Alfredo Panzini
Alfredo Panzini (1863 – 1939), scrittore e critico letterario italiano.
Citazioni di Alfredo Panzini
[modifica]- Anche le fanciulle spartane vestivan così senza chitone, che era la camicia di quei tempi antichi.[1]
- Chi intenderà, chi difenderà la giovinezza sublime dalla sterile sapienza dell'età virile e dalla lugubre tirannia dei vecchi? Gli uni e gli altri hanno l'anima che già è morta a metà, e non lo sanno! La loro sapienza aiuta a morire, non a vivere; e la gioventù ha una sua sapienza innata di ben altro valore perché in essa si contengono le leggi della vita![2]
- Dicono gli intenditori che il nuovo foot-ball non corrisponde all'antico e perciò i nuovi nomi hanno giusta ragione di essere. Distinguono il rugby e l'association, due modi di giocare al calcio, questo più costumato e civile, l'altro fiero e violento nella gara di vietare l'accesso al pallone.[3]
- «Dio» dice San Paolo «lo vediamo qui in terra per riflesso e per enigma. Dopo morte lo vedremo sul serio.»[4]
Per «riflesso» si possono intendere anche certi uomini dabbene chiamati santi, che fanno come da genitori a quei bimbi un po' feroci che sono gli uomini. Che San Benedetto e Santa Scolastica fossero buoni genitori, non pare cosa dubbia.[5] - Il milionario non godrebbe niente se gli mancasse l'invidia del popolo.[6]
- Il sole splende su tutti e non fa pagare i suoi raggi, e poca terra ricoprirà noi come i conquistatori della fortuna e della vita![7]
- [...] la violenza rimane una delle cose più positive del mondo: ma i suoi frutti non mi piacciono.[8]
- Noi avvertiamo il caldo e il freddo anche senza termòmetro; però è bene averlo in casa; e così noi possiamo scrivere e parlare anche senza grammàtica; però è bene che essa vi sia.[9]
- Scrivere bene vuol dire pensare bene e pensare molto; avere molti studi, molta esperienza della vita insieme con molto ingegno, sentimento e fantasia. Tutte cose piuttosto difficili e rare.[10]
- Tutte le volte che una virtù non piace più, le si cambia nome.[11]
- Tutto è tollerabile, forse, dalla donna quando avviene soavemente.[12]
Dizionario Moderno
[modifica]A. Questa preposizione è usata alla maniera francese (à) nei seguenti modi: 1) trattandosi di vivande, per indicare la salsa con cui sono condite o il modo in cui sono cotte: al burro, all 'olio, al prosciutto, al pomodoro, ai ferri. I puristi correggono e il popolo ancora dice col burro, con l'olio, col prosciutto, in graticola o su la gratella. Con un po' di buon volere si potrebbe usare la maniera più conforme all'italiano. Ma si tratta di frasi fatte e formate nella memoria, perciò avverrà che scrivendo, uno pensi alquanto e corregga, ma parlando non ritengo agevole l'emendarsi. Gelato alla crema, al limone, al pistacchio; gelato di crema, di limone, col pistacchio. Talvolta le due costruzioni si alternano. Es. gelato alla crema, gelato di crema. 2) I puristi riprendono alla, seguìta da un nome proprio, quando si voglia indicare maniera, usanza, imitazione. Es. alla Pompadour, alla Luigi XIV. È modo francese. Sidovrebbe dire: alla maniera di... ecc. Si dice, infatti, alla Berni? al Petrarca? Così obiettano i puristi. Vero è che si tratta di nomi determinati. 3) Si riprende pure il modo: all 'anno, al giorno, al mese, invece che dire: l 'anno, il giorno, il mese, oppure: ogni anno. Es. cinque lire al giorno. 4) Le locuzioni mano a mano(v. nel Dizionario MAN MANO), due a due, passo a passo, corpo a corpo, da capo. Anche in queste e consimili locuzioni conviene tenere conto dell'evoluzione che subì l'italiano per effetto, specialmente, della storia e del pensiero di Francia. Difettosa e spiacente questa incertezza di una parte così importante del discorso come è la preposizione; ma poiché l'impropietà o il gallicismo non è possibile espellere, converrà accettare in quei casi che sono più confermati dall'uso e sperare che l'onore della patria si estenda anche alle parole della patria.
Citazioni
[modifica]- Automòbile. Dal greco αύτός = se stesso, e mobile: in origine aggettivo, poi sostantivo, per indicare la nota vettura a motore, spavento dei viandanti, concorrente con le ferrovie; aerodinamica. Di qual genere è automobile? Se ne è disputato in Francia, madre dell'automobilismo, quindi anche in Italia. Ieri prevaleva il maschile, oggi il femminile. La Fiat ne richiese d'Annunzio. Rispose: femmina!
- Benpensante. Letteralmente dicesi di persona che pensa bene, rettamente, secondo la legge, sin. persona d'ordine; e talora vi è aggiunto un lieve senso ironico, quasi a significare ben pensante, perché le condizioni fortunate e fortuite della vita tolsero l'occasione di pensar male.
- Buridano (L'asino di). Âne de Buridan, è rimasto proverbiale per indicare lo stato di chi è incerto né sa risolvere fra due cose. Il motto, comune fra noi, è di conio francese e trae origine da un sofisma dello scolastico Giovanni Buridan di Béthune (Artois), fiorito nel sec. XIV e professore di filosofia in Parigi. Il sofisma è questo, cioè di un asino morente di fame perché sta tra due misure d'avena ugualmente da sé distanti, o morente di fame e di sete perché tra un fascio d'avena ed un secchio d'acqua non sa quale scegliere. Come questo sofisma si connetta all'antica questione del libero arbitrio non è qui il caso di vedere. Cfr. Dante, Paradiso, IV, I:
Intra due cibi, distanti e moventi
d'un modo, prima si morria di fame,
che liber l'uomo l'un recasse a' denti. - Democrazia: Gloriosa istituzione, che ha alquanto sofferto nella salute e nella buona reputazione. || Il fascismo le fece scontare le sue colpe ad un tasso abbastanza forte [1926].
- Gòndola. Da una voce greca? o voce onomatopeica? Si riporta la parola perché non tenderà molto a diventare meramente storica. Le gondole di casate e le gondole pubbliche erano più migliaia nel 700. Ora quel tanto che basta al colore locale di Venezia: e per condurre a spasso qualche straniero nostalgico.
- Gran Bestia (La). Definizione di sapore biblico e di ricordo nietzschiano, anzi frase del Nietszche, data già da tempo dal d'Annunzio alla folla, per significare spregiativamente l'anima collettiva, dalle esplosioni incoscienti e brutali e dal facile dominio. Questa locuzione ebbe fortuna di effimera divulgazione. Cfr. la bestia trionfante di G. Bruno, la belua multorum capitum, il profanum vulgus di Orazio, la vil maggioranza del Carducci; e il Petrarca: Il vulgo a me nemico ed odioso (nel sonetto: O cameretta, che già fosti un porto). Eppure quanto devono tanti alla gran bestia! È la massa di combattimento politico.
- Hodie mihi, cras tibi. Oggi a me, domani a te: motto tolto dalla Bibbia (mihi heri, et tibi hodie: Ecclesiastico, cap. XXXVIII, 23) e che compendia in forma di sentenza la cognizione delle reciproche sventure umane e la necessaria rassegnazione. Ma più spesso si ripete tale motto per cose di lieve conto e in senso faceto di conforto, per la ragione nota che solamen miseris socios habuisse malorum, male comune, mezzo gaudio.
- Ibis redìbis. Letteralmente, andrai ritornerai; si dice per indicare una risposta ad arte ambigua, in cui non è chiaro né il sì né il no: è misera astuzia usata dagli uomini che non si vogliono compromettere. Il motto è attribuito alla risposta data dall'oracolo a quel cittadino romano che voleva sapere se egli sarebbe scampato o perito in guerra, e la risposta fu: Ibis redibis non morieris in bello: Andrai ritornerai non morirai in guerra: nella quale risposta il senso muta secondo che la pausa o virgola si colloca dopo o prima del non.
- Ibseniano. Seguace, ammiratore del drammaturgo norvergese Enrico Ibsen (1828-1906), sostenitore di una morale individualista. (Seguendo Ibsen, molte mogli dicono al marito, «la tua verità non è la mia», e seguono altra via!).
- Idem velle atque idem nolle, ea demum firma amicitia est. Classica definizione dell'amicizia: si legge in Sallustio (Catil., XX, 4): volere e non volere le cose istesse è appunto ciò che costituisce la salda amicizia. E potremmo aggiungere: anche di un matrimonio felice. Cose piuttosto rare!
- Incipit vita nova. Comincia la vita nuova: così, con solenne ed occulto parlare, l'Alighieri comincia l'opera sua La Vita Nuova. Come molti versi danteschi anche questo diventò popolare, e si usa per significare un mutamento di male in bene nelle operazioni dell'esistenza.
- Imaginìfico. Creatore di imagini. L' Imaginifico fu detto d'Annunzio.
- Casi sono due(I). Casistica della Guerra, divulgata (estate 1917) e divenuta popolare (Petrolini), rispecchia parte dell'indole italiana. «Fra poco sarai sottoposto a nuova visita medica ed i casi sono due: o ti fanno non idoneo o ti fanno idoneo; se ti fanno non idoneo te ne freghi; se ti fanno idoneo i casi sono due: o ti mettono in armi speciali od in fanteria; se ti mettono in armi speciali te ne freghi; se ti mettono in fanteria i casi sono due: o ti mandano in zona di guerra o ti mandano in territorio di pace; se ti mandano in territorio di pace te ne freghi; se ti mandano in zona di guerra i casi sono due: o ti mettono ai servizi speciali o ti mandano in trincea; se ti mettono ai servizi speciali te ne freghi; se ti mandano in trincea i casi sono due: o sei ferito leggermente o sei ferito gravemente; se sei ferito leggermente te ne freghi; se sei ferito gravemente i casi sono due: o vai all'altro mondo o guarisci; se guarisci te ne freghi; se vai all'altro mondo i casi sono due: o vai in paradiso o vai all'inferno; se vai in paradiso te ne freghi; se vai all'inferno i casi sono due: o trovi Cecco Beppe o non lo trovi; se non lo trovi te ne freghi; se lo trovi i casi sono due: o lui impicca te o tu impicchi lui; se tu impicchi lui te ne freghi; se lui impicca te, requie all'animaccia tua». N.B. Questo classico me ne frego non so se, in basso, sia filosofia, ma in alto è delitto. Vedi E CHI SE NE FREGA. MENEFREGHISMO.
- Lotto. Per parte, per porzione di un tutto, attribuita a sorte, e distribuita fra più persone, è gallicismo ripreso dai puristi, sancito dall'uso; fr. lot, voce di origine germanica. I puristi accettano lotto nel senso di lotteria, cioè di quella speculazione statale, che fu denominata anche la tassa su gli imbecilli. Questo giuoco pare di origine italiana e, più precisamente, genovese. || Lotto di cavalli, e sim. dicesi esclusivamente per gruppo di cavalli e sim.
- Paga Pantalone o Pantalon paga. Motto che pare in antico (sec. XVI) volesse significare. la repubblica di Venezia farà le spese per tutti. Una satira al tempo di Campoformio rappresenta i plenipotenziari che partono in carrozza dopo quel trattato. L'oste li rincorre: «Chi paga?». Gli risponde Pantalone: «Amico, pago mi». Altri, invece, pensa che il motto abbia origine dal fatto che, nelle antiche commedie dell'arte, Pantalone era quegli che andava di mezzo, cioè il lieto fine si otteneva a sue spese. Cfr: Jacques Bohnomme in Francia, John Bull in Inglitterra, Uncle Sam negli Stati Uniti, ecc. (v., per l'etimologia, la voce PANTALONE). «Paga Pantalone», vale anche paga il Governo o Stato, cioè, il popolo.[13]
- Pauper ubique iacet. Il povero dovunque giace. Così Ovidio (Fast., I, 218). E Perpetua a Renzo: «Mala cosa nascer povero, il mio caro Renzo!» (Pr. Sp., II). E Agnese al cardinal Borromeo: «I poveri ci vuol poco a farli comparir birboni» (Pr. Sp., XXIV). Simili pensieri di vera sapienza puoi leggere anche nei mirabili colloqui di don Chisciotte con Sancio Pancia. Ed è forse per questo che Cristo, non potendo aprire ai poveri le porte della terra, assicurò quelle del cielo.
Grammatica italiana
[modifica]Citazioni
[modifica]- Noi avvertiamo il caldo e il freddo anche senza termòmetro; però è bene averlo in casa; e così noi possiamo scrivere e parlare anche senza grammàtica; però è bene che essa vi sia. (Premessa, p. 9)
- [L]a parola è una cosa molto potente, direi quasi miracolosa. Serve a manifestare, e anche a nascòndere il pensiero. Ma quando la parola è falsa, rivela il pensiero di quelli stessi che lo vorrèbbero nascòndere. (Prontuario delle incertezze, p. 132)
Citazioni su Grammatica italiana
[modifica]- Il Panzini non si pone neanche lontanamente questo problema[14]e perciò le sue pubblicazioni grammaticali sono incerte, contraddittorie, oscillanti. Non si pone per esempio il problema di quale oggi sia, dal basso, il centro di irradiazione delle innovazioni linguistiche; che pure non ha poca importanza pratica. Firenze, Roma, Milano. Ma d'altronde non si pone neanche il problema se esista (e quale sia) un centro di irradiazione spontanea dall'alto, cioè in forma relativamente organica, continua, efficacemente, e se essa possa essere regolata e intensificata. (Antonio Gramsci)
Il 1859 da Plombières a Villafranca
[modifica]- Magenta e Solferino! Due nomi purpurei nella memoria, fioriture di sangue in quell'estate [del 1859]. I morti non si vedono più; portar via le tracce della morte è il primo lavoro dei vivi. Si vedono turcos, zuavi, granatieri della guardia dai berrettoni pelosi; bersaglieri piumati; si vedono a teste basse, via gli zaini, avanti ad ogni costo, alla baionetta, nel terribile azzardo della battaglia. (cap. XII, p. 317)
- Fu Solferino «gran battaglia e gran vittoria», come il grido annunciò, ma per varie cause, come il difetto di coordinazione tra i vari corpi, mancò alla vittoria quel proseguimento da cui risulta la nota sentenza che grande generale non è quegli che vince, ma che sa trarre partito dalla vittoria. (cap. XII, p. 318)
- [...] il trattato di pace di Villafranca, come è noto anche per ciò che è scritto nei manuali scolastici, non ebbe effetto o, come è detto in quei manuali, rimase «lettera morta». Rimase però vivo, senza troppo modificarsi nella tradizione italiana, il giudizio sintetico che ne diede il Mazzini a colpo caldo, cioè il 20 luglio, nel suo scritto «La pace di Villafranca». Esso si riassume come un nuovo tradimento di Napoleone III verso l'Italia, e in quel patto con l'Austria, è additato il disegno di un nuovo maggior colpo di Stato europeo, contro cui insorgeranno governi, popoli, l'esercito stesso francese che si stancherà «di far la parte di carnefice della libertà»[15]. (cap. XIII, pp. 347-348)
Il libro dei morti
[modifica]PROLOGO
Una sentenza di Pitagora, riferita da gli antichi filosofi, dice che – nessuno senza comando del duce, che vuol dire Dio, si deve partire da la stazione ne la vita; – significando con ciò come, anche per i credenti, essa sia triste e non valga la pena d'essere vissuta.
Ora, ai nostri tempi, vi fu un uomo credente che aveva nome G. Giacomo il quale, non a malincuore, ma lietamente fece la sua scolta in questo breve periodo de la vigilia dei sensi, ed amò la vita e gli piacque di vivere.
CAPITOLO I
G. Giacomo era nato in sul principio di questo secolo in una di quelle antiche città del Regno Pontificio, ove l'accidia e l'ortica crescono rigogliose anche oggidì, benché la vaporiera vi passi da presso tutta sonora col suo gran cimiero di fumo: città che, poste su la via Flaminia, ebbero una importanza militare e politica ai tempi di Roma; ed anche ne l'età di mezzo vantarono gloriosi ricordi ne la storia de le libertà municipali.
Citazioni
[modifica]- Il capitale è la miseria dei molti come condizione di benessere dei pochi, cioè quello che uno non ha e desidera avere.
- [...] la scienza ha dimostrato che l'uomo è di sua natura poligamo, e il matrimonio non sussiste che come contratto o come solenne corbelleria.
Il mondo è rotondo
[modifica]- Di chi era quel nome: Lenin? Di un uomo emerso dalla storia. La guerra era stata la sua levatrice. Dai solchi sanguinosi degli odi umani egli era nato.
- Era stato lui, il popolo d'Italia, ad abbattere il Sacro Romano Impero dell'Austria, che pure aveva per emblema il santo segno dell'aquila! Fu ieri! Ma oggi non se ne ricorda più. Ora scrive su le mura dei più venerabili edifizi: Viva Lenin! Il santo segno dell'Impero fu abbattuto; ed ecco appare: Viva Lenin. È forse questa la nemesi della storia?
- Le stelle, il sole erano per San Francesco il grande teatro, il canto delle rondini era il grande concerto, l'acqua era la grande ebbrezza. Ma i bolscevichi sono staccati dall'universo e dal mistero.
- [...] ogni età copre di calce l'età precedente come si fa coi cadaveri.
- Solamente quelli che hanno raggiunta la vetta dell'anima costituiscono un privilegio. [...] Gli uomini senza anima devono anzi credere alla morte, e perciò domandano i balocchi; e il re dei bolscevichi dà loro i balocchi. E se gli uomini poi nella materiale conquista si domeranno gli uni contro gli altri e la terra li coprirà, che importa? Se l'uomo meccanico vedrà anzi soltanto la mano che muove la leva e la ruota della sua macchina, e più non vedrà l'intelletto che crea, che importa? Se è spenta la piccola lampada che accende i cuori, e soltanto i fari irradiano la gran luce bianca che fa smarrire la via, che importa?
- Vedete, amico mio — disse Beatus, — questa antica purità religiosa offendeva gli sguardi dei felici abitanti del secolo decimottavo, e perciò hanno intonacato, cioè coperto, e poi sopra ci hanno cosparso quelle frenetiche pitture, che dovevano parere futuriste al loro tempo, tanto è vero che la vanità ci lasciò il nome. Vedete quel nome? Pictor bononiensis pinxit anno Domini MDCCXXVIII, mentre queste antiche pitture sono senza nome, perché realmente noi non abbiamo nome, o almeno Dio solo è giudice se dobbiamo avere un nome. E così quest'ombra di mistero che qui ci avvolge, spiaceva al secolo dei lumi, e ne fecero una sala chiara, a stucchi ed oro, anzi una sala da ballo.
Io cerco moglie!
[modifica]IO!
Cavalier Ginetto Sconer, fisonomia rosea, da cui spira intelligenza e coraggio; capigliatura solida, denti solidi, tutto solido.
Questo sono io!
In questa valle di dolore e di lagrime ho l'onore di trovarmi bene. Quando io viaggiavo con la marmottina dei campioni, i clienti mi dicevano: «Voi signor Sconer, fate molto onore alla vostra Ditta». In realtà la mia presenza è stata sempre molto distinta.
Citazioni
[modifica]- Gli individui eccitabili vivono poco. Achille, personaggio eccitabile, è morto giovane. Questa sentenza si legge nel libro di réclame della nostra Ditta: Come devo preservare la mia vita. (cap. I)
- Il bluff ha la sua ragione di esistere in quanto esistono persone capaci di farsi bluffare. (cap. I)
- Io mantengo verso i medici una benevola diffidenza, perché a furia di studiare le malattie finiscono per considerare la salute anch'essa come una malattia. (cap. II)
- Anche per ragioni di igiene, bisogna che io cerchi moglie: una moglie che risponda alle esigenze dell'erede, e anche alle mie. (cap. II)
- Signorina A***: dote ragionevole, bella presenza, famiglia distinta, peso valutabile a vista kg 70. Oggi attraente, ma suo padre è enormemente obeso; sua madre, idem. Tendenza all'obesità. Si scarta per ragioni di estetica. (cap. III)
- Signorina D***: molto carina; ma troppo buona di cuore verso tutti quelli che sospirano per lei. Per questa sua eccessiva bontà è stata allontanata dalle scuole. Cara fanciulla, ma offre l'inconveniente che l'erede sarebbe il figlio, ma non la riproduzione di Ginetto Sconer. (cap. III)
- L'amore concede le sue gioie supreme soltanto a chi è pronto ai supremi cimenti. (cap. IX)
- L'oro è un metallo prezioso, in quanto fa sorridere di felicità. (cap. XII)
- [Sui tartufi] [...] quelle cose che spuzzano ma che costano. (cap. XXIV)
La lanterna di Diogene
[modifica]- Del resto è un errore di giudizio semplice il supporre che i piccoli animaletti non esercitino una loro vendetta. I microbi si uniscono a milioni, edificano le loro città mortifere nei nostri corpi orgogliosi; ed altre miriadi di microbi preparano sotto terra accuratamente la nostra distruzione completa. Anche essendo asceti e vegetariani, non isfuggiremo a questa sorte dolorosa e fatale. Divoriamoci, quindi, senza rimorso e senza pietà! conclusi contemplando uno di quei bipedi infilzato nella forchetta. (cap. III)
- [...] il godimento è tanto maggiore, quanto più uno lo ha condito in antecedenza col lavoro e con la fatica salutifera. (cap. V)
- La galanteria era la forma con cui si manifestava la genialità della donna. (cap. VI)
- L'uomo geniale è rivoluzionario; la donna geniale rivoluziona tutte le teorie morali, sconvolge l'ordine delle leggi, disorienta i cervelli e le famiglie. (cap. VI)
- [...] la fortuna fa come il baro nel gioco: fa vincere qualche volta, per allettare gli altri. (cap. XII)
I tre re con Gelsomino buffone del re
[modifica]Il figlio del Re andava a caccia in compagnia del duca Floridoro per un luogo silvestro, presso alla fonte del Meschino. Il duca Floridoro cavalcava un cavallo roano, il figlio del Re cavalcava un balzano da tre, cavallo da re.
Il diavolo nella mia libreria
[modifica]Questi libri mi sono pervenuti da una eredità. Anzi l'inventario dice: «V° nella legnaia: Un cassone di abete, pieno di vecchia cartaccia e libri, L. 8». Dunque i libri erano in un cassone di abete, nella legnaia, e il loro valore fu stimato in lire otto nell'inventario. Povera zia, che la luce del Signore mai per te si spenga; ma tutta la sua eredità valeva poco di più![16]
L'evoluzione di Giosuè Carducci
[modifica]- Torna alla mente con gran tristezza di desiderio il tempo che io studiava a Bologna; e la rivedo ancora quella severa e lunga aula dell'università con i finestroni dai vetri verdognoli che prendono luce dal pian terreno del cortile interno: la rivedo tutta gremita di uditori; tutti col viso rivolto e teso ad un punto, in silenzio: seduti sui banchi, fitti in piedi e addossati agli angoli, presso la porta d'ingresso. E quelle teste, le più giovanilmente vive, altre grige o canute, altre di donne diffondenti in quella austerità non so quale femminile lietezza, mi pare ancora di udire la sua voce che si spandeva ora vibrata, staccata, nervosa; ora lenta, commossa e saliente come nembo d'incenso. Su l'alta cattedra, in fondo, appariva quel capo poderoso, curvo fra i cubiti, con la fronte ferma, come diga a reggere l'onda irrompente del pensiero; la breve mano bianca agitata a ricercare il libro o l'appunto, pur non ristando la voce.
Qualche volta, sopravvenendo le tenebre, accennava gli recassero una candela e se la poneva da presso; e allora quella fiammella rossa che or s'allungava in sottile piramide e stava immota, ora ballava come un folletto, faceva in quella penombra strani effetti su quel volto animato dall'idea creatrice.
Era l'autunno o era l'inverno nevoso: eppure per quella tetra sala in alto passava la primavera al suono della sua voce, l'eterna primavera del pensiero che Egli ogni volta evocava, viva, luminosa, presente fuori dai secoli che furono.
La cagna nera
[modifica]Quando mi tornano a mente i miei genitori (adesso si stanno accanto nel cimitero del villaggio) e gli anni della mia giovinezza, allora gli occhi si ricolmano di lagrime.
Ecco: era lassù! da tutte le strade del piano, anche da lontano, lo si distingueva il palazzo antico e quadrato, su in vetta della collina, con i quattro cipressi alti che dentellavano il cielo e facevano la guardia al portone: il portone era ad arco con grosse bugne di marmo e di sopra portava una targa; perché la mia famiglia era nobile: io non sono più niente; ma la mia famiglia, dico, era nobile e di buona razza. La targa portava sul quartiere un bel fiordaliso e il motto crescet in aevum. Dietro v'era il roseto, ma grande, grande da farne un podere.
Ultimi viaggi di un povero letterato
[modifica]Se qualcuno salirà a Bertinoro non se ne troverà pentito perché potrà accontentare la gola con dolce vin bianco e saziare la vista che da lassù spazia per tutta la piana.
Altre campagne in Italia sono pur belle; in altri luoghi si può scrivere est, est, est vinum bonum; ma qui è più festività. Nelle siepi rasate, nei campi squadrati, nelle viti allineate si sente la mano assidua dell'uomo che con la falce e l'aratro toglie alla terra quel non so di arcigno e nemico che essa acquista appena è abbandonata a se stessa. Vi sono anche cipressi, fra cui il cipresso di Francesca presso Polenta; e nessuno vieta di credere che in quella chiesa Dante offrisse l'acqua benedetta alla bella dama. (da Altare di Romagna).
Citazioni su Alfredo Panzini
[modifica]- A suo modo anche A. Panzini è stato un crepuscolare (non senza ascendenze di "scapigliatura" milanese), che si compiaceva d'ironizzare e immalinconire la sua favola poetica. L'atteggiamento del Panzini di fronte alla vita e alla realtà ha questa cifra. (Salvatore Battaglia)
- Il Panzini è tutto l'opposto di un pensatore. Non c'è virilità, non c'è scelta, non c'è pensiero che regga sopra se stesso e si crei. Di fronte ai problemi più ovvi e più vecchi egli si impaurisce ed oscilla. Va da un lato all'altro, guardando, e come volesse sempre sfuggire l'estreme conseguenze, ritorna al lato da cui era partito, per poi di nuovo fuggirlo. Non c'è decisione, non c'è nettezza. Non osa come i pensatori sicuri. Ma in questa sua torturante vicenda – che lo fa soffrire e stancare – sta un segreto della sua arte, giacché proprio in quell'oscillare, come di gocciola purissima attaccata a un filo di telegrafo, che si avvia al suo destino tremando e nello stesso tempo rifrange in bei colori la luce che la trapassa, proprio in quell'oscillare egli ha modo di mostrare la sua grazia e la sua umanità sensibile. L'arte non è fatta di acciaio e il pensiero è asta di durissimo acciaio. (Giuseppe Prezzolini)
- Il Panzini oltre a creare luoghi comuni per gli argomenti che tratta, si dà molto daffare per raccogliere tutti i luoghi comuni che sullo stesso argomento sono stati scritti da altri autori, specialmente stranieri: deve avere uno schedario speciale di luoghi comuni, per condire opportunamente tutti i suoi scritti. (Antonio Gramsci)
- L'arte non è decisione e nel Panzini è proprio indecisione fremente, concupiscente, debole, femminea. Le sue riflessioni non urtano, non costringono alla disciplina, ma carezzano anche quando vogliono essere severe, ma solleticano anche quando voglion sferzare. E se non si esce dalla sua lettura soddisfatti, se ne esce sempre con una grande simpatia per l'autore. (Giuseppe Prezzolini)
Citazioni sulla Vita di Cavour
[modifica]- Non si capisce proprio cosa Panzini abbia voluto scrivere con questa Vita di Cavour; una vita di Cavour non è certamente: né una biografìa di Cavour-uomo, né una ricostruzione di Cavour politico; in verità dal libro di Panzini Cavour esce molto malconcio e molto diminuito: la sua figura non ha nessun rilievo concreto, eccetto che nelle giaculatorie che Panzini di tanto in tanto ripete: eroe, superbo, genio ecc. Ma queste giaculatorie non essendo giustificate (e perciò sono giaculatorie) sembrano talvolta prese di bavero, se non si capisse che la misura che Panzini adopera per giudicare l’eroismo, la grandezza, il genio ecc. è la sua propria misura, della genialità, grandezza, eroismo ecc. del sig. Panzini Alfredo. Ancora bisogna dire che il Panzini esagera nel trovare il dito di dio, il fato, la provvidenza in tanti avvenimenti: è, in fondo, la concezione dello stellone con parole da tragedia greca o da padre gesuita, ma che non perciò diventa meno triviale e banale. Lo stesso insistere troppo sull’elemento «provvidenziale» significa diminuire la funzione dello sforzo italiano, che pure ebbe una sua parte. Cosa significa poi in questo caso questa miracolosità della rivoluzione italiana? Significa che tra l’elemento nazionale e quello internazionale dell’evento, è l’internazionale che ha contato di più. È questo il caso? Bisognerebbe dirlo e forse la grandezza di Cavour sarebbe messa ben più in rilievo e la sua funzione personale, il suo «eroismo» apparirebbe ben più da esaltare. Ma il Panzini vuol dare colpi a molte botti con molti cerchi e non ne raccappezza qualcosa di sensato: né egli sa cosa sia una rivoluzione e quali siano i rivoluzionari. Tutti furono grandi e furono rivoluzionari ecc. ecc. (Antonio Gramsci)
- Tutta la Vita di Cavour è una beffa della storia. Se le vite romanzate sono la forma attuale della letteratura amena tipo Alessandro Dumas, Panzini è il nuovo Ponson du Terrail. Panzini vuole così ostentatamente mostrare di «saperla lunga» sul modo di procedere degli uomini, di essere un cosi furbissimo realista, che viene la voglia, a leggerlo, di rifugiarsi in Condorcet o in Bernardino di Saint-Pierre, che almeno non sono cosi filistei. Nessun nesso storico è ricostruito nel fuoco di una personalità; la storia è un seguito di storielle divertenti senza nesso né di personalità né di altre forze sociali: è veramente una nuova forma di gesuitismo, molto più accentuata di quanto io stesso avessi creduto leggendo la Vita a puntate. (Antonio Gramsci)
Note
[modifica]- ↑ Citato in Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, vol. III, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1971, p. 93.
- ↑ Da Piccole storie del mondo grande.
- ↑ Dalla voce football del Dizionario moderno, Supplemento ai dizionari italiani, Milano 1905; citato in Massimo Arcangeli e Sandro Mariani, Il calcio italico. Ma non era meglio il football?, Il Fatto Quotidiano.it, 9 febbraio 2014.
- ↑ Cfr. Prima lettera ai Corinzi: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia.»
- ↑ Da Ultimi viaggi di un povero letterato, in La cicuta, i gigli e le rose.
- ↑ Da La mia storia, il mio mondo, con Piero Nardi, Mondadori, 1951.
- ↑ Da Piccole storie del mondo grande, Treves, 1920.
- ↑ Da La guerra del '15: diario sentimentale, M. Boni, Bologna, 1995, p. 281.
- ↑ Dalla Prefazione a Grammatica italiana, Sellerio, Palermo, 1989, p. 9.
- ↑ Da Manualetto di retorica, Bemporad, Firenze, 192611, p. 4.
- ↑ Da Romanzi d'ambo i sessi.
- ↑ Da Santippe, Opere scelte, Mondadori, 1970.
- ↑ Cfr. Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 194.
- ↑ Della storia della lingua italiana e dei fattori che determinano la sua elaborazione unitaria.
- ↑ Mazzini, X, pag. 342. [N.d.A.]
- ↑ Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
Bibliografia
[modifica]- Alfredo Panzini, Dizionario Moderno, Hoepli, Milano, 1950.
- Alfredo Panzini, Grammatica italiana, Sellerio, Palermo, 1989.
- Alfredo Panzini, Il 1859 da Plombières a Villafranca, Fratelli Treves Editori, Milano, 1909.
- Alfredo Panzini, Il mondo è rotondo, Milano, Fratelli Treves, 1920.
- Alfredo Panzini, L'evoluzione di Giosuè Carducci, Libr. editr. Galli di C. Chiesa & F. Guindani, Milano, 1894.
- Alfredo Panzini, La cagna nera, Roma, La Voce, 1921.
- Alfredo Panzini, La cicuta, i gigli e le rose, Collezione «Omnibus», Mondadori, 1950.
- Alfredo Panzini, La lanterna di Diogene, Treves, Milano, 1920.
- Alfredo Panzini, Romanzi d'ambo i sessi, Collezione «Omnibus», Mondadori, 1945.
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