supplementari. (p. 67)
- L'ipocrisia è il preludio alla castrazione intellettuale. «Le peuple – è scritto nelle Lettres d'Amabed – les suivit en criant: cazzo, cazzo!»
Oggi, o ci si appoggerebbe su non so quale prurito freudiano, o di culo; oppure, si salterebbe a piè pari la sconcia espressione. La naturalezza se n'è ita. (p. 68) - Finirò per pentirmi di aver dato confidenza a qualcuno. Bisogna vivere e crepare da soli. (p. 76)
- La piccola borghesia ha gli stessi pregiudizi, le stesse servitù della grande, se non di più. Il ritualismo del modo di parlare, del regalo, delle feste, ecc., vi fiorisce. Così pure, quello di «la gente direbbe…» Gli spiriti emancipati, non li trovi che lateralmente, in margine. Anche la naturalezza popolare dev'essere un mito: il selvaggio è certo disciplinatissimo. (p. 80)
- Quanto all'amicizia, ohibò, alla larga. Anche qui, ho dato assai più di quel che non abbia ricevuto, e ho preso delle belle, piene, copiose cantonate, sprecando tempo, voce, consigli, e appoggi per gente di cui non mi servirei neppure, oggi, come direbbe Rabelais, pour me torcher le cul. (p. 87)
- «Se vuoi una bella donna piglia un'altra. Ma se vuoi una donna da letto, piglia me». Incantevole parlare, e troppo raro. (p. 89)
- Il procedimento di cui Luciano si vale nel capitolo sui «Sacrifici» è lo stesso che serve a Voltaire per canzonare la Bibbia: il ricorso al buon senso, contro l'assurdità della favole religiose. (p. 138)
- La follia degli uomini può molto, ma una economia che si reggesse, garantendo a tutti la prospettiva di avere più del pane quotidiano, sarebbe forse l'elemento stabilizzante, e determinante. (p. 155)
- Qualche pennivendolo infatuato torna a sputacchiare quelle anime che tranquille hanno la colpa di pensare d'essere venute al mondo, non per servire a esperienze altrui, ma per passare nel modo meno ingrato la loro esistenza, facendo perno sul proprio io. A dar retta a certa gente, tutti dovrebbero ridursi al livello dei conigli da laboratorio, ai quali peraltro non si chiede di manifestare la loro soddisfazione e il loro entusiasmo per ciò che li attende.
Ora la fonte di tali pensamenti è religiosa, clericale. [...] Il credente – sia cristiano, che ebreo, o musulmano... – è sempre chiamato a servire anima e corpo un feticcio, e la congrega che utilizza quest'ultimo. Per cui, la cattura, l'abdicazione, l'abiezione dell'individuo sono – per chi bada ai fatti e non alle facezie – integrali. (p. 161) - Ce vice impuni, la lecture. Com'è sempre il mio! Bibliofili non si nasce, si diventa. È un un vizio che viene con l'età, con i primi quattrini, con la sensazione che si sta per discendere la curva, ed è opportuno non trascurare neanche i più piccoli e semplici piaceri. (p. 161)
- Mi ha fatto molto piacere leggere nell'autobiografia di Trockij che un uomo così ardentemente e pertinacemente occupato a rivoluzionare il mondo, aveva la nostalgia dei suoi libri: con gente con tali sentimenti non c'è mai da disperare… Mentre la peggiore diffidenza deve colpire coloro che si fanno una biblioteca per esigenza di parata, sono privi dell'intimo bisogno della meditazione, della lettura, della contemplazione di un libro. (p. 164)
- Comincio a capire l'odio profondo di Flaubert per il bourgeois, nel senso più lato, se ascolto i discorsi sul marciapiede o in tram; se osservo gli sbandamenti perpetui, subisco la facondia di otto persone chiuse in uno scompartimento ferroviario. La dose di ignoranza è potente; l'irriflessione, la contraddizione, pullulano. Gente che assorbe i giornali con gli occhi e li restituisce con la bocca; che sta vent'anni in un paese senza conoscerlo per un giorno e sputa sentenze! Preoccupazioni ridicole: impiegate che guadagnano 500 lire, anelano borsette da 140 lire, ecc. Ciascuno passa il tempo a invidiare il prossimo, a malignare, a buccinare sciocchezze. La natura umana è misera, e chi la vede a nudo non può che sentirsi misantropo. (p. 208)
- Uno dei cattivi sintomi è la predilezione per la gente che non dà luogo a rilievi, a controversie. Si preferisce colui che, a parole e a fatti, accontenta e soddisfa tutti, al rigido – e per conseguenza avversato – difensore degli interessi che rappresenta. Senza riflettere che chi riceve gli elogi generali, lo fa in quanto cede qualcosa, e magari spartisce; chi resiste, conserva e cura. Ma la stupidità e la vigliaccheria degli uomini è tale, da preferire di essere castrati, al mantenere la propria virilità. I pochi uomini superiori che ho conosciuto, si sono distinti col prendersi al fianco gente sgradita alla folla, e perciò utile e operosa. Allorché hanno ricercato collaboratori che non suscitassero storie, hanno confessato di appartenere alla razza degli eunuchi, che peraltro prospera. (p. 213)
- Quella vecchia canaglia di Ojetti, che dicono stia tirando le cuoia per galanterie nocive ai settantenni, ha per me due definizioni. La pubblica: «L'acuto e amaro Cajumi»; la privata: «Un limone sotto aceto». (p. 274)
- Socrate Apri bene gli occhi e guardati bene attorno che nessuno ci senta dei non-iniziati! Sono gente costoro i quali niente altro credono ci sia al mondo se non ciò che possono prendere e tenere stretto con le mani; e azioni e generazioni, e insomma tutto ciò ch'è invisibile, non lo ammettono, perché non fa parte, dicono, dell'essere.
Teeteto In verità son ben duri e cocciuti uomini, o Socrate, codesti di cui parli.
Socrate Proprio così sono, figliolo mio, grossolani parecchio…
Questo si legge nel Teeteto, e mi vien voglia di metterlo in epigrafe, augurandomi che la razza dei «materialisti induriti» (come mi ha classificato Salvatorelli) fruttifichi, giacché di loro c'è gran bisogno, nel mondo di idealisti buffoni che ci attornia. (p. 284) - Il vecchio libro di Quinet sulle Révolutions d'Italie attesta i limiti dell'ingegno di uno scrittore che storico certo non può esser detto, e – come ha mostrato Neri – le origini di alcuni pregiudizi della nostra critica romantica. Quinet aveva in comune col suo amico Michelet la manìa della superiorità del protestantesimo sul cattolicesimo, buffissima pretesa e gara tra due forme della stessa superstizione. [...] L'odio di religione lo rende perspicace: pochi hanno sferzato come lui il vizio indigeno della retorica che copre, nasconde, ammanta il vuoto, l'ignavia, le colpe, l'atrocità. Nessun ossequio per la legge, sempre apertamente violata o faziosamente applicata, nessun rispetto alla libertà o dignità individuale. La setta vittoriosa stermina e soffoca la soccombente; gli interessi della prima e i suoi uomini, regnano sovrani. Al di fuori, la pompa tende a creare una rappresentazione scenografica-letteraria, che nulla ha a che fare con la triste realtà. L'equilibrio dei poteri, il governo costituzionale, l'alternarsi dei partiti – osserva Quinet – sono stati in ogni età, in Italia, una chimera. (p. 285)
- I teorici mi sono sempre stati sospetti, e i tecnici ugualmente. Un professore e un ingegnere in politica, sono i primi a pigliar cantonate. Con ciò non dico che uno debba pigliar vento dai professionisti, che sono degli avventurieri, bensì dal common sense, dalla persona che ci ha ripensato su, è abbastanza libera per capire quanto nel suo punto di vista è portato dagli interessi privati in gioco, e sufficientemente illuminata per non disprezzare gl'insegnamenti della storia; sappia inoltre guardarsi attorno, e capire cosa vogliono il popolo e gli ottimati (p. 309)
- Il sofisma che le grandi azioni politiche sono sempre opera di minoranze intelligenti, non regge: può darsi che l'iniziativa appartenga ai pochi, ma viene sempre il momento in cui il consenso dei più è indispensabile. Tutto il genio di Cavour avrebbe girato a vuoto se le Camere non avessero votato i crediti, e l'esercito non avesse marciato. Il superuomo ha un bel sputacchiare il suo paese, accusandolo di tradimento delle sue megalomani imprese, di avergli spezzate le reni. Queste declamazioni possono impressionare gl'ignoranti, ma chi ragiona a mente fredda, le considera come quei bollettini dei generali sconfitti che tentano di gettare sulle truppe il crollo dei loro piani. (p. 349)
- Mi viene il desiderio di fare un libretto sulla psicologia degl'Italiani; qualcosa come il Codice della vita italiana che Giuseppe Prezzolini, pur con qualche paravento moraleggiante, pubblicò intorno al 1919, l'ultimo anno in cui in Italia sia stata lecita una certa mancanza d'ipocrisia, e che è da ristampare d'urgenza. [...] Basta per es. vedere quali strida e clamori levi ancor da noi qualsiasi manifestazione di femminismo o d'irreligiosità: siamo fermi al più nero medioevo, e prima che ci si abitui a lasciar campo alle donne (badate che intorno al Settanta – vedi l'epistolario carducciano – si poteva tranquillamente discutere di rivendicazioni femminili, e altrettanto liberamente fare dell'anticlericalismo) e ai mangiapreti, bisognerà che tramonti la mentalità meridionale che, con lo spirito retrivo del Nord, da parecchi lustri hanno governato, attraverso la burocrazia e i pubblici poteri, il nostro bel paese. Nella realtà delle cose, le donne di questi ultimi decenni, sono state, almeno nel settentrione, moderne e spregiudicate; però, socialmente e politicamente, tenute in rango d'inferiorità, e di macchine da far figli. In altri termini, i costumi si sono abbastanza adeguati a quelli dei popoli più progrediti, le leggi sono rimaste all'età della pietra. (pp. 322-3)
- Nelle Osservazioni semiserie di un esule in Inghilterra (1827), dove spira un'aura tra barettiana e liberaleggiante (per intenderci, alla Constant del Commentaire al Filangeri), mi sono imbattuto in una frasetta incantevole. Il buon Pecchio descrive un suo innocente tête-à-tête con una bella fanciulla, e nota: «Passammo vicino a un antico campo romano. Si vedono ancora i rialzi di terra dentro cui que' conquistatori del mondo chiudevano le loro legioni. Ella mi fece da Cicerone, e per vero eccesso di cortesia mi parlava de' romani quasi fossero gli antenati degli italiani». Poffardelmondo! Uno dei buoni precursori del nostro Risorgimento, uno di coloro che lavoravano a una Italia ordinata, rispettata e civile, pigliava così sottogamba i romani! O per meglio dire, non gli passava pel capo di rivendicarli come genitori, per svillaneggiare il paese che l'ospitava; né credeva corresse pei suoi lombi sangue quirite, come tanti coglioni ammaestrati ognidì si sentono. Ho già raccolto qualche altro centro dell'antiromanità del Risorgimento, ma questo mi pare curioso. (pp. 330-331)
Processo a un liberale (libelli)
[modifica]Prefazione
[modifica]- Egoista, anarchico, solitario fino alla misantropia, l'ellenista Courier è della stessa generazione di Stendhal, ma senza tinte romantiche. Laclos, che morì generale a Taranto, gli somiglia forse di più. (p. 7)
- [Su Paul-Louis Courier] In fondo, il nostro autore era il prototipo del liberale-anarchico, ossia dell'individualista che proclama: meno il Governo s'impiccia di noi, meglio è. (p. 7)
- Chi comincia a leggere Courier, e noi che l'abbiamo familiare, porge l'orecchio a discorsi di tutti i giorni, ascolta faccenduole che sembran triviali: il permesso di ballare, di andare a caccia, il sindaco prepotente, i gendarmi, i prefetti. Piano piano si sale: i ministri, la «congregazione», i nobili, e infine il re, il papa, la politica internazionale, le grandi potenze. A uno a uno, Courier li tira dentro la rete, tocca le questioni piú gravi: libertà, inviolabilità del domicilio, diritto di associazione e di stampa, giustizia, guerre, alleanze. Il buon dio di Voltaire, la natura, la società, e persino i dogmi, fanno la loro comparsa. Con quell'aria sorniona, di chi dice e non dice, le sue frasi sono frecce, ed entran nella carne. Courier parte dal popolo, è un terreno fermo. E confronta i suoi costumi con quelli delle classi alte, dei beati possidenti, della Corte. (p. 9)
- Ma per essere efficace, ascoltato, temuto, bisogna che la penna sia acuminata, e Courier, degno continuatore degli enciclopedisti settecenteschi, ebbe il coraggio di battagliare, fino alla prigione inclusa. Questi vecchi liberali, eran gente di fegato, saldi nelle opinioni, punto paurosi dei governi; dicevan la loro a re e preti; una razza che bisogna rinsanguare, dopo tanta molliccia viltà della borghesia del secol nostro. Per ciò, occorre leggerli, diffonderne le opere, tener da conto l'esempio, ch'essi diedero, in tempi non facili. (p. 11)
- Durante il fascismo, due autori confortavano principalmente me e qualche altro solitario: Courier e Hugo (col Napoleone il piccolo, La storia di un delitto, I castighi); furon libri che imparammo quasi a memoria, e che Piero Gobetti voleva ristampare. Anche Luigi Einaudi rilegeva assiduamente Paul-Louis, di cui è grande estimatore. Il nostro Presidente, vignaiuolo, ha delle buone ragioni per gustar l'uomo della Chavonnière; giornalista, ha sempre avuto per guida «beaucoup de raison et beaucoup d'humanité», le due doti che Anatole France riconosceva a Paul-Louis. Mi sarà lecito dedicargli questa ristampa? (p. 12)
Bibliografia
[modifica]- Paul-Louis Courier, Processo a un liberale (libelli), a cura di Arrigo Cajumi, Universale Economica, Milano, 1950.
- Arrigo Cajumi, Pensieri di un libertino, presentazione di Vittorio Santoli, Giulio Einaudi editore, Torino, 1970.
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