Vai al contenuto

Adrienne von Speyr

Questa è una voce in vetrina. Clicca qui per maggiori informazioni.
Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Adrienne von Speyr nel 1918

Adrienne von Speyr (1902 – 1967), mistica, medico e scrittrice svizzera.

Citazioni di Adrienne von Speyr

[modifica]
Copertina dell'autobiografia
  • Apprendere, soffrire, progredire.
[Frase che le avrebbe detto Maria] Apprendre, souffrir, progresser.[1]
  • Ci sono cose che ci si può immaginare. Ma non mi posso proprio immaginare che potrei veramente aver paura... Una volta ho detto al Buon Dio: se una volta volesse aver da me qualcosa, semplicemente come dono, lo potrebbe avere già. Ma ho dovuto subito ridere un po', perché pensavo d'essere proprio un'anima temeraria... Ma lui lo potrebbe prendere improvvisamente sul serio. E come potrebbe poi venirne a capo con questa Adrienne? Capisci: perché fosse un vero regalo, bisognerebbe portarlo con dignità. Bisognerebbe avere un contegno.[2]
  • [Frase detta poco dopo il battesimo] Dio cerca sempre persone che nel momento decisivo non hanno nessuna paura.[3]
  • Egli [il Figlio] dà tutto il suo innocente Spirito al Padre e mantiene per sé solo il nostro spirito colpevole; così egli può portare i peccati come se li avesse fatti lui.[4]
  • [Ultime parole] Grazie, grazie, grazie.[5]
  • [Sulla frase di Marie-Antoinette de Geuser: «Vorrei lasciare dietro di me, sulla terra, una lunga scia di fuoco»] No, no, non è così. Io non vorrei lasciare nulla dietro di me, ma scomparire completamente..., non lasciare alcuna traccia visibile. La cosa peggiore che possa capitare a qualcuno, è quella di diventare un santo. La cosa non mi piacerebbe, sarebbe un terribile malinteso. Ancora una volta la gente si metterebbe a guardare una statua invece di guardare a Dio soltanto. Io vorrei solo che, attraverso me, si potessero scoprire un po' di più le tracce di Dio.[6]
  • L'imperfetto nella medicina è che non si può prender su di sé quel dolore che tocca agli altri.[2]
  • Noi sacrifichiamo, se sacrifichiamo validamente e significativamente, sempre a partire dal sentimento sacrificale del Figlio, che vive in noi, al cui sacrificio noi aderiamo. Questo sacrificio viene compiuto dapprima dal sacerdote... lui, il sacerdote è compreso nel mistero di questo sacrificio... Poiché egli si è offerto per poter offrire.[7]
  • Qualcosa di magnifico sta dietro un'oscura nube minacciosa; è come se il margine della nube fosse d'oro, promettendo ciò che sta dietro; io so tuttavia che la strada va attraverso la nube, e là dentro non ci sarà più niente da vedere dell'orlo dorato.[8]
  • [Le lettere di sant'Ignazio sono] quanto di più straordinario abbia mai letto.[9]
  • [Al momento della fondazione della Comunità di San Giovanni] Se volete impedire allo Spirito Santo di agire in una fondazione, cominciate con lo stabilire delle regole.[10]
  • [...] si è creati per ciò che Dio vuole e non per ciò che io voglio. Questo intendo con la parola purezza.[11]
  • Signore, dona a noi l'amore, soltanto l'amore, affinché noi possiamo servirti.[12]
  • Sono davvero pronta a ogni sacrificio e prego solo perché lo possa anche fare in modo giusto...[13]
  • [I santi sono come] strascico della madre di Dio.[14]
  • [Ad Hans Urs von Balthasar] Vede, Lei dà sempre alla mia esperienza un significato così bello. Lei la comprende infinitamente molto meglio di me. È proprio così che la Sua guida dà forma a ciò che sperimento in un modo pieno di senso e di grazia per me.[15]

Dalla mia vita

[modifica]

Mio padre era dieci anni più vecchio di mia madre. Era uno svizzero tedesco, un uomo serio e riservato; a me appariva sempre infinitamente rispettabile e rappresentava per tutta la famiglia l'autorità assoluta. Mia madre, che veniva dalla Svizzera francese, si era sposata molto giovane e si era sottomessa in qualche modo in ogni aspetto alla personalità di suo marito; in ogni occasione ella si riferiva al suo giudizio e alla sua decisione, a tal punto che sembrava aver assunto il ruolo di una sua figlia; organizzava il lavoro della sua giornata conforme a quello di suo marito, si trovava sempre in casa quando lui aveva finito in ambulatorio o tornava dall'ospedale; con un lavoro in mano o un libro si sedeva vicino a lui e si sforzava di far silenzio. Ciò poteva non essere facile per lei, perché era per natura una creatura vivace e assai comunicativa. Mio padre passava il suo tempo libero leggendo riviste di medicina oppure testi greci e latini. Con vera passione d'uomo dotto egli amava le lingue antiche e ne dominava diverse anche di moderne.

Citazioni

[modifica]
  • La neve cadeva pesante, approfondiva il silenzio, veniva immediatamente dal cielo e portava con sé un mistero inesplicabile. Qualche fiocco restava appeso alla finestra e sembrava una piccola stella piena di luce. Altri cadevano sul davanzale e coprivano lentamente le briciole che aspettavano gli uccelli. Una volta pregai la nonna: «Nonna, raccontami anche una storia del cielo». Allora la nonna domandò: «Perché anche?». «Perché la neve viene di lassù e dice sicuramente che in cielo è tutto bianco». (p. 16)
  • Quando fui in cima a una scala che conduceva lungo una specie di magazzino, mi venne incontro da sopra un uomo: era piccolo, piuttosto vecchio e zoppicava un pochino. Mi prese per mano. A tutta prima mi ero veramente spaventata. Allora lui cominciò a guardarmi e disse: «Pensavo che tu saresti venuta con me, non vuoi?». Con una certa paura (si poteva rifiutare qualcosa a un pover'uomo?) risposi: «No, signore, ma buon Natale». Egli lasciò subito la mia mano, mi parve un po' triste, io continuai la mia strada, e nei giorni seguenti mi son detta una quantità di volte: «Avrei forse dovuto dir di sì, ma non ho potuto che dir di no».[16] (pp. 26–27)
  • «Perché i protestanti non hanno nessuna messa?». «Perché hanno disimparato a cantare, per questo sono diventati così severi». (p. 35)
  • Penso che sia iniziato con la mia visita da Nadine il mio grande amore per i temporali. Sembravano fatti per me, per aprirmi prospettive nuove, per donare alla vita una letizia più forte, ed io spesso guardavo il cielo e gli domandavo se non stesse per raccogliersi lassù qualche grande nube nera in segno di promessa. (pp. 35–36)
  • Non sapevo che cosa preferire: il temporale, che forse avrebbe portato con sé delle sorprese, oppure il tempo bello che avrebbe consentito la festa. (p. 41)
  • I bambini li amavo assai, ma mi divenne sempre più difficile raccontare ad essi storie del Nuovo Testamento. Una sera compresi tutt'a un tratto che a tutte queste storie mancava una madre, erano per così dire storie orfane. (p. 45)
  • Vidi chiaramente che l'eterno «quando sarò matura» aveva perduto senso. La mia vita cominciava ora, era anzi cominciata da tempo ormai, era reale e personale; non esisteva da nessuna parte una parete divisoria che separava il domani dall'oggi o dall'ieri; tutto era oggi; la mia adolescenza era assai più di una preparazione; era la vita stessa; la mia adolescenza impegnava in tutta coscienza la mia età adulta, ne disponeva con un assoluto diritto, e questo diritto implicava un dovere. Tutte queste intuizioni circolarono dentro di me e mi riempirono di angoscia e di gioia. (p. 66)
  • D'un tratto vidi chiaro: la medicina era una scienza vivente! [...] vivente in Dio; giacché la vita non era pensabile per me fuori di Lui. (p. 69)
  • [...] non si poteva avere la propria fede da una parte e la propria vita dall'altra. Dovevamo avere il coraggio di agire. Non si poteva costruire su delle rovine; il compito era di creare spazio per la nuova vita. (p. 124)
  • [...] mi svegliai una mattina molto presto – era appena giorno – a causa di una luce dorata che riempiva tutta la parete sopra il mio letto e vidi come in un quadro la Madre di Dio circondata da varie persone (queste stavano un po' dietro, mentre lei era del tutto in primo piano), come pure da alcuni angeli, alcuni dei quali erano grandi come lei, altri piccoli come bambini. Tutto l'insieme era come un quadro, tuttavia la Madonna era viva, in cielo, e gli angeli cambiavano di posizione. Tutto ciò durò io credo molto a lungo; guardavo come in una preghiera senza parole ed ero piena di meraviglia. Non avevo mai visto nulla di così bello. Al principio tutta la luce era come oro chiaro brillante, poi diventò a poco a poco più pallida, e mentre impallidiva, i tratti della Vergine Maria diventavano più nitidi. Non ero per niente spaventata, ma piuttosto colma di una nuova gioia forte e dolce. In nessun momento la visione mi apparve irreale; non mi passò per la mente di poter essere la vittima di un inganno. (p. 130)
  • Avevo ricevuto un libro che desideravo di leggere da lungo tempo: Docteur Germaine di Noëlle Roger. La sera in camera mia cominciai a mangiarmelo con gli occhi. Era la storia di una donna medico in conflitto tra la sua professione infinitamente amata e la sua vita come donna sposata. Alla fine ella rinunciò alla professione per dedicarsi esclusivamente alla sua famiglia. Di Dio non si parlava in questo libro; tuttavia era accattivante, sembrava rappresentare i problemi della mia stessa vita [...]. Lessi il libro – un'opera in sé mediocre – più volte tutto di seguito e vi scoprivo sempre nuovi punti di vista. (pp. 132–133)
  • Per un attimo mi domandai se non sarebbe stato meglio diventare parroco invece che medico. Ma la inesorabile risposta che già altre volte mi era venuta in mente si ripeté anche questa volta: come puoi diventare parroco senza possedere la verità? (p. 133)
  • Di tanto in tanto io ripetevo a me stessa: è troppo triste, non può esser vero, cesserà. Ma non cessò; il dolore si annidava invece che cessare, deformava ogni cosa, riempiva ogni spazio. (p. 138)
  • A poco a poco venne su di me una grande chiarezza. Non ci si poteva mai uccidere; la vita era degna di essere vissuta, perché Lui l'aveva donata. Ed essendo degna di essere vissuta, era anche giusto che venisse offerta diversamente da una cosa di cui non si ha più semplicemente voglia. (p. 144)
  • Questa cugina [Charlotte Olivier] era di origine russa, molto vivace, parlava con insolita rapidità e con un forte accento. Mi dava spiegazioni sulla mia malattia e sul suo trattamento, che sarebbe stato lungo. Lei mi era estremamente estranea, ma attraverso tutta l'estraneità intravvedevo la sua grande bontà. (p. 147)
  • [Louisa Jaques] Aveva circa vent'anni, aveva grandi occhi neri, una figura alta e slanciata, mani bianche e dolci, una voce leggermente velata. Dopo la seconda o terza conferenza mi accompagnò nel ritorno a casa; dovendomi distendere, lei restò accanto a me. Andando via disse: «Mi costringerai a diventare cattolica». Fu come un colpo per me. Come mai? avevo chiesto. Rispose: «Obbedienza e libertà si incontrano nell'unità come tu le descrivi, s'incontrano soltanto in Dio e nella sua Chiesa». Un anno dopo Louise Jacques ebbe realmente il coraggio dell'avventura: divenne cattolica. Volle entrare nel carmelo. Nessun carmelo del continente, almeno di quelli a cui si era rivolta, la volle accettare a causa dei suoi polmoni. Nell'anno 1938 o 1939 entrò in un carmelo egiziano e vi morì ancora novizia di tifo. Quando in lei esplose la malattia, offrì la sua vita per la conversione dei protestanti. (pp. 150-151)
  • E io sentivo che non era spiacevole essere trattati come una creatura preziosa, unica, perché appartenevo a Dio. (pp. 155–156)
  • I Forel erano soprattutto Oscar Forel, il giovane psichiatra, vivace, musicale e infinitamente indulgente con il giovane essere che io ero allora. [...] lui mi leggeva qualcosa, parlava di psicologia, spiegava il carattere dei suoi figli, sollevava problemi psichiatrici e suonava il violino. Talvolta la sera andavamo giù a Mòsli, alla casa delle donne anziane di cui egli aveva la cura. Ci sedevamo là vicino sull'erba e lui suonava: per le malate? per noi? per se stesso? Chi può mai saperlo? Ma suonava bene, e questa specie di romanticismo non mancava di far impressione su di me. (p. 156)
  • Questa era dunque la morte: lasciarsi dietro questo corpo malato e apparire davanti a Dio con la propria anima, che d'altro più non si occupa che della conoscenza di Dio. (p. 157)
  • Mi venne un pensiero ricco di conseguenze: per poter vivere senza orizzonte bisogna avere un orizzonte in se stessi; e subito dopo la preghiera: Signore, lasciami prender parte al tuo orizzonte. (p. 163)
  • Esisteva dunque lei, la morte, ed era veramente in mezzo ai viventi, tra di noi, tra coloro che amavo e in me. Ma non era libera, si trovava nelle mani di Dio, apparteneva alla sua potenza; Dio vi si rivelava; era un segno. Un segno per i viventi. Bisognava dedicarsi ai viventi, amarli, per comprendere la morte, per comprendere Dio. (p. 168)
  • [...] non ci si sarebbe più preoccupati dell'essenza di Dio, semplicemente lo si serviva, e questo era giusto. Anch'io ero dell'opinione che servire era più importante che comprendere, ma non riuscivo a rinunciare anche a comprendere. (p. 169)
  • Io ero assolutamente dell'opinione che Dio non ama i compromessi. (p. 176)
  • Presupponevo sempre che ogni vita ha come tale un senso in Dio; ma ogni vita ha anche ricevuto d'altra parte un senso speciale e personale, che bisognava conoscere per adempierlo. (p. 180)
  • [...] andai una volta a una conferenza sulla filosofia di Platone, che mi fece una profonda impressione. Il conferenziere non facilitò granché ai suoi uditori la comprensione; le sue complicate proposizioni erano indecifrabili, ma sembravano a tal punto emergere dalla sua anima interiore, in modo così simultaneo con i pensieri espressi, che non potei liberarmi dall'impressione di aver assistito a un atto vivente, a una vera nascita filosofica. [...]
    Ma quale non fu il mio stupore quando Heinrich Barth, il conferenziere, il giorno successivo mi chiamò per telefono per dirmi che avrebbe parlato volentieri con me [...]. Da allora ebbi un nuovo amico, a cui devo alcuni bei momenti. [...] Anche se i nostri discorsi erano un po' maldestri, egli riusciva tuttavia a conferire ad essi un contenuto che rispondesse alla mia sete di sapere. (pp. 194–195)
  • Il nostro insegnante di matematica soleva dirci: «Non crediate che un bel giorno vi sveglierete con la maturità in mano!». A dispetto dell'avvertimento, ci svegliammo di fatto un giorno avendo superato tutti insieme gli esami di maturità. (p. 203)
  • Pensai a Dio con fermezza e intensità; d'un tratto seppi che le mie difficoltà erano realmente piccole a confronto delle sue. (p. 206)
  • Il dott. Wolf ora parlava della musica, la quale sola ha il potere di dare alla vita il suo intimo senso; senza musica nessuna qualità, nessuna vita individuale; e solo la vita individuale, come lui la comprendeva, era degna di essere vissuta. Tutto il resto era subordinazione e non aveva diritto di sussistere. Io non capivo tutto; ma era bello e insieme tragico. (pp. 206–207)
  • La lezione giornaliera di zoologia era molto strana. Il vecchio Zschokke la teneva ogni volta per tutta la mattina parlando forte, a memoria; lo si sentiva nei corridoi. Quando entravamo nell'uditorio, lui stava sulla porta, dava a ciascuno la mano e a coloro a cui voleva bene – era di gran lunga la maggioranza – diceva qualcosa di gentile. Per gli altri – non si riusciva capire per quali misfatti si andava a finire tra di essi – dava soltanto (se la dava) la mano porgendola come senza intenzione, e il suo sguardo diventava rigido ed estraneo, per irraggiare con il prossimo studente di nuovo calore e bontà. (pp. 210–211)
  • Il relativo corso pratico veniva dato da Zschokke insieme con i suoi due assistenti. Anche se tematicamente molto limitato, era tuttavia interessante perché soprattutto Adolf Portmann, il futuro successore di Zschokke, allora assistente, in parte almeno sapeva rompere il quadro. Egli sprizzava alla lettera di intuizioni e di stimolazioni, le quali avevano tutte a che fare con la materia da elaborare ed aprivano tuttavia nuovi territori, scoprivano nuovi modi di pensare e metodi di ricerca. Presto una buona, profonda amicizia mi unì a Portmann; non è mai andata delusa. (p. 211)
  • Amavo la vita, come amavo le persone, come un assoluto dono di Dio. (p. 215)
  • Per me l'istologia significava ciò che [...] erano gli ioni nella chimica: intimissima necessità; allo stesso modo che l'oscura chimica del tempo di scuola era diventata d'un tratto, con l'introduzione della teoria degli ioni, un quadro chiaro e comprensibile, così mi sembrava che per mezzo dell'istologia venissero a cadere le difficoltà essenziali dell'anatomia. (p. 227)
  • Madeleine disse che era chiarissimo che i forti dovevano assumere i compiti dei delusi o anche solo dei deboli. Nel fallimento dei deboli c'era un insegnamento per gli altri. Questi dovevano cominciare esattamente nel luogo giusto: dove si vedeva il fallimento, là era il loro inizio. (p. 234)
  • Vedevo Hotz nei suoi rapporti con le persone, con i pazienti, con quelli svegli, angosciati che aspettavano in anticamera; con quelli che bisognava operare senza narcotico e che non dimenticava mai durante il suo lavoro di incoraggiare; poi anche con i già addormentati, ai quali faceva interventi grandi o piccoli, ma senza venir mai meno in tutto il suo atteggiamento al rispetto per la persona a lui affidata. Guardando lui ho potuto sperimentare che cosa significa un medico che crede profondamente. Devo a lui la cosa massima che io cerco di fare nella mia professione. Vedevo anche il modo come si comportava con i suoi assistenti e le infermiere; poteva diventare impaziente, specie di fronte ad evidenti stupidaggini, ma non offendeva mai e non si comportava neppure come un Dio, ma sempre come un uomo di responsabilità. Se gli sfuggiva, cosa assai rara, qualche parola troppo forte, non aveva pudore di ritrattarla davanti a tutti, a cominciare da quelli a cui l'aveva detta, e se ne scusava con la semplicità e l'umorismo che lo distinguevano. (p. 247)
  • Chi sente sempre tanti lamenti come le infermiere, perde la sensibilità e si dimostra poi incapace di misurare l'intensità e la verità di tante sofferenze. (p. 246)
  • Non volevo un sentiero ma una strada larga e comoda. (p. 255)
  • Pensai una volta di più che lo studio sotto gli abeti è la cosa assolutamente giusta. In via di principio io amo molto gli abeti fin dalla mia fanciullezza, da quando lessi Heidi [di Johanna Spyri] vissi sempre entro l'atmosfera ivi descritta. (pp. 256–257)
  • Per i principianti il metodo di Staehelin non era dei più facili. Veniva in sala molto distratto, ancora occupato da mille altre cose, sembrava sorvolare sul paziente e sugli studenti. Poi improvvisamente egli era a tal punto penetrato nella materia che non lo seguivamo più, non sapevamo da dove i fili venivano e dove andavano. [...] C'erano sicuramente intuizioni splendide, una concezione geniale, ma noi eravamo troppo immaturi per comprendere. Soltanto nei semestri superiori si cominciava ad apprezzare il carattere assolutamente integro di Staehelin, ad intuire e poi a scoprire il grande teorico. (pp. 262–263)
  • Due straordinari scienziati, che erano a un tempo maestri della lingua, erano nel numero dei nostri insegnanti: Doerr e Roessle. Con Doerr imparavamo batteriologia e igiene. Le sue lezioni erano condite da un humour eccellente; come bambini passavamo con divertimento da un'ora all'altra. (p. 264)
  • Sempre più mi divenne evidente che per le persone colpite Dio destina i giorni di malattia a diventare giorni di raccoglimento interiore. (p. 266)
  • Quando si trattò della prima iniezione, io non mi sentivo il coraggio di pungere così semplicemente un'altra persona, ero imbarazzata. Andai così in una stanza vicina e mi punsi alla gamba. Solo che non sapevo che soluzioni ipotoniche possono essere molto dolorose. Mi iniettai così alcuni centimetri cubici di acqua distillata che non ho facilmente dimenticato. L'iniezione come tale però era andata bene, e presi così il coraggio di avvicinarmi ai pazienti con l'ago pungente. (pp. 266–267)
  • Il nostro solito menu conteneva per lo più piselli rossi e verdi, che erano sempre un po' troppo cotti, ma che si adattavano bene a formare ogni genere di figure che dovevano dare al nostro discorso più rilievo. Costruivamo piramidi, disegnavamo strade [...]. A un tratto però i piselli erano inghiottiti perché il tempo di mangiare quel giorno era breve. (p. 267)
  • [...] se noi medici siamo i testimoni della vita e della morte, della vita quando appare e poi scompare, e ci spettava quindi un ruolo importante, anzi, umanamente guardando, normativo, allora il paziente e il suo entourage dovevano poter contare interamente su di noi, e non solo sul nostro sapere, ma anche sul nostro essere. Noi dovevamo essere presenti con una certa trasparenza, chiarezza e purezza continua, avremmo dovuto avere una specie di apertura, non turbata da intime contraddizioni. Non pensavo che ci saremmo dovuti conquistare ogni volta una propria certezza al riguardo di questa interna disponibilità, di questo scioglimento dei nostri peccati, credevo tuttavia che dovevamo sempre tendere a qualcosa di simile. (p. 271)
Adrienne durante il giro della Svizzera che fece da sola in bicicletta, nell'estate del 1924
  • D'un tratto mi fu evidente: il protestantesimo era il contrario di una promessa, era come una retromarcia. Qualcosa della piena verità c'era ancora, ma come reciso dal fondamento da Dio voluto, la parola stava appesa come in aria, era come tagliata via dal legame con Dio. (p. 274)
  • Con aranci e limoni feci delle bevande per Hotz. Mi riempì di orgoglio e di gioia sentire che ne aveva bevuto.
    All'inizio di giugno egli morì dopo dolori terribili; ma si diffuse la voce che era stato bravo fino alla fine, conservando anche il suo umorismo. La notizia della sua morte non mi giunse, è vero, inaspettata, ma mi colpì in modo profondo che mi sorprese. Eravamo all'ospedale quando lo sapemmo; era come se tutto l'ospedale avesse cessato improvvisamente di esistere nel suo senso profondo. (pp. 279–280)
  • A un tratto Augustin si trovò accanto a me e cominciò a parlare di Schiller. [...] Schiller e la responsabilità, la sua missione di poeta. Fare ciò a cui si è chiamati, farlo interamente, almeno nella propria intima anima non tollerare ambiguità. Schiller l'ha sempre cercato e per questo è diventato più grande di Goethe. (p. 280)
  • [Franz Merke] Lo temevo un po', soprattutto mi sembrava che fosse la mia ignoranza che aveva paura del suo grande sapere. Alcune volte dovetti far pratica con lui, non andò troppo male, soprattutto perché aveva una maniera illuminante di interrogare; dalla domanda stessa c'era già molto da imparare. (pp. 282–283)
  • I nervi li poteva qualche volta perdere un medico, non un'infermiera. Gli strumenti non facevano rumore nelle loro mani, era come se avessero delle mani ordinanti, le quali anche durante l'operazione più difficile non perdevano mai la capacità di servire e perciò di far ordine. (p. 291)

Citazioni su Dalla mia vita

[modifica]
  • Certe cose vengono in questo libro narrate incisivamente; altre in maggior numero vengono taciute. Un'illuminazione retrospettiva fa prevedere le profondità che si nascondono dietro singole parole. (Hans Urs von Balthasar)
  • Di suo pugno Adrienne scrisse relativamente poco. L'opera più significativa, benché incompleta, è l'autobiografia [...]. Con stile piacevole, anche se a tratti prolisso, l'autrice narra i primi anni della sua vita, descrive l'ambiente familiare, la religiosità liberal protestante, rigorosamente privata dei genitori, si sforza di esporre con obiettività le difficoltà con la mamma, le sue aspirazioni alla concezione cattolica del cristianesimo. (Elio Guerriero)

E seguirono la sua chiamata

[modifica]

La chiamata viene sempre dal Signore. Egli conosce tutte le strade del mondo, i bisogni di tutti quelli che lo seguono. Egli lavora senza sosta alla Redenzione, chiamando gli uomini ad aiutarlo. Ma il fatto che lo debbano aiutare, non è ciò che viene percepito per primo nella chiamata.
Ci sono molti che sentono ripetutamente la chiamata di Dio, senza prenderla sul serio. Essi hanno un'idea precisa di ciò che Dio fa per reclutare dei collaboratori per la sua vigna; essi possono sviluppare delle teorie su quelli che rispondono, sono al corrente del minimo di ciò che un uomo può offrire, ma anche del massimo. Allo stesso tempo, però, chiudono il loro cuore, come se tutto ciò non li riguardasse personalmente, come se il loro ruolo si limitasse a quello di essere degli osservatori, tutt'al più dei testimoni. Tra di loro si domandano chi potrebbe essere ben indirizzato, il modo in cui il tale e il tal altro dovrebbero rispondere, amerebbero anche dare dei consigli a Dio sul modo di procedere al fine di rendere la sua chiamata ancora più pressante, più attraente, il suo linguaggio più comprensibile. Ma essi stessi non sentono.

Citazioni

[modifica]
  • Dio chiama nella Scrittura, Dio chiama nella predicazione, Dio chiama anche in ogni preghiera. Non c'è preghiera autentica, dove non risuona una chiamata. (pp. 7–8)
  • Nel Giardino degli Ulivi, il Figlio chiama i discepoli addormentati; sebbene questi non percepiscano la sua chiamata, li chiama in modo che sappiano, pur tuttavia in modo confuso, che essa continua a risuonare. Ora, il Figlio prega soltanto il Padre, ma egli si è fatto uomo per andare insieme a noi verso il Padre; ci fa partecipare sempre alla sua preghiera, ad ogni parola che pronuncia; noi siamo dei chiamati anche là dove egli stesso è solo con il Padre. Egli non ci depone mai come un fardello; non gli siamo mai di peso. E, nella sua parola al Padre, egli anticipa la risposta che noi gli daremo, la presuppone. Sul Monte degli Ulivi, egli non vuole presentarsi davanti al Padre come uno deluso. La sua preghiera è sempre un banchetto e noi siamo sempre degli invitati. (pp. 8–9)
  • La chiamata è il fatto assoluto, l'obiettività incorruttibile; è la voce di Dio che si rivolge ad una persona determinata e, attraverso questa chiamata, egli, l'apostrofato, diventa ciò che è; entra nell'unica sola luce, che in verità lo illumina. Tutto ciò che è positivo, tutto ciò che è negativo in lui, si fa vedere. E la chiamata, nella sua perfezione e nella sua obiettività, comincia immediatamente ad agire. Ciò che è stato sognato, l'irreale, l'immaginario viene eliminato come un abito di cui non si ha più bisogno, che non va più bene. (pp. 17–18)
  • La chiamata raschia la persona di tutto il superfluo, ma la carica pesantemente del nuovo che inizia a trasformarla, lei e la sua vita, nel senso della scelta fatta. (p. 18)
  • La meschina bigotteria che si incontra così spesso nella Chiesa e che fa della fede qualche cosa di molto garbato e sentimentale e la rende ridicola agli occhi degli altri, ha sempre la sua sorgente nel tentativo di riportare il divino alle dimensioni dell'umano. L'uomo non sta più davanti al volto del suo Dio, ma davanti ad un'immagine che la sua ragione ha fabbricato a misura della sua propria natura. (p. 72)
  • Il Verbo è ubbidiente al Padre e per questa ragione per noi diventa ascesi. (p. 74)
  • L'ascesi è pacifica, ma la pace non è il suo fine ultimo; essa è pacifica al fine di donare di più a Dio, per arrivare ad una spoliazione più totale del fedele, ad una rinuncia più radicale di ogni ricchezza possibile, ad un'espropriazione più rigorosa. Finalmente povertà come amore, povertà in ogni ambito, soprattutto anche in quelli spirituali. Essa assomiglia all'amore di un medico per i suoi malati, il quale esige da loro, per guarirli, che osservino delle prescrizioni ardue in maniera molto scrupolosa. E la guarigione nell'ascesi è la prossimità a Dio. (p. 110)

Citazioni su E seguirono la sua chiamata

[modifica]
  • La strada che imbocca nuovamente Adrienne von Speyr, è la strada che vuole convincere per la totalità. [...] Il tutto del cristianesimo rende talmente felici che, in suo nome, si può esigere anche il rigore di un'ascesi. È solamente perché il Cristo dona tutto, un tutto divino, che egli esige tutto, che domanda al credente il piccolo tutto umano. Questo libro vuole essere letto e interpretato in vista di questa totalità. (Hans Urs von Balthasar)

Esperienza di preghiera

[modifica]

Il parlare di Dio con Dio non è un puro dialogo, tanto meno un monologo, ma un avvenimento operante dell'amore tra Padre, Figlio e Spirito, e da questo avvenimento trinitario si espande ogni volta il cristico, perché la parola di Dio resta nell'incarnazione l'avvenimento originario. La parola di Dio non prende, per entrare nella chiesa e dentro la chiesa, la forma di manifestazioni di opinione, di discussioni, tanto meno di pure affermazioni dottrinali; essa resta azione di Dio dentro alla chiesa, a cui le tre persone divine partecipano in unità. Ed è l'orante che esperimenta questo carattere di azione, nel quale egli incontra la novità di Dio e ha parte ad essa.

Citazioni

[modifica]
  • Se preghiamo in autentico abbandono e nella verità, allora la nostra preghiera sarà già compiuta nell'istante in cui la rivolgiamo, diversamente forse da come ce l'aspettavamo, ma tuttavia realmente. E noi ci stupiamo dell'infinita possibilità di compimento che Dio ha, della varietà, della ricchezza. Mentre ci stupiamo, comprendiamo più profondamente, esperimentiamo diversamente, siamo trascinati fuori dal nostro spazio nello spazio di Dio che dona, siamo sollevati dalla nostra attesa all'attesa dell'eterna parola che parla. (p. 2)
  • Quando Dio parla, la necessità della replica dell'uomo quasi scompare dall'orizzonte, perché Dio dice tutto così perfettamente, che la stessa cosa non potrebbe essere detta meglio in una più lunga spiegazione. Dio ha la completa conoscenza dell'uomo, perciò la sua parola incontra esattamente il suo bisogno ed è sempre già risposta alla sua domanda, pronunciata o tacita. (p. 5)
  • Si considera l'Amen come una chiusa; ma esso dovrebbe essere soltanto una parola di passaggio all'atteggiamento di preghiera che deve continuare nel lavoro; in ogni altro compito. Dicendo «Così sia», pensiamo che ciò che era nella preghiera anche in futuro sarà così, e conserverà lo stesso valore. L'Amen in sé è parola di preghiera e l'orante deve metterci dentro tutta la sua forza, perché proprio questa parola sia viva e vera in tutto quello che fa. Questo è possibile se l'uomo prende in se stesso tutta la forza della parola e se ne lascia influenzare. (p. 6)
  • Se io pregassi ora con ardore e facessi subito dopo di nuovo delle cose che non possono esistere davanti alla verità del Signore, allora danneggerei la verità del mio pregare: la frantumerei. Può sembrarmi temerario il pensiero che io posso nella verità aver parte alla verità di Cristo; ma questa temerarietà è esigita, perché Cristo possa assumermi. (p. 9)
  • Chi riceve nella confessione l'assoluzione del suo peccato, se ne libera veramente. Il peccato non è soltanto compresso, ricacciato in una riserva; esso è rotolato via. E così non può più ostacolare la verità della preghiera. Al posto dell'esperienza di peccato il credente ha ora l'esperienza della grazia dell'assoluzione. (p. 10)
  • Così tutto dipende dal fatto che noi preghiamo veramente: che facciamo diventare le cose che diciamo verità per noi e in noi; che la nostra fede sia la verità della nostra vita e non una dispensa per il tempo del bisogno. (p. 11)
  • Nella chiesa, ogni credente sa di appartenere alla comunità dei santi, ma anche di essere un peccatore buono a nulla, pieno di errori, coscienti, presentiti, sconosciuti. D'altra parte egli sa che malgrado ciò può e persino, secondo la volontà di Dio, deve restare nella comunità dei santi. (p. 14)
  • Una preghiera in cui l'uomo stesso gioca il ruolo principale, può solo essere opaca. (p. 22)
  • Se due amanti dialogano, colui che parla ha sempre la sensazione di dire troppo poco. La parola gli si nega. Ma chi lo sente è sotto l'impressione che la parola non solo dica tutto, ma apra delle prospettive, completamente nuove, a un felice di più. (p. 28)
  • Quando Dio parla, nella preghiera, col credente, si fa a lui percepibile, ma la sua parola contiene di più di quello che è percepito, di modo che l'orante può attingere, dalla parola accolta, sempre qualcosa di nuovo. Lui stesso trova la sua parola insufficiente per dire a Dio quello che potrebbe dire, ma confida che Dio, dalla parola timida e goffa, capisca quello che vuole: tutto il contenuto della sua fede. E quando si ricorda che Cristo è la parola, allora questa parola diventa per lui mediazione: la parola di Dio si realizza per lui in Cristo: quel che il Padre ha da dirgli ha trovato piena espressione nel Figlio incarnato, ed egli ha bisogno soltanto di contemplare il Figlio pregando, per avere parte alla pienezza del suo essere-parola. (pp. 28–29)
  • Ella [Maria] beve alla sorgente, e la sorgente è un mare inesauribile. [...] Ora all'improvviso è l'oceano con tutto il suo impeto e la sua tempesta e la sua immensità. Non è affidata più a un mare liscio e tranquillo, ma messa in balia, all'improvviso, al centro del pericoloso ondeggiamento di una grazia infinita. (p. 32)
  • In ogni vero orante, il frutto della sua preghiera assomiglia al frutto corporale di una madre. (pp. 36–37)
  • Quando uno sta seduto lungo il mare e contempla il movimento delle acque, pensa spesso che potrebbe inseguire un'onda. Ma allora essa si perde nel movimento e vive solo nel tutto. (p. 65)
  • L'eternità è preghiera; è la preghiera dello stesso Dio trinitario. (p. 70)

Le preghiere della terra

[modifica]
  • Signore, ti ringraziamo per la festa di Pasqua. Ti ringraziamo perché, dopo la morte e la discesa agli inferi, dopo aver provato il più completo abbandono, sei ritornato a noi, ti sei ricordato del nostro breve abbandono e lo hai superato con la pienezza della tua presenza. Tu hai patito la morte causata da noi con il peso dei nostri peccati: tuttavia ritorni a noi come nostro fratello, con il dono della tua redenzione. Non ci fai scontare il fatto che noi ti abbiamo portato sulla croce; anzi, ci lasci partecipare alla tua gioia, festeggi con noi un nuovo incontro come se non fossimo mai stati infedeli, come se ti avessimo sempre atteso nella fede e nella tristezza del distacco, come se fossimo capaci di aggiungere qualcosa alla tua gioia. (p. 79)
  • Il nostro amore può essere solo risposta e amore di risposta, perché tu, eterno amore trinitario, ci ami sempre per primo. (p. 83)
  • Donaci la gioia e la grazia del servizio, oggi e in eterno. Amen. (p. 85)
  • Signore, benedici i malati. Tutti coloro che sanno o sentono di esserlo, che soffrono, che stanno per morire. Benedicili, non solo perché trovino la forza di sopportare, ma soprattutto perché imparino a soffrire per te e a riconoscere la presenza della grazia nel loro dolore. Mostra loro che qualsiasi dolore prende senso dal dolore che tu hai patito sulla croce: il Padre lo riveste del senso della tua passione e lo utilizza per la redenzione del mondo. Mostra loro che, se accettano di soffrire nel tuo nome, il dolore e la malattia danno frutto: tu puoi aver bisogno di loro per aiutare altri, per alleviare le sofferenze di altri, per aprire vie altrimenti impercorribili. Da' loro la forza e il coraggio ma anche la pazienza. (pp. 85–86)
  • Possiamo capire la morte, la malattia, anche il bisogno, Signore; ma che ci si possa allontanare da te, dopo che si è conosciuta la tua grazia, questo ci rimane inconcepibile. Sarebbe facile per te rendere così evidenti i segni della tua grazia che nessuno possa più dubitarne, o riconquistare con un dolce richiamo chi si è allontanato; ma tu non lo fai, nella tua sapienza non lo fai. Signore, lascia tuttavia che ti preghiamo con tutta l'anima per questo: fa' che il nostro grido penetri l'indolenza di coloro che si tirano indietro, che le nostre membra soffrano per loro; accetta ogni sacrificio per loro ma, ti imploriamo, rendi possibile, anzi facile il loro ritorno e permetti che siamo noi a pagarne il prezzo che ti parrà giusto. Cercheremo di darti ciò che vuoi, ma dona loro nuova fede e nuova grazia. (pp. 91–92)

Le preghiere del cielo

[modifica]
  • Deve divenire evidente il modo in cui il credo apostolico apre le dodici porte, non perché ciascun articolo della professione vada attribuito a ciascun apostolo o perché rivesta per lui un particolare significato, ma perché lo spirito della grazia degli apostoli, che condividono tutti insieme le loro missioni in quanto provengono tutte dall'unica fonte del Signore, apre tutte le dodici porte della città, in cui non solo tutti i dodici articoli vengono proclamati da tutti gli apostoli insieme, ma da ciascuno di loro nella sua particolare maniera. (p. 96)
  • Tuo Figlio, Padre, dopo essere morto in croce, ha accettato anche di essere inviato all'inferno, nella landa più abbandonata e desolata in cui mai nessun vivente ha posto piede. Egli lo ha fatto per prendere parte più pienamente a tutti i tuoi misteri, per mostrarti che non è mai stanco del tuo servizio e non è mai sazio del suo amore per te. Con questo sovrappiù della discesa all'inferno è andato oltre il di più della croce. (pp. 97–98)
  • Ti preghiamo, Padre, permetti che anche la nostra vita quotidiana diventi una risposta alla tua eternità. (p. 105)
  • Venga il tuo regno. Ti preghiamo, nel nome della tua santità rivelata, fa' che venga a noi il regno della tua luce, che risplenda nella nostra oscurità, che porti il giorno nelle nostre notti; fa' che la grazia del tuo regno si erga proprio là dove era ancora l'amarezza dei nostri peccati. (pp. 106–107)
  • Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. La tua volontà, Padre, con quella del Figlio e dello Spirito è unica, divina, santa, indivisibile. Fa' che si realizzi in noi, come si è realizzata nella luce del tuo cielo. (p. 107)

Citazioni su Esperienza di preghiera

[modifica]
  • Adrienne lo sperimenta misticamente con particolare intensità: il reciproco essere-aperti di cielo e terra non è estraneo a nessun vero credente; il libretto Gebetserfahrung [...], in cui si esperimenta molto della vita intima di preghiera di Adrienne, mostra che i passaggi tra la preghiera "ordinaria" e "mistica" sono spesso fluttuanti, come lo si può accertare anche secondo la dottrina dei Padri e dell'Aquinate riguardo ai doni dello Spirito Santo. Che gli accessi al cielo dalla terra siano così numerosi, che l'"aldilà" non sia lontano da noi, ma del tutto presente, è per il nostro tempo un messaggio particolarmente significativo. (Hans Urs von Balthasar)
  • Esperienza di preghiera [...], come dice lo stesso titolo, ha un carattere più personale [rispetto a Il mondo della preghiera]. Adrienne vi presenta in qualche modo il proprio atteggiamento di preghiera, da cui risulta che il confine con l'aldilà non è lontano, bensì presente in noi. (Elio Guerriero)

Il mistero della morte

[modifica]

All'epoca della creazione, Dio ha stabilito l'uomo signore e padrone di un mondo buono. Dio ha dispiegato nello spazio le cose sulle quali l'uomo regna e ha creato la durata, che permette all'uomo di possederle. Ma l'uomo si è allontanato da Dio e, così facendo, ha alterato ogni sua relazione con la creazione. Dio gli ha revocato lo spazio originario, espellendolo dal paradiso; gli ha anche sottratto il tempo originario, sottomettendolo alla sofferenza, alla pena e alla morte.

Citazioni

[modifica]
  • Attraverso la morte e il tempo finito che gli corre incontro, Dio ha mostrato all'uomo che deviare da Dio è qualcosa di molto più serio di quanto l'uomo avesse pensato, qualcosa di così serio che l'uomo da sé non lo può riparare. (p. 7)
  • È attraverso l'eternità che ciò che è effimero riceve il suo senso [...]. (p. 29)
  • Ciò che diventa vivo nella preghiera, è così grande solamente perché fa parte della vita eterna di Dio, che fa andare in frantumi i limiti della nostra vita terrena. Dio non ci ha creati per un tempo, ma per la sua eternità. (pp. 40–41)
  • Il presente non custodisce un senso se non alla luce di ciò che è eterno. E già sulla terra sembriamo dei bambini della vita eterna. (p. 41)
  • E si potrebbe comprendere il rapporto tra l'Antico Testamento e la morte in questo senso: che tutto l'Antico Testamento finisce sempre, e finalmente più che mai, in un non sentire più la voce di Dio, mentre il Nuovo Testamento appare come un'irruzione del tutto nuova della Parola di Dio. (p. 41)
  • Quando il credente guarda i due regni della creazione, il cielo e la terra che appartengono, entrambi, al Padre, comprende che il regno del Padre nel cielo è sempre rimasto conforme alla volontà e ai disegni del Padre, mentre la terra è cambiata a causa del peccato degli uomini. (p. 44)
  • Ma è soltanto di fronte alla risurrezione che [...] la vittoria del cielo sulla terra è completa, che il Padre può trasformare anche l'ultimo nemico, la morte, in vita eterna, il castigo in ricompensa suprema, l'angoscia in eterna beatitudine. La risurrezione del peccatore è la decisione estrema, la più splendente che Dio possa prendere al riguardo di un essere umano. Essa non è solamente vittoria, ma capovolgimento radicale di tutto ciò che è esistito, è stato vissuto e atteso. Sembrerebbe quasi che la morte sia stata inventata affinché sia data all'uomo la prova estrema della gloria onnipotente del Padre. (p. 45)
  • Tutte le oscurità della morte si risolvono nella chiarezza suprema della vita eterna. (p. 46)
  • La morte è accesso alla vita eterna. E nella vita eterna di Dio, tutto è riconciliato. (p. 69)
  • Quando il Figlio muore sulla croce, muore della morte di tutti i peccatori e di tutti i santi. L'istante della sua morte significa per tutti i morti uno spostamento sul piano dell'eterno, che sarà provato da ciascuno di loro, dato che il Signore, mediante la sua morte, ha salvato ciascuno di loro. (p. 80)

All'inizio, per amore, Dio ha creato l'essere umano, come uomo e donna. Ma l'uomo e la donna hanno peccato e hanno meritato la morte. Considerando l'offesa fatta a Dio, la morte doveva essere un castigo inesorabile. Ma la misericordia di Dio e il suo amore sono più grandi della sua volontà di castigarli. La morte rimane come avvertimento, ma anche come il mezzo decisivo per diventare degni, attraverso la purificazione scelta da Dio, di comparire davanti al suo volto. Per dare alla morte il carattere della misericordia, Dio Padre ha scelto come mezzo il suo amore per il Figlio, ma anche perché il loro amore reciproco è sempre superato, l'amore del Figlio per lui e per la sua opera. Ed egli ha permesso che la Nuova Eva, con il Nuovo Adamo, dessero alla morte il carattere di misericordia. Ed egli ha accordato anche alla morte il carattere della confessione che la rende, assieme al purgatorio, una purificazione. Ma non era ancora abbastanza; egli ha permesso che sua Madre fosse accolta in cielo con il suo corpo, affinché il Padre possedesse una contro-immagine della creazione: la prima coppia l'ha tradito, l'ultima coppia l'ha soprattutto amato. Guardando questa coppia, chi muore acquisisce la certezza che l'amore sia più forte della morte. Il circolo di ritorno in paradiso non è solamente chiuso, è superato perché la morte viene annientata nella vita eterna.

Il mondo della preghiera

[modifica]
  • Come strada per arrivare alla natura di Dio, come strumento per spiegare il suo essere noi dobbiamo usare proprio ciò che noi, come cristiani, sperimentiamo di Dio. Se volessimo rinunciarvi, ci chiuderemmo nel nostro mondo terreno [...]. (p. 41[17])
  • Nulla in Dio è più fondato dell'adorazione. Essa è qualcosa di così eterno che la nostra commozione davanti a Dio è solamente una debole eco dell'eterna commozione di Dio davanti a Dio. (pp. 69–70[18])
  • Così come sono, Signore, e come posso divenire attraverso di te, così io vorrei seguirti. Ma ciò che io posso divenire attraverso di te sta nelle tue mani a tal punto che per me nulla di ciò che sono stato fin'ora ha più senso; di tutto ciò che io sono e che posseggo tu puoi disporre completamente. (p. 193[19])

Citazioni su Il mondo della preghiera

[modifica]
  • Dalle parole di Adrienne il mondo della preghiera è percorso in tutta la sua profondità e in tutta la sua estensione soprattutto là dove l'orazione di ognuno si versa nel tesoro ecclesiale e da questo stesso tesoro è sostenuta e assorbita. (Antonio Sicari)
  • Die Welt des Gebets [...], una delle maggiori opere, inizia con un capitolo coraggioso su "La preghiera nella Trinità". Ogni persona divina vede nell'altra Dio, colui che è sempre maggiore al di sopra di ogni definitivo comprendere, degno di un'adorazione eterna. Così il "dialogo" trinitario assume la forma di preghiera originaria, a cui partecipa ogni preghiera nel mondo, nella cui atmosfera si deve inserire; può essere adorazione, ringraziamento o domanda: per tutto ciò, il prototipo si trova nel dialogo trinitario. Come Giovanni e Ignazio, come Anselmo o i Padri greci, Adrienne è sopraffatta e come posseduta dal pensiero che Dio è il "sempre maggiore". Ogni concetto si schianta nella sua pienezza, solo la scialuppa della preghiera ci conduce al di sopra di ogni concetto verso il mare infinito di Dio. (Hans Urs von Balthasar)
  • Il mondo della preghiera [...] è appunto un mondo: ogni aspetto meriterebbe di essere guardato e approfondito e «abitato» con più agio contemplativo di quanto non sia stato possibile in questa troppo veloce sintesi. Essa può solo farne nascere il desiderio.
    Il messaggio che Adrienne ha lasciato, proprio mentre parla della preghiera, appartiene già al tesoro della contemplazione ecclesiale di cui è frutto evidente. In particolare, con questo dono, Adrienne ha richiamato la Chiesa intera, dal più semplice cristiano al più erudito teologo – forse soprattutto costui – su una fondamentale questione di metodo: [...] solo delle personalità oranti possono «ragionevolmente» accostarsi al dolce mistero dell'unità delle Tre persone divine (e quindi a tutti gli altri misteri cristiani). (Antonio Sicari)

L'ancella del Signore

[modifica]

Come un covone afferrato al centro si prolunga verso le sue estremità, così la vita di Maria è concentrata intorno al suo «sì», che le conferisce senso e forma, e da qui si dispiega sia a ritroso che in avanti. Questo solo episodio unificante è nel contempo lo stesso che accompagna ogni momento della sua esistenza, illumina ogni svolta della sua vita, attribuisce ad ogni situazione il suo particolare significato e dona a lei stessa, in tutte le occasioni e sempre di nuovo, la grazia della comprensione. Il suo «sì» dà pieno senso ad ogni momento, gesto, ad ogni preghiera della Madre del Signore. È questa infatti la natura di un «»: lega chi lo pronuncia, ma gli concede ad un tempo piena libertà di realizzazione. Costui permea il «sì» con la sua personalità che esercita una propria influenza e determina tendenze legate al singolo che contemporaneamente, però, viene plasmato, liberato e realizzato mediante il suo stesso «sì». Ogni libertà si sviluppa con la dedizione e la rinuncia ad essere privi di vincoli, e in un legame proprio questa libertà risulta quanto mai proficua.

Citazioni

[modifica]
  • L'infanzia rappresenta sempre un momento preparatorio di concentrazione in vista dell'azione decisiva che seguirà in una seconda fase e sarà, nel caso di Maria, nient'altro che il «sì» capace di determinare ogni cosa. (p. 7)
  • Ogni promessa seria e vincolante rende tuttavia possibile gettare lo sguardo sull'intera vita spirituale di un individuo e si trasforma forse nella somma di quest'ultima. (pp. 11–12)
  • Vivere nella fede significa vivere nel silenzio. (p. 20)
  • L'Angelo, senza presentarsi [a Maria], può quindi iniziare subito con il suo saluto: «Ave, o piena di grazia». In questa sua prima forma di saluto le conferisce immediatamente il titolo che le è dovuto in quanto non ha dubbi ch'ella accetterà ogni cosa. Senza averlo pronunciato, con il suo contegno e la sua costante attesa del cammino riservatole da Dio, Maria ha già pronunciato il suo sì. L'angelo può quindi continuare: «II Signore è con te!». Ella non ha ancora concepito il Signore che tuttavia è già presso di lei in quanto l'ha prescelta come sua Madre e con la stessa sicurezza con cui l'Angelo le rivolge ora il suo annuncio, anche il Signore sapeva che avrebbe accettato tutto, persino di averlo come Figlio. (p. 26)
  • Il Magnificat che Maria recita presso Elisabetta contiene l'interpretazione della sua missione personale, missione che quasi scompare nella grandezza di Dio dal quale le è stata conferita. Inizia esaltando Dio e ripone in questo elogio tutta la gioia del suo animo. Ha sempre pregato nel silenzio e continuerà a farlo finché vive. Fa però parte della sua missione pregare una volta davanti a testimoni, in pubblico. In questo momento Dio ha bisogno di lei come seguace che deve rispondere a quanto Elisabetta percepisce in lei; questa risposta le viene suggerita dal Padre stesso e contiene tutto il suo messaggio ad Elisabetta ed attraverso di lei all'umanità. (p. 47)
  • Davanti ad Elisabetta ed attraverso di lei davanti a tutta l'umanità [Maria] ha il compito di far conoscere il suo compito e non trova difficoltà a parlare di se stessa. (pp. 47–48)
  • Ci saranno santi, come Teresa d'Ávila, che avranno una maggiore consapevolezza del ruolo che devono rappresentare e altri, come Teresa di Lisieux, che meglio personificano l'umiltà cui rimane celata la piena consapevolezza. In Maria però si rafforzano e si accrescono scambievolmente: è umile perché consapevole, consapevole perché umile. (p. 50)
  • Il Magnificat ci dimostra con che cura la Madre conservi nel suo cuore tutte le parole di Dio. Dice solo ciò che il suo incarico prevede, tace su tutto il resto. Dalle sue parole si percepisce però che sa molto di più. Il suo silenzio non è dimenticanza, ma memoria. Ella include tutto nella sua preghiera ed ora, poiché il Figlio è nel suo grembo, la sua preghiera è diventata più che mai indivisibile da quella di suo Figlio. (pp. 50–51)
  • Solo la sua Immacolata Concezione spiega come, tra i sentimenti di Maria, non esista alcun tipo di contrasto o di tensione tra la dedizione a Dio e quella da riservarsi allo sposo. Anche la più pura delle ragazze, una volta che si trova soggetta alla legge del peccato originale, non può fare a meno di subirne almeno in parte le conseguenze. A partire dal castigo inflitto ad Eva non solo è doloroso partorire, ma anche la dedizione relativa al proprio corpo è legata, in particolare per la donna, ad una specie di mortificazione. (pp. 53–54)
  • Se Maria porta con sé una speciale forma di ubbidienza e Giuseppe la povertà, la castità risiede quindi nell'unione di entrambe, anche se ciascuno a suo modo già la possiede: la Madre con il suo aprirsi senza riserve a Dio e Giuseppe nella sua sottomissione ad ogni particolare disposizione che riguardi il matrimonio e sia in linea con le istruzioni di Dio. (p. 62)
  • Lo Spirito dell'Avvento è come una anticipazione dello spirito del digiuno e della quaresima. Il punto chiave dell'Avvento non risiede al suo interno, ma nel periodo della Pasqua. Se la Madre nell'attesa del Figlio offre un così alto grado di disponibilità, apprende direttamente ad essere disponibile anche nel momento della croce. (p. 67)
  • Ogni madre mette a disposizione del figlio una sorta di eccedenza, una specie di credito illimitato. Ogni madre possiede tanto amore materno che nessun bambino, anche il più affettuoso, sarà mai in grado di restituirle, comunque non ora durante il periodo dell'attesa. La madre conserva questa eccedenza d'amore sempre disponibile sia per il figlio che per i suoi giorni a venire, belli o brutti che siano. (p. 68)
  • Maria percorre insieme al Figlio il cammino che porta verso la croce. Procede immersa in una totale ed umana tristezza qual è quella di una madre terrena che deve assistere alla fine del Figlio, e non solo alla fine della sua vita, ma anche dei suoi progetti, delle sue speranze e della sua opera. Maria fa così esperienza di tutto questo, pur sapendo che la missione del Figlio non ha fine. (p. 115)
  • La tristezza si nutre di dolore ed il dolore di tristezza. (p. 116)

La Madre ha visto crescere il Figlio, osservando tutti gli stadi del suo sviluppo, conosce perciò ciò ch'egli ama o rifiuta; tenta, con lo sguardo rivolto al Figlio, sempre con riferimento al suo Spirito, di portare i suoi nuovi amici alla perfezione. Per loro sarà in certo qual modo sia una Madre che una Sposa come lo è stata per il Figlio, e li assisterà con tutta la sua purezza e la sua capacità di donarsi. Se essi riconoscono realmente questa ricchezza allora vi ricorreranno per farne uso quando saranno indotti in tentazione, o si troveranno in condizioni di abbandono o di difficoltà. Le loro preghiere, così come le loro opere e sofferenze, vengono ad essere completamente avvolte, come in un mantello, dal sì della Madre e dal suo fiat che subito si manifesta nell'esultanza del fecit mihi magna e diviene una vissuta glorificazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Citazioni su L'ancella del Signore

[modifica]
  • L'ancella del Signore descrive i voti religiosi rendendoli personali e mariologici. (Joseph Fessio)
  • L'ancella del Signore è il primo libro con il nome di Adrienne [...]. Esso mette in risalto il sì obbediente della Vergine nel quale confluiscono l'amore di Giovanni e l'obbedienza di Ignazio. (Elio Guerriero)

L'Apocalisse

[modifica]
  • Egli [Giovanni] ha alle spalle una vita di fede chiara, nell'amicizia con il Signore e ora nella vecchiaia viene strappato a tutto questo e scaraventato nell'incommensurabile e superdimensionato. (p. 9[20])
  • Le visioni sono come figli che Dio dona e che bisogna portare pazientemente durante la gravidanza. Nessuna madre apre il proprio corpo per vedere il figlio prima del tempo. Invece il falso mistico perde la pazienza. Si annoia troppo a limitarsi a guardare, si immischia, accelera, ed esagera. (p. 32[21])
  • Come l'inizio del Vangelo fu la rivelazione per mezzo dell'angelo alla Madre, così l'inizio dell'Apocalisse è la rivelazione per mezzo dell'angelo a Giovanni. (p. 36[20])

Citazioni su L'Apocalisse

[modifica]
  • L'opera di Adrienne von Speyr è basata su alcuni presupposti. Essi sono essenzialmente i seguenti: 1) l'autore dell'Apocalisse è il discepolo prediletto Giovanni, che l'ha scritta come sua ultima opera dopo il Vangelo e le lettere; 2) le sue affermazioni vanno prese sul serio. Egli ha realmente visto quel che dice d'aver contemplato, e l'ha visto precisamente nel modo in cui lo riferisce: perciò non ha finto né il fatto del rapimento, perché una cosa del genere fa parte del modo di esprimersi del genere letterario apocalittico, né ha fatto ricorso a forme e immagini letterarie esistenti, magari per esprimere un'estasi effettiva; la sua opera è originaria ed autonoma. Essa, qualora qui si possa seriamente parlare di un genere letterario, costituisce al riguardo l'analogatum princeps; se l'Apocalisse conclude la serie delle visioni e predizioni bibliche genuine, allora queste (soprattutto in Ezechiele e Daniele) nell'economia salvifica divina erano orientate alla "rivelazione" conclusiva "di Gesù Cristo concessagli da Dio". Erano predizioni preparatorie e parziali di quanto Dio volle ora rivelare per mezzo di Cristo ai suoi servi nella Chiesa e che manifestò "inviando il suo angelo al suo servo Giovanni" (Ap 1,1). (Hans Urs von Balthasar)
  • Quanto sconnesso ed eccitante fu il dettato dell'inizio e della parte centrale, tanto meravigliosamente chiaro fu invece quello conclusivo. (Hans Urs von Balthasar)

L'uomo di fronte a Dio

[modifica]

In ogni esistenza viene il momento in cui l'uomo comincia a riflettere sulla sua posizione nell'universo, sul suo avvenire, sui limiti del suo potere. Se non che al suo avvenire egli non può pensare senza coinvolgere il suo passato nel momento presente. Vede quello che ha progettato o raggiunto fino allora, vede anche tutto quello che non ha raggiunto, che è andato fallito, che forse gli sta davanti come un suo personale fallimento. Ricorda i giorni di lavoro, i giorni di riposo, le sue notti, i suoi sogni ad occhi aperti, il molto che ha ricevuto, il poco che ha dato. Vede che non sarà facile fare il bilancio, poiché sono tanti i semi non fruttificati. Molte voci restano seguite dal punto interrogativo, di quando in quando vi è qualcosa di ben riuscito, che si potrebbe significare con una cifra tonda. Eppure non è del tutto certo che questa cifra sia davvero tonda; essa, infatti, si trova in una serie di molte altre cifre spezzate.

Citazioni

[modifica]
  • La Chiesa è il luogo in cui tutti i limitati si raccolgono nell'illimitatezza; in quanto viene tolta loro la limitatezza, sono, in linea di principio, santi; in quanto vivono conforme a questa assenza di confini, realizzano anche la santità loro concessa. (p. 13)
  • Quando prega, l'uomo non vede il suo Interlocutore. Sa soltanto che il suo è un dialogo. (p. 17)
  • Quando due si accomiatano, c'è una ultima parola da pronunciare. Essa resterà chiusa nei loro cuori, i due la custodiscono e nutrono, ne tengono vivo il fuoco e ne sono tenuti vivi a loro volta. Nella parola di commiato sembra risiedere la forza di superare l'abisso della separazione, di donar vita e d'impegnare alla vita nell'assenza. (p. 26)
  • La luce non costringe, invita. (p. 27)
  • Le parabole del Regno dei cieli e dei suoi misteri divini da una parte vanno comprese nello Spirito, dall'altra nella loro concretezza che l'uomo è capace di cogliere. Comprendere e non comprendere sono spesso confinanti. Qualcosa si può cogliere in un certo strato, mentre al di sotto di esso giace il non ancora compreso. (p. 28)
  • Quanto più l'uomo pretende di voler decidere da sé del suo destino, e quindi del suo passato e del suo futuro, tanto più cade vittima della limitatezza della realtà mondana, tanto più piccolo gli diviene tutto, mentre mette da parte la grandezza come assurda. L'uomo preferisce che tutto appaia assurdo. Se egli ha appreso già abbastanza poco di Dio, i suoi posteri devono saperne ancora meno di lui. (p. 64)
  • Si tratta non di «Dio in tutte le cose», bensì di «tutte le cose per Dio, per Cristo», tutte le cose come segnaletica stradale. L'uomo ha certamente bisogno d'un'infinità d'indicazioni stradali per riconoscere la via, anzi per avere almeno l'idea che c'è una via in questa direzione. E, in verità, è la via della destinazione del mondo, ma è volta contro le condizioni del mondo, come l'attivo contro il passivo, come la vita contro la morte, come l'obbedienza e l'amore contro l'abuso e la colpa. (p. 64)
  • La Chiesa ha un lato aperto sul mondo, anzi è essa medesima la porta aperta per il mondo, perché questo possa entrare nel santo dei santi di Dio, là dove si celebra il mistero del pane e del vino. Raccolta attorno a tale mistero, la Chiesa è un credere e uno sperare e un amare e un operare, che per loro origine sono affatto celesti, e penetrando nei quali per compierli insieme alla Chiesa, l'uomo trova la realtà celeste. E Dio non ha costruito la sua Chiesa tale che sia solo per pochi eletti, che sia accessibile solo per coloro che vivono nella purezza della fede; l'ha costruita come un luogo universale, pubblico, proprio sulla strada, per chiunque può passare e, se vuole, può entrare. (p. 69)
  • Noi siamo investiti, feriti, dalla parola di Dio. Anche se lo volessimo, non potremmo più vivere al di fuori della parola. Siamo venuti nella Chiesa come frutti dalla buccia dura; la parola ha spezzato il mallo, ora siamo gherigli nudi, più sensibili e più insensibili ad un tempo. Più sensibili, poiché cogliamo ovunque le tracce della parola e non possiamo più vivere in una ingenua mondanità. Più insensibili, poiché ci giungono di meno le offerte del peccato, non già che siano diventate più deboli, ma perché non ci interessano più tanto, e Dio ce ne difende stando in mezzo a noi e passando attraverso di noi. (p. 70)
  • Questa parola, la percepiamo nella Chiesa, ma la troviamo di vivacità non sminuita anche a casa, tutte le volte che sfogliamo la Scrittura o nella preghiera ci volgiamo alla parola. La preghiera diviene l'incontro con il Signore, la cui parola ci è dato ascoltare incessantemente. Siamo apostrofati personalmente, personalmente possiamo rispondere, e in questo rapporto doppiamente personale la parola lavora sull'uomo, finché non ne abbia cavato e plasmato il vero uomo ecclesiale. (p. 70)
  • L'officina di Dio, in verità, è la sua Chiesa. (p. 70)
  • Nelle sue celebrazioni e nelle sue festività la Chiesa prorompe nel grido gioioso dell'Alleluia. Tiepidi, deboli, increduli, che assistono solo con mezzo cuore o che si sentono fuori posto, possono subitaneamente esser afferrati da questo grido e sperimentare più di quanto non vogliano ammettere sulle prime. Essi erano là, allorché la Chiesa del Cristo giubilava. E poiché la Chiesa è la sposa di Cristo, il giubilo le viene dallo Sposo. Essa esulta nella gioia per l'amore che è in lui e le viene donato. (p. 93)
  • L'amore è sempre possibile, e sempre penetrante. (p. 99)
  • Dio ci dona questa Verità integralmente, e noi non ne scorgiamo mai altro che delle sfaccettature; ma queste si compongono in un tutto e non si lasciano scastonare. Il diamante riluce solo se tutti i suoi spigoli restano quelli che sono. Certo, è possibile considerare ciascuna per sé le singole superfici, ma solo se ci si rende conto che ciascuna di esse è un aspetto del tutto e si rivela in vista del tutto. (p. 105)

La risposta dell'uomo nel vivo della Verità di Dio non può essere un continuo rimettere in questione e riesaminare questa Verità: la Verità è qui, la Chiesa l'ha esaminata, Dio si è dato a conoscere più che a sufficienza, la risposta dev'essere un salto nel cuore di quella realtà sempre-più-grande che è la Verità. E chi compie questo salto, conosce che è in gioco sempre molto di più di quanto egli si sarebbe atteso. Il Dio che si è dischiuso una volta all'uomo, non si ritrae mai più nell'inaccessibile e nell'astratto. Egli si dona nell'eucaristia, in tutti i sacramenti della Chiesa, in tutte le parole della Scrittura, sempre più concretamente, ed anche nel prossimo il cristiano reincontrerà Dio sempre più vivo; in tutte le strade della vita l'Amore eterno si farà incontro sempre più concreto, sì che gli sia impossibile di mai cessare d'adorarlo.

Citazioni su L'uomo di fronte a Dio

[modifica]
  • Per l'uomo si tratta di incontrare nella propria vita il Dio vivo e di resistere allo shock di tale incontro. Egli deve lasciarsi prendere da Dio (di nuovo in un consenso fondamentale) e nascondersi in lui, dare alla parola di Dio il sovrappeso sulla propria verità e lasciarsi dare il tono da Dio, insieme a tutti i propri affari e preoccupazioni terrene. Allora vive nella preghiera, nella gioia e nella verità. Questo è il tema del libretto: Der Mensch vor Gott. (Hans Urs von Balthasar)

La confessione

[modifica]

In tutti gli avvenimenti che non sono ineluttabili e nel cui decorso possono intervenire la libertà e il desiderio, l'uomo si preoccupa di cercare una soluzione o una via d'uscita e spesso anche una motivazione, sebbene la via d'uscita gli stia più a cuore della motivazione.

Citazioni

[modifica]
  • In genere l'uomo non è capace di effettuare da sé l'esame del proprio destino. (p. 11)
  • Vi sono molti per i quali il dialogo è un'ancora di salvezza a tal punto che, quando è finito, sprofondano in una certa disperazione. (p. 12)
  • Finché l'uomo non si confessa si sente libero di dire e di tacere ciò che vuole. Quello che odia nel sacramento della confessione non è l'umiliazione di manifestarsi, di riconoscere che è un peccatore – in qualche modo lo sa già – ma il doversi arrendere con una confessione totale: gli è tolta la libertà di scelta, e gli rimane solo quella di rivelare tutto o niente. (p. 16)
  • Tutti quelli che non si confessano si sentono superiori alla confessione; confessandomi mi faccio annoverare in una «classe inferiore». (p. 17)
  • Dio si serve, per riavvicinarselo [l'uomo], della stessa cosa [il peccato] a cui Adamo pensò per allontanarsi da Dio. (p. 20)
  • Il Figlio vuole la perfetta veracità davanti al Padre, non si vuole lasciare impressionare da nessuna manovra dei peccatori. (p. 23)
  • I peccatori molto spesso si confessano convinti che tra la confessione e l'assoluzione esista un rapporto di do ut des, perché si accollano la penosità della procedura col presentimento di un sollievo che è dovuto loro di diritto. (p. 24)
  • La vita attiva, che deve essere vissuta in Dio, esige che si raggiunga Dio più rapidamente, più sicuramente e più spesso, per rimanere fedeli alla propria scelta. (p. 34)
  • Il Signore tentato nel deserto sa benissimo che potrebbe vincere il diavolo mostrandogli quanto Dio è più potente di lui. Ma sa anche meglio che può vincerlo solo se si lascia tentare senza cedere minimamente al male e al contrario mostra al tentatore la sua intima presenza presso il Padre, l'obbedienza alla sua missione. (p. 36)
  • Così il Figlio vorrebbe fare qualche cosa piena di significato mentre prende su di sé la punta del peccato diretta contro il Padre; ma sotto la violenza dei colpi non comprende più la sua intenzione, non ha più nulla a che fare con essa. Forse è questa assurdità che lo uccide. Riconoscere un'intenzione significherebbe per lui lo scampo dalla morte. (p. 45)
  • [La confessione] non è una questione psicologica, nella quale si tratti di autoriflessione e conoscenza di sé, ma una questione di vicinanza a Dio. (p. 191)
  • Santa Teresina ha una singolare maniera di confessarsi come anche una singolare maniera di conoscere i peccati. In fondo non ha mai capito che cosa sia il peccato; viene a sapere in modo vago che gli uomini fanno cose che offendono Dio, e queste cose hanno determinati nomi che le definiscono in modo esauriente: menzogna, furto, assassinio, odio, orgoglio, egoismo... (p. 223)

Citazioni su La confessione

[modifica]
  • Adrienne era giunta al cattolicesimo per il desiderio di una vera confessione sacramentale. Da convertita, dedicò dunque grande attenzione a questo sacramento, che, in continuazione dell'atteggiamento di preghiera, rappresenta per lei la completa trasparenza di fronte a Dio, la perfetta nudità dell'uomo davanti a Dio. La confessione è dunque uno dei libri più arditi e originali di Adrienne. (Elio Guerriero)
  • Benché scritto più di quattro decenni orsono, il libro sulla Confessione di Adrienne appare un capolavoro senza età. La crisi della Confessione viene ricondotta con precisione alle sue radici essenziali. (Georg Bätzing)
  • È laddove la fede cristiana – specialmente quella cattolica – chiede un impegno serio, cioè nella Chiesa concreta con le sue esigenze, nel Papa e nel Magistero, nel celibato e nel precetto festivo, che si destano resistenze e obiezioni, in nome di una libertà e una modernità illuminate.
    Ne era già consapevole la mistica basilese Adrienne von Speyr [...]. Con fine sensibilità psicologica essa fa luce sul ventaglio di tentativi di giustificazione e pretesti di fronte alla colpa personale da parte dell'uomo, il cui senso del peccato può anche essere atrofizzato, ma non si lascia mai sottomettere del tutto, e si esprime in vaghe inquietudini e nel bisogno di purificazione, sollievo e consolazione. Per guarire – essa, medico che esercita la professione, ne è convinta – è necessario affidarsi, in fin dei conti, a cure concrete, il che rivela impietosamente all'uomo quanto sia grande il rischio di colpevolezza che corre, e lo conduce all'inevitabile terapia. (Georg Bätzing)
  • I tesori di questo sacramento sono aperti dinnanzi a noi e resi concretamente personali e cristologici nel suo libro La Confessione. (Joseph Fessio)
  • Una delle opere centrali di Adrienne. (Hans Urs von Balthasar)

La luce e le immagini

[modifica]

Dio guarda dall'eternità Dio. La sua vita è questa visione, in cui le tre Persone sono l'una per l'altra rivelate, e confermano e compiono la loro unità essenziale in un sempre nuovo scambio di amore. Ciò che Dio è nel suo essere eterno è nella vita delle tre Persone un evento incessantemente attuale. L'eterno amore provvede affinché la loro unità appaia insuperabile e inesauribile. La contemplazione di Dio da parte di Dio è la più feconda che si possa concepire. Essa è un fluente dare e prendere senza fine, e tuttavia vi si disegna una direzione, come dalla sorgente al mare. La sorgente in Dio è potente al punto che tutto prende origine in essa, e non è possibile cercarvi un'altra sorgente dietro di essa. Da tutti i meandri del suo fluente amore essa forma alla fine un oceano che non ha confini e che rappresenta l'infinità di Dio; ma la foce non si allontana dalla sorgente del Padre, viene da lui presa e abbracciata; uscita e riflusso, sorgente e mare sono una unica cosa nella divinità eternamente sgorgante.

Citazioni

[modifica]
  • Dio si dà all'uomo, ma Egli dà anche l'uomo a se stesso [...]. (p. 16)
  • E poiché credere è ritenere per vera la verità divina, egli [chi prega] deve mantenere libero in sé tutto lo spazio necessario per accettare anche l'incomprensibilità di Dio. (p. 17)
  • Obbedienza e contemplazione si compenetrano. È escluso che un disobbediente possa praticare vera contemplazione. L'obbedienza fonda e feconda la preghiera contemplativa. (p. 17)
  • Creando il mondo, egli [Dio] vi mette una base che accolga la sua intenzione eterna. (p. 17)
  • La fine in Dio non è una caduta, bensì un nuovo principio che accoglie. (p. 18)
  • Nel superamento dell'abisso da parte del Figlio che porta tutti i peccati dovrebbe risultare loro [agli uomini] chiaro quanto grande è in realtà l'abisso e in che cosa dunque consiste lo stato essenziale di una creatura peccaminosa, se vista nella fede. (p. 19)

La missione dei profeti

[modifica]

La sua è una triplice missione. Comincia così: che Abramo, nella sua fede come nella sua preghiera, nel suo comportamento quotidiano come nel suo parlare con Dio, possiede la certezza, a tutta prima immotivabile, di essere portatore di una missione. Questa missione è per lui come un essere tratto fuori di sé. Sa di doversi comportare come «un segnato», sa che Dio si attende qualcosa da lui, che Dio gli darà anche qualche cosa, che egli deve essere particolarmente fedele, credente e giusto. Questa sommessa intuizione rimane del tutto interiore alla sua anima; non corrisponde, in questa prima fase, ad alcuna percezione di un compito esterno da svolgere, di una via da percorrere e neppure ancora di alcuna esperienza. È come una leggera scossa, quasi impercettibile, e che tuttavia corrisponde a qualcosa che egli sa. Deve vivere da inviato, cioè badare a sé, affinché per suo tramite si chiariscano i piani di Dio.

Citazioni

[modifica]
  • Giacobbe partecipa a quanto di più significativo distingue e delimita il potere del cielo, il sovrannaturale rispetto alla natura. Egli non perde la sua condizione in terra, ma deve riconoscere e sperimentare da sé il sovrannaturale che Dio gli trasmette, imparare a piegarvisi. In tutto quello che gli accade, deve anzitutto essere ubbidiente. Ha una missione di ubbidienza. Nel sogno deve vedere ciò che Dio gli mostra. Nella sua lotta con l'Angelo, deve imparare che cosa significa combattere con la presenza di Dio. Nell'evento della sua benedizione da parte di Isacco, deve imparare a comprendere la superiore potenza della verità divina rispetto alla verità umana. (p. 20)
  • Se Dio poi lo abbandonasse, Giacobbe non potrebbe forse mai più comprendere come abbia potuto ingannare suo padre cieco, sottrarre al fratello la primogenitura, combattere contro Dio e compiere tanti atti che andavano al di là della sua umana responsabilità. Ma Dio lo sostiene, come sostiene i suoi inviati al di là della loro capacità di comprensione, affinché nasca una nuova capacità di intendere, si aprano nuove prospettive, si allarghino nuovi orizzonti. (p. 20)
  • Geremia rimane, malgrado la grandezza delle sue profezie, un uomo limitato; quando la trasmette, partecipa pienamente all'obiettiva grandezza della sua missione, per poi constatare – nelle pause di riposo durante le quali vorrebbe ristorarsi dopo tanta grandezza – di aver fallito il contatto con gli uomini, i quali sono adirati contro di lui e lo precipitano nel massimo pericolo, anziché consentirgli la meritata distensione. Ma la salvezza dal pericolo è tuttavia ogni volta per lui il segno di un esaudimento da parte di Dio. (pp. 70–71)
  • Per altri Profeti importa solo quello che essi dicono in nome di Dio; vengono poi dimessi; non occorre che lascino alcun altro segno della loro esistenza che la parola del Signore. Abdia è fra questi ultimi. (p. 87)

Le parabole del Signore

[modifica]

Il Signore parla in parabole. Egli si serve delle cose di tutti i giorni, che chiunque può capire e, in tal modo, mostra che tra il quotidiano e l'insegnamento cristiano non c'è un abisso, che la vita che passa è in un rapporto vivo con la vita eterna e che, quindi, la condotta dell'uomo aiuta a promuovere lo scambio tra ambedue le vite e fa riflettere su di esso. Vista a partire da Dio, la creazione posta in essere dal Padre trova il suo compimento nella redenzione operata dal Figlio; il Padre può sperimentare la gioia di vedere tornare a lui il mondo da lui fatto nell'amore del Figlio. D'altra parte, vista a partire dall'uomo la vita terrena deve aprirsi al cielo, che è la patria definitiva dell'uomo.

Citazioni

[modifica]
  • Ciascuna delle sue parole [di Gesù] è un invito a rendere cristiano il tempo che ci è dato a disposizione, a trattarlo come un materiale a cui dare una forma per Dio nella fede. (p. 13)
  • Fa dunque parte del compito umano del Signore educare gli apostoli a porre le domande giuste, adeguate. (p. 16)
  • La domanda è già un inizio di preghiera quando è disposta a far propria la risposta di Dio [...]. (p. 16)
  • La fede ha in qualche modo fame del senso del Signore, cerca di farlo emergere dovunque, perché si sa e si sente a casa propria in Cristo. (p. 20)
  • Il Figlio, come uomo, può scegliere tra immagini e racconti umani quel che gli pare più appropriato per spiegare agli uomini il regno dei cieli. [...] come se la creazione nella sua interezza fosse un'idea del Padre per raffigurare altrove il cielo, per porre il mondo come uno specchio e l'uomo come un'immagine del divino. Il Figlio riprende questa idea del Padre per rivelare il celeste in ciò che è terreno, ma anche per mostrare come si rapporta l'eterno rispetto a questa idea, l'immagine originaria di Dio rispetto all'immagine originata dell'uomo. Lo spiega con un linguaggio umano, che però ha un senso divino; così, colui che ascolta nella fede non si fermerà mai al senso terreno delle parole, ma porrà fede nel significato sempre più grande che viene da Dio, anche là, dove forse, al momento, ritiene di avere capito. Poiché il carattere di sempre maggiore è proprio della distanza tra cielo e terra, tra Dio e uomo. (p. 30)
  • Per un istante essi [gli apostoli] possono riconoscersi nei servi del padrone [della parabola della zizzania], guardare il mondo così come quelli hanno guardato il campo coltivato. [...] E tutto ciò che egli dice deve ultimamente ripercuotersi sui loro successori e sul loro apostolato, così che si trasformi nel tentativo di una piena e genuina corrispondenza. [...] E se il Signore nella parabola mostra in anticipo il giudizio, allora il loro tempo dell'attesa, della pazienza, del dover stare insieme con il male sulla terra, riceve un nuovo senso, che quaggiù non può mai essere inteso pienamente, perché il comprendere sta nell'agire del Signore nel giorno del raccolto, alla fine della loro missione. (pp. 40–41)
  • Il paragone tra il granello di senapa e il regno dei cieli mette la cosa più piccola direttamente in rapporto con la cosa più grande, quel che non è ancora visibile con l'infinito che gli esseri umani non potranno mai afferrare, poiché il suo concetto supera tutti i loro concetti. Nella parabola [del granello di senapa] si fa dunque riferimento alla distanza più radicale. (p. 43)
  • Inoltre, fin dal principio è chiaro che la relazione che la parabola rivela deve essere qualcosa di definitivo, che ambedue le cose, il granello che cresce e il cielo che si abbassa, sono fatte l'una per l'altra. Dio Padre dona il suo cielo agli uomini. In quanto Creatore non ha abbandonato gli uomini, ma ha mostrato loro la direzione verso la quale essi devono crescere perché egli possa definitivamente accoglierli. Se il granello di senapa è la fede, allora sarà molto chiaro quale deve essere il ruolo della fede nell'uomo: crescere, come il granello dalla terra, dalla sostanza della grazia invisibile di Dio che egli accoglie in sé. (p. 44)
  • Il lievito ha una forza misteriosa, la capacità di acidificare tutto, di non fermarsi mai, di cambiare tutto ciò a cui esso accede. Da esso la donna [della parabola del lievito] si attende proprio questa misteriosa efficacia. Se noi siamo l'impasto, allora il cielo è il lievito che non ci abbandona con la sua efficacia finché non siamo divenuti altro. Questa efficacia è determinata da Dio ed è quello che lui, nella sua Provvidenza, si aspetta per noi. L'essenziale è che la farina e il lievito si incontrino, l'efficacia può essere poi lasciata al lievito. Ma, come nella parabola del granello di senapa il seme deve essere posto nel campo, così qui il lievito deve essere impastato. Quello che nella parabola è il lavoro, la prestazione dell'uomo o della donna, fuor di metafora è ciò che fa l'uomo che si affida alla grazia che lo trasforma. (p. 45)
  • È Dio che si dà da fare per l'incontro, l'uomo deve solo affidarsi alla sua mano, poi è Dio che si impegna per la sua opera, per realizzare le sue intenzioni con noi. (p. 45)
  • Il credente fa di fronte a Dio la cosa più ragionevole quando si dona completamente all'incommensurabile. (p. 46)
  • La fecondità del cielo si manifesta come fecondità sulla terra e la semina sulla terra manifesta il seminatore celeste. (pp. 53–54)
  • Nella fede ci è dato di sapere sia del diavolo che della fine del mondo; ambedue sono in stretta correlazione, poiché il diavolo è la causa della fine del mondo: la temporalità avrebbe avuto un altro carattere se il male non vi avesse trovato accesso. Tramite lui il tempo dell'uomo che precede la fine del mondo è un tempo di decisione e, ultimamente, di divisione, un tempo in cui la fede si prova poiché genera la conoscenza e quindi anche la capacità di discernimento, e con la conoscenza delle vie del Signore anche quella delle vie che a lui si oppongono. Al credente non è lecito conoscere la tranquillità dell'indugio, poiché il male non la conosce, ma è continuamente intento a scimmiottare il bene. Nel tempo che si affretta verso il giudizio è richiesta la vigilanza della fede, perché il male non dorme e questo ci impone di essere costantemente abili nel discernere. Proprio qui si vede come il tempo del mondo è segnato dal peccato originale: esso ha avvelenato il tempo, ma non a tal punto che il tempo successivo al peccato originale non sia ancora il tempo del Signore. (p. 57)
  • Se il campo [della parabola del tesoro nascosto] ha una relazione con la vita umana – il suo lavoro, il fatto di mantenersi mediante quel che esso produce – e può anzi essere una metafora della vita umana stessa, allora il tesoro, il regno dei cieli, è nascosto nella vita umana. Ma non anzitutto nella vita del singolo, ma nella vita del Signore. Il Signore possiede il tesoro, e l'uomo, che ha scoperto il Signore, consacra la sua vita al Signore, lasciando ogni cosa, vendendo tutto, per arrivare vicino a lui, e per ottenere mediante lui il regno dei cieli. Ma forse il campo è anche la Chiesa, e uno scopre che nella Chiesa è nascosta la verità del Signore, e che non può arrivare al Signore in altro modo se non entrando nella Chiesa. (p. 64)
  • Nella parabola precedente il fatto di trovare il tesoro era casuale. Qui [nella parabola della perla] è il risultato di una ricerca ostinata, sistematica. Il mercante ha un'idea di ciò che desidera trovare; questa idea si è impadronita di lui a tal punto da possederlo interamente. Come la fede può impadronirsi di un credente o l'amore di un amante. (p. 65)
  • Essa è la parabola dell'unica cosa che vale la pena di cercare, ma che è anche possibile trovare. E il commerciante risponde alla richiesta della perla vendendo tutto, senza pensarci. Proprio in questo modo si mostra degno di essa. (pp. 65–66)
  • Se ci poniamo con consapevolezza davanti all'insegnamento cristiano, anche se questo sapere ci sarà forse comunicato solo nell'ultima ora, allora abbiamo capito che Dio ci accoglie e ci innalza nella vita eterna se noi ci siamo spogliati di tutto, se noi siamo completamente aperti, se abbiamo rinunciato a noi stessi. E non dobbiamo rinunciare proiettati verso il nulla, ma verso la vita eterna, nella pienezza di Dio. Se riusciamo a vedere questa cosa per tempo, allora possiamo vendere ciò che abbiamo, possiamo non solo pronunciare un sì esitante all'ultimo momento al farci rapire da Dio, ma ci è dato di parteciparvi sino in fondo: abbandonare noi stessi, vendere ciò che abbiamo, spogliare noi stessi sino alla completa nudità. È questo il rischio del cristianesimo, il rischio della sequela, il rischio di entrare nella vita eterna. (p. 66)
  • La rete [della parabola] è gettata dall'alto nel mare; essa rimane immersa nell'acqua e raccoglie ogni genere. La rete non fa scelte. La mancanza di selezione è un'immagine della nostra quotidianità umana in cui, apparentemente, si raccoglie, convive e procede insieme ogni genere di realtà. Poi, però, ci sono anche delle distinzioni, delle separazioni. La prima separazione ha luogo mediante la stessa rete, anche se ciò non è detto esplicitamente: vi sono quelli che sono nella rete e quelli che sono fuori. Degli ultimi qui non si parla. Tutta l'attenzione va a quelli che sono nella rete. Nella loro varietà essi corrispondono a un'attesa. L'attesa che quel che è nella rete, possa essere utilizzato come si augura il pescatore. (p. 67)
  • Allora il pastore [della parabola] lascia le novantanove sui monti per andare a cercare quell'unica pecora. Le lascia dove già sono. Non si preoccupa di proteggerle dal freddo o dagli animali selvatici. Non le circonda con un recinto così che nessun'altra si perda. Tutti i suoi pensieri appartengono alla pecora perduta. Per lui quell'unica pecora conta ormai più delle novantanove. Se il Signore è questo pastore, allora il credente può chiedersi se davvero lascerebbe tutte le pecore per cercarne una, se davvero perderebbe tutta la sua gioia per la Chiesa qualora mancasse una sola anima. E mentre si pone questa domanda – e per questo viene narrata questa parabola – gli verrà improvvisamente in mente quanto grande è l'amore e l'attaccamento del Signore, non solo con tutti, ma proprio con ogni singolo, e come fragile e delicata è la gioia che lui prova per il gregge, poiché essa dipende dalla risposta dei singoli, di cui si compone. Se nel coro manca una voce, se ne sente la mancanza nel canto. Se conta i suoi e uno si sottrae, allora per il Signore il numero è divenuto discrepante. E non tocca a chi rimane consolare il Signore per la sua perdita. Quel che deve essere regolato è una questione tra il Signore e la pecora che si è persa. Per questa sola il Signore si fa carico di tutto il sacrificio. Le altre restano sulla montagna, in pericolo, vedono il Signore allontanarsi e si sentono abbandonate, prive di guida, ma la guida è affidata loro; devono solo restare dove sono. Perché il Signore, quando tornerà dalla ricerca, non debba cominciare tutto daccapo, con la seconda pecora, con la sessantesima, con l'ultima. (pp. 70–71)
  • Il regno dei cieli è da principio [nella parabola del servo spietato] simile al calcolo che un re vuole intraprendere. È come l'immagine di un inventario. È il momento di fare i conti con i servi a cui è stato affidato il patrimonio del re. Servi di Dio mediante Cristo sono coloro che hanno ascoltato e seguito la sua chiamata alla sequela e a cui, in forza della loro disponibilità al servizio, è stato assegnato un compito. E già all'inizio di questa resa dei conti viene introdotto un personaggio la cui colpa è così grave da non poter neppure essere calcolata. [...] Il servo si umilia davanti al suo padrone: implora pazienza e promette che pagherà. Dalle sue parole emerge la coscienza della sua colpa, il pentimento e anche la devozione nei confronti del signore. È lo stato d'animo che si ha dove il pentimento e l'amore si incontrano: quello della confessione. (p. 75)
  • Dal punto di vista cristiano la colpa che esiste tra le persone viene regolata nel Padre Nostro, che lega in maniera indissolubile il perdono reciproco alla grazia antecedente del perdono di Dio. (p. 77)
  • Il servo [della parabola] che, appena salvato dalla grazia, non vuole perdonare colui che è servo come lui, sbaglia in maniera ancora più grave di quanto abbia fatto in precedenza con le colpe commesse nei confronti del suo signore. Nega al suo prossimo e dunque a Dio stesso l'efficacia che discende dalla grazia. Ogni credente che si rifiuta di riflettere la grazia che gli è stata partecipata, si rende colpevole in questo stesso modo. Si invischia nella colpa molto più profondamente che prima dell'assoluzione. Difatti, ha incontrato l'amore, lo ha riconosciuto nel suo temporaneo pentimento, ma lo rinnega nella propria condotta. (p. 78)
  • La voce di Dio che dice «I tuoi peccati ti sono rimessi», e che poi dice «Seguimi», dice in fondo la stessa cosa. Difatti nella grazia sempre maggiore della compassione c'è allo stesso tempo la richiesta sempre maggiore di fare di questa grazia la legge della propria vita. (p. 81)
  • Più importante del fatto che i lavoratori della prima ora ricevano più salario è che essi riconoscano la bontà del Signore e sappiano che non hanno alcun diritto ad avanzare pretese nei confronti del Signore e che devono quindi essere contenti della grazia di poterlo servire. Nella Chiesa non deve sorgere alcuna forma di invidia. È vero che la condotta del padrone di casa in questa parabola [dei lavoratori della vigna] può sembrare dura da mandare giù ai buoni cristiani, dal momento che il principio della «giusta» proporzione tra lavoro svolto e salario pare essere il criterio con cui, in questo mondo, si ritiene giusto il modo di fare di un padrone. Tanto più, poi, se si tratta di Dio! Ma la grazia non rientra mai nella capacità dell'uomo di disporre e calcolare. Chi potrebbe stabilire che cosa Dio debba a una persona che muore giovane o a un'altra che riconosca la Sua chiamata in tarda età? L'uomo deve imitare Dio, amandolo e non essendo meschino. (pp. 89–90)
  • In questa parabola [dei due figli] si vede che non ci sono soluzioni parziali. Non c'è la possibilità di dare una mano solo per un attimo o di far finta di lavorare o di svolgere solo una parte del lavoro. Il sì deve essere un sì e deve essere un sì completo a tutto il lavoro che viene richiesto. Il no dovrebbe di per sé rimanere un no, ma c'è la grazia che in un istante può fare di uno che ha detto di no una persona che si mette alla sequela del Signore. (p. 92)
  • Le missioni dell'Antico e del Nuovo Patto, con tutta la loro differenza, sono un servizio alla vigna [della parabola]. Tra di loro c'è la missione di Gesù, una missione di tipo incomparabile, e, tuttavia, una missione nella vigna. Una missione per ammonire i vignaioli, per richiamarli a riportare al Padre tutto il frutto della vigna. Egli sarà ucciso, ma proprio dalla sua morte fioriscono nuove missioni. Tutti gli inviati del Nuovo Patto lavorano e operano a ciò che il Figlio ha reso possibile e aperto con la sua morte, nella partecipazione alla Sua missione filiale. (p. 98)
  • La vigna [della parabola] sopravvive a tutto. Essa è al di là della mutevolezza, del logoramento, della decadenza. Essa è immagine del frutto che il Signore desidera e che deve essere raccolto dal mondo. Il lavoro sulle persone resta sempre lo stesso. Esse devono essere purificate, sostenute, aiutate a maturare, così da poter lavorare per Dio. Ma il Figlio, che i vignaioli hanno ucciso, la pietra, che essi hanno scartato, è Cristo, che, proprio perché scartato e proprio mediante la sua morte, fonda la Chiesa e le dona la certezza della propria assistenza. (p. 99)
  • Il destino dell'invitato indegno [nella parabola del banchetto] è rappresentato come qualcosa di davvero penoso. Ma egli non viene respinto e dimenticato semplicemente perché il Signore suggella il tutto con le parole: poiché molti sono chiamati... il destino di questo invitato indegno è appunto stare nella chiamata, ma non nell'elezione. [...] Si mescola tra coloro che riconoscono il Signore e pretende per sé il privilegio di non riconoscere e di non volere. Come Dio ha lasciato la risposta agli invitati – qualcosa che chiede loro un «merito» perché da chiamati divengano eletti – così a questo invitato indegno lascia la certezza di essere stato chiamato. Sì, la certezza di avere in qualche modo risposto di sì, ma nella menzogna, di aver detto un sì, che però significa un no. È quel figlio che risponde di sì al padre, ma la cui condotta è un no. E poiché egli sa della propria vocazione, lo stridore dei suoi denti sarà il segno della sua non elezione. Eppure, se è desolante non essere stato scelto, allora non è del tutto desolante essere stato chiamato, dal momento che l'essere respinti non è la fine della vocazione, ma funzione della non elezione. L'uomo è previsto nella storia del re, che parla ancora del suo caso e se ne ricorda, dal momento che è già stato gettato fuori. Egli dunque vive ancora per Dio. (p. 105)
  • Il re aveva di diritto di attendersi che gli ospiti si presentassero con un abbigliamento degno. Il paragone si allarga così all'invito alla Santa Comunione, a cui l'uomo deve presentarsi con un'anima pura, dopo aver ricevuto l'assoluzione. Bisogna indossare un abito degno del Signore, l'abito della grazia. E noi possiamo immaginarci come il Signore guardi i suoi, prima di donarsi a loro nell'Eucaristia. (pp. 105–106)
  • Che un'anima sia tra le vergini prudenti o tra quelle stolte [della parabola] lo decide il fatto che la sua fede resti puramente teorica o diventi qualcosa di reale nella vita. Non basta dire di sì e lasciare tutto il resto al Signore. Non basta nemmeno compiere un gesto di buona volontà, portare la lampada e lasciare al Signore la sua fiamma. È richiesto anche l'esito dell'esperienza, per cui si sa che lampade per ardere hanno bisogno di olio; non si può contare sul miracolo al posto della situazione normale, neppure su una qualche commozione del Signore, per cui anche le più stupide sono venute e si aspettano di essere trattate come quelle prudenti. Siamo molto lontani dai lavoratori dell'ultima ora. Alle vergini infatti si chiede quello che esse possono sicuramente fare. (p. 108)
  • Vegliate dunque, proprio perché non perdiate né il giorno né l'ora. Sarebbe troppo facile risvegliarsi in un determinato momento che fosse già noto in antecedenza. Il momento può essere sempre e per questo si deve sempre essere vigilanti. Il quotidiano è grigio e noioso, monotono e piatto; fa credere alle persone di essere in qualche modo affondate in una dimensione senza tempo. Ma il Signore non attenua le sue pretese. Non si adatta alla lunghezza dell'attesa. Nel momento in cui arriva esige da noi, senza sconti, di udire tutta la verità, di adempierla in tutto e per tutto. Cristo ha lasciato che il Padre velasse l'ora. Voleva restare pienamente vigile e pronto. Ha potuto farlo, e vuole che anche i suoi lo possano fare. Il Padre deve riconoscere nei cristiani questo tratto caratteristico del Figlio. (p. 110)
  • Quest'uomo che distribuisce i suoi beni tra i suoi servi secondo la loro capacità [nella parabola dei talenti], conosce e osserva dal di dentro i suoi servi. Il partire – se quell'uomo è Cristo – è il rinvio del tempo del suo ritorno. I suoi rimangono nel paese, con un'idea di ciò che devono fare. Conoscono il loro signore, sanno che, se ha affidato loro qualcosa, è perché si fida delle loro energie umane, della loro ragione e della loro capacità di mettere tutto questo a frutto del suo servizio. I servi non devono sottovalutare queste loro capacità, ponendo essi stessi dei limiti a priori o accontentandosi di risultati mediocri. Mentre il loro padrone è assente devono darsi da fare con i suoi beni, come se fossero i loro; i suoi interessi devono coincidere con i loro. (p. 113)
  • Nel momento del giudizio la cortina viene tirata da lato: tutto ciò che era nascosto si svela ora in una trasparenza perfetta, in una visibilità ultima e definitiva. (p. 121)
  • Un uomo [nella parabola] gettò il seme nel suo campo. Quest'uomo sa che cosa vuole, che cosa deve aspettarsi e sperare. Tiene il seme nella sua mano, più o meno sa come è fatto, senza poter dire che cosa verrà da ogni singolo granellino. E deve lasciar cadere i granellini e consegnarli alla terra, all'oscurità, per potersi vedere restituito ciò che spera. La crescita deve affidarla a Dio. Dio vuole solo che egli semini, che egli ponga un gesto di cui sa qualcosa, ma non certamente tutto. [...] Che egli se ne occupi o guardi o dorma: il seme cresce. È come la parola di Dio che si fa uomo: il Signore la pronuncia, gli uomini la raccolgono, diviene adatta per il regno, così che possa ritornare al Padre e il Padre la riconosca. Una parola che forse giace silenziosa in un uomo e che improvvisamente matura, così da contenere in sé già i frutti dell'azione. (pp. 129–130)
  • Una breve parabola [quella del seme], fatta di poche parole, come un piccolissimo seme che però contiene in sé una vita infinita. Viene gettato e rende la zolla capace del mondo, porta frutto nella vita eterna. Ha la pazienza di aspettare finché tutto sia maturo e si possa mettere mano alla falce per la messe. (p. 131)
  • Forse l'amico affamato [della parabola] è Gesù Cristo stesso, che ha bisogno di uomini che soccorrono, che dicono di sì, che seguono. Ed egli ne manda uno che rappresenti le sue richieste. Costui in qualche modo arriva sempre fuori tempo perché quello da cui si reca a chiedere ha già altri piani, ha già preso altre decisioni. [...] Il Signore però può chiamare tanto a lungo quanto vuole, finché non c'è più nessuna possibilità di scansare, finché anche la più forte abitudinarietà non sia spezzata e crolli. (pp. 142–143)
  • Il Signore chiude la sua parabola [dell'amico importuno] con l'esortazione a non essere freddi e pigri nella preghiera. La risposta corrisponde ogni volta alla preghiera. Può durare a lungo finché essa arrivi, ma alla fine arriva. Colui che prega e colui che è pregato devono arrivare a un accordo. (p. 143)
  • Brillare, comunicarsi, sparire e manifestarsi: questa è l'essenza della luce. (p. 147)
  • Ma il Signore non si ferma a lungo sulla parabola della lucerna, ma dalla luce esterna passa a quella interiore, a ciò di cui l'uomo ha bisogno come sua essenza spirituale. E indica l'occhio come luce. [...] Ma con ciò si intende anche quella luminosità nella quale il Signore vuole vedere i suoi. La loro trasparenza nell'insieme, la loro apertura, il loro non avere segreti, la loro capacità di mostrare se stessi, fin nel confessare i loro stessi peccati. Il loro scoprirsi di fronte a lui, così da poterlo vedere dappertutto. [...] L'amore ha bisogno di luce, evidenza, trasparenza e per questo dobbiamo offrire il nostro contributo, mettendoci e lasciandoci trovare dove il Signore si aspetta di vederci. Nella luce, che ultimamente ci dà il suo occhio. Noi, infatti, siamo membra del suo corpo, noi gli apparteniamo. E il suo occhio sempre sano vuole comunicarci da ogni parte la luce perfetta. (p. 148)
  • L'uomo [della parabola dell'avaro] riteneva di possedere lui stesso la propria anima, per se medesimo, così come faceva con i suoi beni, ed essa non gli muoveva alcuna obiezione. Il dialogo che lui portava avanti con se stesso prendeva in qualche modo il posto che avrebbe dovuto avere il dialogo con Dio, la preghiera. E gli pareva di vivere bene con la sua anima, perché essa era d'accordo con lui, perché accettava di star dentro quella prospettiva di vita, riempiendo i granai per poter poi godere di tutto ciò. Ma ora, poiché l'anima gli è richiesta indietro, il proprietario si scopre improvvisamente povero. La sua anima dovrà venire a trovarsi nuda davanti a Dio. I suoi granai sono completamente vuoti. I conti non tornano più. [...] L'ammonimento di Dio è per il proprietario spaventato un ultimo atto di benevolenza, l'unico che ancora conti. Egli deve cambiare molto rapidamente il suo rapporto con Dio. Dio è la sua vera ricchezza: per amore di questo bene, si deve rinunciare a tutti gli altri beni, e solo chi si consegna ad esso, scopre nuovamente Dio. Ma Dio non è un granaio. È l'amore che si dona largamente, così come ha mostrato il Figlio sulla croce. Egli si è donato fino all'ultima goccia di sangue: amore, perdono, redenzione, egli ritroverà questo tesoro presso il Padre, ma non come un bene accaparrato, bensì immesso nella relazione dell'eterno donarsi. (p. 150)

I figli della luce, dunque coloro che hanno da comunicare la verità di Dio, avrebbero qualcosa da imparare da questo amministratore: che l'amore è più grande della verità, che, piuttosto, la verità senza amore non è davvero verità. Che, dunque, le regole del gioco che gli egoisti si sono dati, non bastano affatto per la verità reale. La verità in Cristo è l'amore e per rimanere nella verità anche la verità cristiana deve sempre imparare dall'amore.

Citazioni su Le parabole del Signore

[modifica]
  • Le parabole del Signore è una delle opere scritturistiche più importanti della von Speyr. [...] il ritardo nella pubblicazione nulla toglie al valore di un'opera originale e sorprendente. Nelle Parabole Adrienne ci viene incontro con quella che von Balthasar chiama la seconda grazia della mistica: la familiarità con i santi e le realtà celesti. Il risultato è sorprendente. Nel suo commento Adrienne sposta l'accento sulla «pienezza del divino» [...]. Si può vedere qui l'influsso di Karl Barth con l'insistenza sul primato di Dio e la sua grandezza inavvicinabile e imparagonabile rispetto a ogni realtà terrena. È riconoscibile, però, anche l'influsso di Erich Przywara, che rifletteva sull'analogia entis indispensabile per qualsiasi comprensione del divino perché, come spiegherà von Balthasar, non possiamo capire l'amore di Dio senza avere comprensione alcuna dell'amore. Inoltre si può riconoscere sullo sfondo il desiderio del soprannaturale, la nostalgia dell'eterno di cui scriveva Henri de Lubac proprio in quegli anni. (Elio Guerriero)

Libro di tutti i santi

[modifica]
  • [Pio X] Quando divenne papa, era docile, dedito molto al bene della Chiesa, di una dottrina nutrita dalla sua pietà, di una certa semplicità di cuore, che non si opponeva all'intelligenza. Ma tutto ciò che era non si amalgamava in una unità. Il suo atteggiamento era cristiano e tuttavia attraversato di debolezze; la sua preghiera era qualche volta tiepida, qualche volta molto ardente; le sue vedute erano ecclesiali, ma non s'impegnava molto per difenderle. Possedeva un certo amore del prossimo, che però non aveva conosciuto l'incarico pastorale come l'estrema premura. Quando fu eletto papa, si spaventò moltissimo. Non lo aveva voluto; non per sé, perché si riteneva indegno e non riusciva neanche a credere che lo si volesse sul serio, che la votazione fosse avvenuta secondo le regole. Temeva un errore, che forse non commise, ma che aveva favorito in quanto non operò così come era. Temeva di aver dato una falsa immagine di se stesso, di aver fatto credere qualcosa agli altri; temeva che le sue parole fossero ascoltate in modo più sostanzioso di quello che realmente erano. Quando si accorse che doveva assumersi irrevocabilmente il ministero, vi scorse l'occasione per un cambiamento, una conversione [...].[22]
  • [Mercier] Vedo la sua preghiera; ha in qualche modo una bella forma, ma povera di contenuto. [...] E nondimeno è zelante, fa attenzione ad ogni nuova idea, è un buon interlocutore, vuol servire la Chiesa e Dio e lavora per l'unità della fede che sarebbe, al tempo stesso, unità della Chiesa. Di una Chiesa tuttavia in cui prevarrebbe la forma e a cui verrebbe a mancare il fervore interiore, perché proprio lui sarebbe incapace di farlo bruciare in se stesso e di accenderlo negli altri.
    Possiede un giudizio umano sano per ciò che è possibile o impossibile nella situazione ecclesiale. Ma la sua opera non penetra fino in fondo, perché lui non prega profondamente.[23]
  • [Edith Stein] Vedo la sua preghiera palpitante, meravigliosa, che appare all'inizio come un dialogo condotto da lei, una preghiera molto curata. È a metà, come un problema che si pone da sola in una convinzione non del tutto a lei cosciente; la proposizione iniziale non ha bisogno, forse, di essere terminata da lei, il quesito non deve forse essere enunciato perfettamente; forse Dio può capire il senso della frase, comunicando la sua presenza e replicando alla sua domanda in modo più profondo di quanto lei stessa fosse capace o si possa aspettare. E Dio risponde veramente. Prega sempre di più e ne esce infine con una coscienza trionfante e se ne rallegra. Da questo momento di coscienza vittoriosa è tutto perfettamente semplice ed univoco. Percorrerà la strada che Dio le mostra e che le appartiene; ella ha ritrovato la sua gioia infantile, cresciuta e resa evidente dalla carità, dalla fede.[24]
  • [Edith Stein] Filosofare significa per lei stare in chiostro molto meno di quanto sarebbe accettabile; vi è spinta dall'esterno, vi lavora con una obbedienza che non ha scelto personalmente e che non avrebbe scelto. Certo, quando pensa e quando scrive è così responsabile e capace che questo lavoro le è forse meno pesante di qualsiasi altra attività, e certo vorrebbe assolvere la missione in modo da destare attraverso la sua opera in molti pensatori un'attenzione per i problemi della religione. Ma che questa sia la sua missione non lo si può dire. La sua missione è la preferenza della vita religiosa di fronte ai successi, alle battaglie e al rumore nel mondo.[25]
  • [Don Bosco] Vedo la sua preghiera essenzialmente giovannea, piena di amore, di meraviglia, di affetto per Dio.
    [...] Il suo amore per Dio è appassionato; non gli è facile introdurre le persone nel mondo della sua preghiera. Cosa vuol dire? Gli manca la distanza: idem nei confronti di Dio, della fede degli altri e della propria fede. Egli vive in una sorta di immediatezza, personalmente molto bella, di una purezza giovannea; egli non desidera altro che poter amare e contemplare Dio e prova una gioia infantile di potere, lui e gli altri, amare così.[26]
  • [Teresa di Lisieux] [Per lei] l'inferno è vinto nella passione e nella discesa del Signore, e anche a noi in quanto credenti è dato di vincerlo in certo qual modo insieme a lui, soffrendo con lui. Per Teresa questa partecipazione al dolore di Gesù riguarda coloro che vogliono servire seriamente il Signore perché la sua Chiesa si realizzi. L'inferno è quindi per lei l'"al di fuori" della Chiesa... Il problema del suo proprio inferno non la tocca mai. È questa forse una delle ragioni per cui la sua notte non è mai completamente oscura: ella sa che non ha mai peccato, perché il suo confessore glielo ha detto... Così da questo momento lei non può neppure metter piede nell'inferno, col quale non ha nulla a che fare. Tuttavia, poiché è solita portare esempi a partire da se stessa, ma non può divenir partecipe dell'inferno, vengono a cessare gli esempi che si riferiscono all'inferno e quindi anche l'inferno stesso.[27]
  • [Mozart] in relazione a Dio è come un bambino che porta ogni cosa a suo padre: pietre della strada, particolari legnetti, piccole piante e un giorno anche una coccinella; e insieme a lui tutte queste cose sono melodie, melodie che egli porta a Dio, melodie che egli improvvisamente conosce mentre si trova in preghiera. E quando ha finito di pregare e non è più in ginocchio e non ha più le mani giunte, allora si siede lì al pianoforte, o canta con incredibile fanciullezza, e così facendo non ha più idea se stia suonando qualcosa per Dio o se sia Dio che si serve di lui per suonare qualcosa per sé e per lo stesso Mozart. C'è una grande conversazione tra Mozart e Dio, che è la preghiera più pura, e questa intera conversazione non è altro che musica.
[Mozart] in relation to God he is like a child who brings everything to his father: the stones from the street and peculiar sticks and little plants and even once a ladybug; and with him all of these things are melodies, melodies that he brings to God, melodies that he suddenly knows when he is inside of prayer. And when he has finished praying, and he is no longer on his knees and no longer has his hands folded, then he sits there at the piano, or he sings with an incredible childlikeness, and in doing so he no longer has any idea whether he is playing something for God or whether it is God who is using him to play something at once for himself and for Mozart. There is a great conversation between Mozart and God that is the purest prayer, and this entire conversation is nothing but music.[28]

Citazioni sul Libro di tutti i santi

[modifica]
  • Adrienne, che nel suo Libro di tutti i santi ha potuto svelare l'anima dei santi in modo così stupefacente. (Hans Urs von Balthasar)
  • Il Libro di tutti i santi è un regalo meraviglioso alla Chiesa, perché mostra come pregavano i santi, e perché invita come per contagio alla propria preghiera. (Hans Urs von Balthasar)
  • Mai un cliché, un luogo comune, una ripetizione. In ciascuno [degli schizzi] è delineato un ritratto limitato, ma inconfondibile. (Hans Urs von Balthasar)
  • Nella sua vita mistica la Von Speyr viveva in straordinaria familiarità con i santi. In questo volume viene presentato di volta in volta un breve ritratto di santo con la descrizione del suo atteggiamento nella preghiera, che è anche l'espressione del suo particolare carisma come della sua specifica santità. Tutto il volume diviene allora un inno gioioso, una confessione sinfonica della santità, del rapporto privilegiato della Chiesa con Cristo e con Dio. (Elio Guerriero)

Lumina

[modifica]
  • Quando facciamo i nostri calcoli, abbiamo bisogno di così tanti numeri e fattori che ogni errore è possibile. Il calcolo del Signore si basa solo sull'amore.
When we make our own calculations, we need so many numbers and factors that any mistake is possible. The Lord's calculation boils down to love. (p. 15)
  • L'audacia più estrema: voler amare qualcuno – per non dire il proprio prossimo! – come Dio lo ama.
Ultimate audacity: to want to love a person—to say nothing of one's neighbor!—as God loves him. (p. 15)
  • Il primo passo per imparare ad amare gli altri è il tentativo di capirli.
The first step in learning to love others is the attempt to understand them. (p. 16)
Only faith can keep what hope promises. (p. 17)
  • La speranza cristiana è un vaso in cui la fede vive; e che l'amore trasporta.
Christian hope is a vessel in which faith lives; love carries it. (p. 17)
  • Più Dio vi sembra misterioso, più è vicino a voi.
The more mysterious God is to you, the closer He is to you. (p. 19)
  • Per chi vuole amare è meglio non sapere nulla che sapere troppo.
Whoever wants to love is better knowing nothing than too much. (p. 20)
  • Un problema scientifico, una volta risolto, rimane interessante e vivo solo se attira l'attenzione su nuovi problemi; ogni conclusione va intesa come una transizione verso un nuovo inizio.
Once a scientific question is settled, it remains interesting and alive only if it draws attention to new questions; every conclusion is meant as a transition to a new beginning. (p. 20)
  • C'è già tanta grazia in un corpo cristiano. Potete immaginare quanta grazia ci sia in un'anima?
There is already so much grace in a Christian body. Can you imagine how much grace there is in a soul? (p. 21)
  • La gioia non è solo una professione pubblica. È prima di tutto uno stato, e lo stesso vale per umiltà e fede.
Joy is not only a public profession. It is above all a state, and the same is true of humility and faith. (p. 21)
  • I peccati degli altri non possono mai diventare la misura dei vostri.
The sins of others can never become the measure of your own. (p. 35)
  • Se ci fosse solo una possibilità – fare il bene o combattere il male – l'uomo dovrebbe optare per la prima.
If there were just one possibility—either to do the good or to combat evil—man would have to opt for the first. (p. 36)
  • Quando pecchiamo, pensiamo di essere geniali; quando ci confessiamo, sappiamo di essere idioti.
When we sin, we think we are geniuses; when we confess, we know we are idiots. (p. 42)
  • Un cristiano che rifiutasse di morire dopo essersi confessato sarebbe indegno della vita.
A Christian who refused to die after confession would be unworthy of life. (p. 42)
  • La capacità di soffrire e la capacità di amare sono la medesima.
The ability to suffer and the ability to love are one. (p. 45)
  • Sofferenza senza fede sarebbe come amore senza speranza.
Suffering without faith would be like love without hope. (p. 45)

Maria nella redenzione

[modifica]

«Ecce ancilla». Con questa parola Maria mette tutto a disposizione. È lei l'eletta, colei che è stata visitata dall'angelo, però intende il suo servizio in modo tale che per mezzo suo tutti i credenti vi siano inclusi. Dice il suo sì sperando di poterlo pronunciare a nome di tutti coloro che sono disposti a credere. Lei è la piena di grazia, ma proprio quando risponde in conformità a questa grazia, desidera ritirarsi – pura ancella! – nell'anonimato del servizio. E, come unica eletta, mette a disposizione anche questo. La sua disponibilità vuole includere tutto ciò che Dio possa richiederle, così che nella sua venga abbracciata anche la disponibilità di tutte le donne a quanto venga loro richiesto.

Citazioni

[modifica]
  • La sua "genialità" sta nel fatto di essersi definita come ancella, e non come Madre o come sposa, come aiuto o come figlia... includendo così ogni possibile servizio gradito a Dio, che di lei potrà disporre come gli piacerà. (p. 31)
  • In Maria si trova l'idea dell'uomo perfetto, l'idea che Dio aveva in mente nel creare il primo uomo, e così Maria non è propriamente la seconda, ma la prima Eva, quella che non è caduta, colei che vede come la seconda Eva cade. (p. 35)
  • È diversa da Eva solo per il fatto che rimane pienamente aperta e disponibile (e senza sottolineare espressamente questa disponibilità) per tutto ciò che di nuovo le viene donato da Dio; forse ancora più semplicemente: per tutto ciò che di buono le viene da Colui che è bontà. (p. 43)
  • La Madre, nel portare il Figlio, non è meno umana di prima. È un essere umano rivestito di nuove proprietà. (p. 45)
  • Maria è talmente piena di grazia che comunica anche molto di ciò che non afferra. Non conosce l'abbondanza delle sue grazie secondo la sua misura oggettiva. Ella è da sempre così vicina a Dio che coloro che la incontrano colgono qualcosa di questa vicinanza dal tipo di grazia che viene loro comunicata. (p. 53)
  • La giustizia dell'Antico Testamento porta in sé il presentimento della grazia del Nuovo Patto, e non come qualcosa di distante, di assente, da ricevere in un futuro ancora lontano: al contrario, i contorni di questa grazia si profilano già al presente. (p. 67)
  • Una purificazione senza peccato personale può essere solo una purificazione a disposizione di Dio. Proprio in questo Maria diventa corredentrice. (p. 80)
  • L'immacolata concezione di Maria potrebbe essere chiamata un dono che il Padre fa al Figlio. Maria è certo salvata dal Figlio, ma in questo vi è come un accompagnamento dell'opera del Figlio da parte del Padre. Come una prova prima della prova. Come la certezza che il Padre dona al Figlio sul suo cammino, che tutto andrà bene. Il peccato originale da cui tutti siamo segnati ha la proprietà di suscitare nuovi peccati. Nell'immacolata concezione, Maria riceve il compito di annunciare la purezza sempre più grande del Figlio e della sua divinità. Ella è come un anello nuziale che il Padre dona al Figlio, un pegno della riuscita dell'opera redentiva. (p. 83)
  • II Signore fa di sua Madre la sposa, la Chiesa. E la Chiesa dovrà sempre ritornare al pensiero che Maria è diventata la sposa [...]. (p. 101)
  • Alcuni santi, e anche Maria, custodiscono dei misteri che si manifesteranno realmente solo nel momento in cui altri ne avranno bisogno. Alcune cose che hanno o ricevuto o fatto spontaneamente non diventeranno coscienti se non a favore di altri. (p. 107)
  • È sempre il seme di un altro ad essere introdotto nel grembo di una donna, ma è poi lei che lo fa maturare con la propria collaborazione, e dona infine il bambino a tutto il mondo. (p. 108)

La solitudine di Maria. Ella ha restituito a Dio il suo Figlio, tutti i suoi figli, ma sente la loro presenza nella solitudine come un dono di Dio. Apparentemente ella non ha più nulla sulla terra, ma sa che in cielo conoscerà la pienezza di quel dono di grazia alla cui elargizione le è stato concesso di collaborare.

Citazioni su Maria nella redenzione

[modifica]
  • Adrienne contempla l'unità della Madre e del Figlio [...]. Pienamente cosciente dell'insondabilità del mistero [...] lo esamina da tutte le parti, e lo fa con un vigore speculativo così sorprendente, che ben difficilmente si potrà trovare nella letteratura mariologica qualcosa di paragonabile. Le meditazioni sono così dense che il lettore è costretto a procedere passo a passo, senza sorvolare su nulla. Poiché i pensieri si muovono sempre nell'immenso spazio dei santi misteri di Dio, può sorgere talvolta l'impressione che certi aspetti stiano tra loro in contraddizione, ma ad uno sguardo più attento si vedrà come i contrasti siano senz'altro appianabili: servono in fondo ad evitare l'illusoria superficialità di chi ritiene di aver già capito abbastanza. Si può addirittura dire che proprio certe pagine tra loro contrastanti conducano meglio al centro del mistero. (Hans Urs von Balthasar)
  • Il ruolo di Maria nella redenzione è quello del sì puro che getta tutta la luce sul Signore; nessun accenno a se stessa, alla sua missione, tutto il peso è su Dio e la sua volontà: pura trasparenza. Dalla disponibilità di Maria alla disponibilità del credente, alla disponibilità della Chiesa. Per questo Maria sta sempre davanti alla Chiesa come il modello cui tendere. (Elio Guerriero)

Mistica oggettiva

[modifica]

Nonostante che il Signore non abbia mai parlato in segreto, nonostante che nel cristianesimo non vi sia alcuna dottrina segreta oltre a quella insegnata pubblicamente, tutto in questa dottrina è quanto mai pieno di mistero. Benché niente venga nascosto, molto rimane celato all'intelletto privo di carità; ciò che gli sembra limitato, viene raggiunto dall'amore nella sua vera grandiosità. Ciò che l'intelletto ascolta, è accettabile, ma se vi aggiunge la carità vengono rimosse subito tutte le barriere della verità.

Citazioni

[modifica]
  • Si rimprovera ai cattolici di aver introdotto misteriosamente una quantità di cose nella parola di Dio ma esse si spiegano semplicemente con la carità. (p. 83)
  • La cornice della verità dommatica non può essere scavalcata, ma dentro di essa l'infinita verità del Signore si muove sovrana. (p. 84)
  • Dio ama tanto il mondo da mostrare in continuazione nuovi aspetti della sua carità. (p. 85)
  • Il curato d'Ars [...] ci mostra come se fosse la prima volta che cosa sia la confessione. Egli la libera della nausea dei cristiani e la rende una rivelazione luminosa dello Spirito Santo. La forza immaginativa di Dio è sempre all'opera per scuotere la Chiesa dalla sua sicurezza. (pp. 85–86)
  • Benché la verità sia razionale, obiettiva e anche assoluta, non la si può mai pensare come separabile dalla grazia. Essa rimane un dono della grazia che non ci viene affidato mai una volta per tutte, ma si effonde sempre in modo nuovo come dono duraturo. (p. 86)
  • La luce riguardante Dio viene da Dio. (p. 86)
  • Noi non riusciamo a intravvedere in anticipo dalle promesse come saranno gli adempimenti. Solo dal compimento si può scoprire il senso proprio della promessa. (p. 86)
  • La grazia ci inonda: ciò costituisce la sua essenza. Essa non chiarisce punto per punto, ma irradia la sua luce come il sole. L'uomo su cui Dio prodiga se stesso dovrebbe esser preso da vertigini così da poter vedere solo la luce di Dio e non più la propria debolezza. Dovrebbe rinunciare ad ogni equilibrio, ad un dialogo tra sé e Dio come due partners, essere un semplice ricevitore con le braccia aperte che non riescono ad afferrare, poiché la luce scorre su tutti e rimane inafferrabile e rappresenta molto di più di quanto possa accogliere il singolo. (pp. 87–88)
  • Ogni parola partecipa della infinità di Dio e [...] egli la può rendere accessibile in modo che le nostre parole la possano comunicare. (p. 88)
  • Dio ci dona la verità integrale, ma noi ne vediamo sempre solo delle facce; esse sono subordinate al tutto e non si lasciano staccare. Il diamante risplende solo se tutte le facce rimangono così come sono. Certamente si può ammirare una sola faccia in se stessa, ma occorre far presente che è una parte del tutto e che si manifesta per amore del tutto.[29] (p. 88)
  • Il contenuto della rivelazione è l'essere sempre maggiore della carità di Dio [...]. (p. 89)
  • Non si può osservare Dio dall'esterno come un semplice oggetto, dalla cui conoscenza si deducono conclusioni neutrali. Conoscere Dio vuol dire rinunciare al proprio punto di vista, non essere legato ad alcun posto, a nessun modo di pensare, ma mantenersi libero, affinché Dio si faccia conoscere nella misura in cui vuole. (p. 92)
  • Chi non ama, si sbarra da sé l'ingresso alla conoscenza. (p. 92)
  • La carità è di conseguenza l'essenza comune delle persone, esse non hanno la carità, sono la carità, si immergono nell'unica, comune carità, comune come l'unità dell'essenza divina.[30] (p. 94)
  • L'amore non corrisposto, visto dal punto di vista semplicemente umano, porta alla morte ed è senza via d'uscita; ma nel cristianesimo può diventare anch'esso una figura della carità divina: in quanto nella carità della Croce tra Padre e Figlio, in cui la carità non era più sentita, non era più conosciuta, essa viene ripristinata dalla grazia sempre secondo l'immensità della carità divina. (p. 95)
  • Le tenebre di Dio sono quella parte della luce che noi non comprendiamo.[31] (p. 98)
  • Colui che è chiamato è dispensato fin da principio dalla preoccupazione di se stesso, non ha bisogno di calcolare, di temere, se riuscirà a scamparla, se le sue forze saranno sufficienti, se i nemici lo sopraffaranno: la protezione non manca. (p. 107)
  • Se il Signore fosse solo adempimento delle antiche profezie, sarebbe termine e chiusura. Ma poiché egli stesso è adempimento profetico è sempre di nuovo inizio e novità. (p. 109)
  • L'incarnazione è in certo modo l'eucarestia del Padre. (p. 112)
  • La sublimità della missione di Maria consiste nell'essere missione nel Figlio. Ogni missione cristiana si ritrova entro la missione del Signore, proviene da lui. (p. 113)
  • La discesa agli inferi è l'ultima conseguenza dell'incarnazione. Il Figlio prima era in se stesso un Dio semplice, pura immensità. Poi divenne uomo, migliaia di rapporti con gli altri uomini, migliaia di stati, sforzi e iniziative mutevoli e temporali, sperimentò tutto ciò in un destino fugace, in qualcosa senza confini, che era sempre disponibile all'infinità del Padre. Ora gli manca ancora la conoscenza del puro non essere Dio, della pura opposizione a Dio, per così dire della semplice limitatezza nella illimitatezza. (p. 149)
  • Cristo deve passare attraverso gli inferi, per ritornare al Padre, difatti deve poter vedere la grandezza dell'esecuzione nei risultati; il risultato è la separazione, il peccato senza coloro a cui esso appartiene; in ultima analisi egli ha operato la separazione tra peccato e peccatore e negli inferi egli colpisce anzitutto solo i peccati, non i peccatori. (pp. 149–150)
  • Vi è nel mondo intorno al peccato tutta una sfera personale; l'uomo si unisce ad essa, la prende in sé, si nutre in certo modo della sua sostanza, la mescola con il suo io, le presta la sua forza, che è positiva e gli appartiene. [...] Questa determinata donna, che ha compiuto quel preciso adulterio, ha consegnato in esso la sua capacità personale e femminile di amore, la sua profonda radicale potenza che comprende sia gli aspetti corporali sia le sue proprietà spirituali. Ha consumato, distrutto ed usato per il male quella capacità che le apparteneva per il bene. Quando il peccato viene estirpato dall'uomo, deve essere anche tolto. Appartiene d'ora innanzi agli inferi. (pp. 150–151)
  • Nel mistero del sabato santo s'incontrano i più disparati e opposti misteri e si intrecciano in un modo che non si intuisce mai definitivamente, formando un tessuto unitario che intende mostrarci quanto sia perfetta e totale la redenzione dell'umanità. È il mistero della morte come lo vive il Figlio unito con la divinità della Trinità. È il mistero della comunione del Figlio negli inferi, accompagnato dal Padre e dallo Spirito. È il mistero del peccato umano incorporato al suo aspetto eterno con il mondo dei morti. È il mistero del ritorno del Figlio al Padre secondo questo modo concreto e in nessun altro. È il modo con cui gli uomini assistono alla morte redentiva in una grazia che dona loro la fede, che attende il dono della resurrezione per partecipare alla sua piena vitalità. (p. 154)
  • Se un sacrificio non costa niente, è un sacrificio senza Figlio e Spirito. La vittoria sul peccato è ciò che tiene occupati il Figlio e lo Spirito. Se l'uomo rinuncia al peccato solo perché non lo eccita più, non vi è nessuna rinuncia, che interessa Dio, difatti l'uomo potrebbe, se si presenta il caso, esser schiavo di nuovo del peccato, anzi in lui il buio deve esser superato da una luce maggiore: dall'amore del Figlio e dello Spirito. (p. 155)
  • Il Figlio, che ha "confessato" sulla croce tutti i peccati del mondo al Padre, dal momento della croce possiede un nuovo mistero di fronte al mondo, che nel periodo tra la morte e la resurrezione rimane latente e che è condotto con sé come risultato già ottenuto nella passione nel cammino verso gl'inferi. Il Figlio ha portato perciò su di sé il peccato in due modi: lo ha portato al venerdì santo fino alla morte come colpa personale di ogni individuo, espiando lo portava con la sua persona divino-umana, in una azione che era la più soggettiva che il Figlio potesse effettuare per i peccatori. Allora ogni peccato appariva legato con il peccatore che lo aveva commesso, portava i tratti del soggetto colpevole. Al sabato santo invece nella visione dei peccati di tutto il mondo dal punto di vista degl'inferi il peccato si separa dal peccatore, fino al punto da diventare una mostruosità, senza forma che rivela lo spavento degl'inferi e suscita l'orrore dell'osservatore. È il peccato ultimo ed eterno senza via d'uscita, peccato diventato anonimo, nella cui realtà e apparenza non si possono più includere il singolo peccatore e la sua partecipazione. (p. 156)
  • L'abbandono del Padre sulla croce, il perfetto isolamento dal Padre negl'inferi appartengono al nocciolo del mistero assunto da lui, della confessione, e del peccato del mondo. Il corpo resuscitato è sorto da quello crocifisso e sepolto, come il suo corpo terreno era sorto dalla decisione celeste dell'incarnazione. Il nuovo corpo, che il Padre gli ha donato, è il corpo del suo semplice ritorno al Padre. Riferendosi alla confessione si può affermare: il suo corpo terreno era il corpo della professione di fede, quel corpo che avrebbe dovuto portare la colpa personale di tutti gli uomini, anche la colpa originale e la colpa in se stessa. Il corpo risorto invece è il corpo dell'assoluzione che non deve portare più i peccati, perché sono già stati espiati e sulla croce è stato fatto abbastanza per tutto. Il primo corpo ha raccolto su di sé la perfetta confessione, il secondo invece si dona come semplice perdono. (p. 156)
  • Lo Spirito Santo è la persona divina in cui Dio si rivela come colui che vuole liberamente e che rende capace l'uomo d'accorgersi della rivelazione e di corrispondere ad essa nella propria libertà. Crea la corrispondenza tra la libertà divina e quella creata, come libertà. (p. 196)
  • L'inizio è la forma della vita cristiana. Essere cristiano è un'eterna promessa, che non è mai del tutto attuata sulla terra, è un tendere, cercare, lottare, bussare e anelare a qualcosa che si apre sempre senza essere mai del tutto aperto, che è perennemente in germe [...]. (p. 197)
  • La santità non consiste nel fatto che l'uomo dà tutto, ma nel fatto che il Signore prende tutto. Tra offerta e esaudimento vi è sempre come un contrasto, uno sbaglio, una svista. L'uomo offre tutto forse a parole, pronuncia l'offerta a mezzo bocca. Ed egli lo immagina sempre come qualcosa di limitato. La sua offerta, nonostante la sua volontà, non deve tenere per sé niente, né una figura conforme a questo mondo. E il Signore l'ascolta come se fosse stata pronunciata nel modo dovuto; e quando egli prende tutto nel suo senso, allora probabilmente l'uomo grida e rimpiange quello che gli è stato preso, ma la grazia della santità sta appunto nel fatto che il Signore permette la svista. (Cfr. Apoc 20,6) (p. 249)
  • Se uno conosce la verità di Dio, per lui non è difficile attestare tale verità con le parole. La testimonianza però avrà in sé tutta la sua verità solo se è armonizzata con la testimonianza della vita. Se un uomo non vive secondo la verità che annuncia, allora la sua testimonianza non è comunicazione e non può convincere. (p. 287)
  • La confessione rende il peccatore un santo, un portatore della grazia santificatrice di Dio. Ma quale confessore scorge veramente nel penitente dopo l'assoluzione la santità? In fondo quasi nessuno crede più al miracolo della confessione. Con il concetto "perfetto pentimento" tutto è subito messo a posto. Il penitente si rassegna; lo so: cadrò di nuovo. Se si sperimentasse anche una sola volta la gioia del dono della santità, proprio tale gioia sarebbe il presupposto per il tentativo di non cadere più. In ogni assoluzione il Signore aspetta che il membro della Chiesa conservi e approfitti della sua santificazione. Lo spera. I confessori dovrebbero trasfondere ai penitenti molto di più la speranza del Signore [...]. (p. 291)
  • La vera obbedienza ha un'elasticità sempre fresca, non conosce la noia. Non appena uno che obbedisce si sente annoiato, sta già in certo modo al di fuori della carità. (p. 293)

Egli quindi dice loro: non temete, perché egli conosce personalmente l'angoscia. Non devono temere, difatti egli li aiuterà a sopportare l'angoscia umana. E non devono temere, nonostante che sia loro richiesto di partecipare alla sua ansia divina. La sua partecipazione rassicurante la loro angoscia causerà in loro una specie di trasformazione: condividendo la loro angoscia limitata, farà nascere in loro l'amore per una crescita continua e darà quindi la possibilità di partecipare alla sua ansia illimitata, assoluta. Nell'ambiente limitato della loro piccola angoscia darà loro un sollievo, al posto di essa metterà l'immensità del suo spazio e farà sentire la sua grande ansia. In questo scambio, che propone loro, offre la parte migliore: essi possono perdere il loro egoismo ed essere disponibili alla sua carità. Certo quello che è offerto loro è proprio ciò che temono più di tutto: essere immessi nella bruciante esigenza e passione divina. Egli alleggerirà il loro piccolo peso umano, per dar loro da sopportare nella carità qualcosa della sua infinita sofferenza. (Cfr. Gv 6,20)[32]

San Giovanni

[modifica]

Il Verbo si fa carne

[modifica]

L'indole dell'apostolo Giovanni è riconoscibile nel modo migliore lì ove, in lui, natura e soprannatura diventano un'unità e fuoriescono continuamente da tale unità per ricostituirla e illustrarla di nuovo e per rendere possibile ai credenti di condividerla in un modo, che prende al proprio servizio tutto ciò che nell'uomo vi può essere di naturale e soprannaturale. Giovanni è l'apostolo che ama il Signore soprannaturale, cristianamente, divinamente, ma di sicuro anche umanamente.

Citazioni

[modifica]
  • Per Giovanni il Signore è amico e Dio contemporaneamente, per cui egli nell'amico riconosce il divino e nel divino ciò che gli è amico. (p. 7)
  • Nessuno può affermare, anche se avesse fatto mille passi, d'aver il primo passo dietro di sé e di non aver più bisogno di farlo. (p. 20)
  • Gioia e dolore son l'unica forma non scomponibile del perenne decollo, della partenza sempre nuova, della vita in origine. (p. 20)
  • L'uomo può essere guidato all'origine solo se si trova in essa. Nel superamento del proprio punto di vista sta l'unica via di accesso all'amore. (p. 21)
  • Dio è Trinità nella sua essenza. Non è quindi vero che esiste prima il Padre, poi nasce il Figlio e infine dall'unione dei due procede lo Spirito, non è quindi vero che l'amore in Dio sarebbe solo il risultato delle relazioni tra le persone, che l'essenza di Dio verrebbe prima della persona e la persona prima dell'amore. È piuttosto l'essenza stessa di Dio a essere trinitaria e, quindi, amore nel suo più intimo. L'amore è pertanto l'essenza comune delle persone; esse non hanno l'amore, ma sono l'amore, sono immerse in un amore unico e comune, tanto comune quanto l'unità dell'essenza divina. (p. 23)
  • Dato che il mondo è un'espressione e un riflesso di Dio, il suo fondamento e la sua essenza possono poggiare solo sulla Parola. La sua essenza più intima poggia sulla Parola ed è comprensibile solo come Parola. (p. 27)
  • La vera contemplazione è il contrario del quietismo. La vera contemplazione è un fuoco vivo, una vita prorompente, una confessione. Essa è parola viva di Dio nella creazione, parola che arde nella sostanza dell'uomo come un fuoco nascosto. Una volta che Dio ha parlato, una volta che un'anima l'ha udito, il silenzio non è mai più un silenzio vuoto, non è mai più neppure una semplice eco della Parola, ma è una forma della risposta, dell'accettazione della Parola, e precisamente dell'accettazione viva e attiva. Nel silenzio l'anima diventa il grembo della Parola. Tale silenzio è il presupposto di ogni dialogo e di ogni prosecuzione del dialogo. Mediante il silenzio l'uomo che ha udito è diventato un altro. (p. 28)
  • [...] il balbettio del bambino è un discorso in Dio e con Dio, è amore diretto. E l'ultima parola dell'uomo, il rantolo della morte in cui abbandona se stesso, in cui depone il suo egoismo e la sua menzogna e ritorna a Dio, è ancora una volta pura [...]. Ambedue le parole sono pronunciate nella debolezza, nell'inermità di fronte all'amore di Dio. Il bambino balbettante non ha ancora scoperto se stesso, il moribondo s'è di nuovo dimenticato. Nell'intervallo si stende quella durata, che noi chiamiamo la «nostra vita», in cui l'uomo si allontana da Dio per condurre una vita propria, non dice più la sua parola in Dio, ma cerca di parlare in se stesso. Tale parola è menzogna fintanto che la rivendichiamo a noi stessi come se fosse la nostra propria opera, la nostra propria creazione. Cacciamo noi stessi dal paradiso, ci esiliamo dalla nostra vita con Dio. [...] Tale paradiso non è l'incoscienza in quanto tale del bambino, e la coscienza non è affatto in quanto tale la lontananza da Dio. Il paradiso è la vita in Dio, vita possibile anche allo spirito che ha coscienza di sé. (p. 29)
  • La preghiera non è in primo luogo una parola rivolta dall'uomo a Dio, ma un dono che Dio ha fatto a noi uomini nella sua Parola. (p. 30)
  • Buona è la preghiera che penetra nell'orecchio di Dio, non la preghiera che, nella valutazione degli uomini, è ben espressa. Nelle orecchie di Dio un unico sospiro può valere più che non molti anni di bellissima preghiera. (p. 31)
  • La tenebra di Dio è quel lato della sua luce che noi non comprendiamo. (p. 45)
  • L'amore ha da ultimo bisogno del mistero che lo circonda, perché ogni amore è vulnerabile e inerme. Per questo la notte diventa la zona del pericolo e della tentazione. Non appena si commette il peccato – che consiste nel non sopportare la notte dell'amore, nel voler rischiare la tenebra di Dio –, la notte diventa l'immagine del peccato. Il peccato è consistito nel non sopportare il mistero. (p. 45)
  • Nella sua vita [di Gesù] esiste un'eccedenza di contemplazione: l'eternità prima della sua nascita, i trent'anni di vita nascosta, il deserto, le notti nel corso della sua vita attiva e prima della passione. Egli attinge sempre tutta la forza per agire, addirittura tutta la forza per donarsi al Padre. La contemplazione è una visione e una considerazione di verità, che non stanno in noi ma in Dio. (p. 150)
  • I santi sono come piccole locande lungo il cammino; possono ristorare, ma non trattenere troppo a lungo l'ospite. (p. 192)
  • Giovanni Battista sta qui come il modello e la figura dei santi in generale. Egli illustra in maniera rappresentativa il senso dei santi quali indici puntati verso il Signore [...]. (p. 300)
  • Egli [il Signore] è l'ognivolta-di-più. Se uno gli domandasse chi è, la sua risposta suonerebbe: io sono di più. Se gli domandasse che vuole da lui, la sua risposta suonerebbe: voglio di più. Egli è un essere progrediente in se stesso e quindi anche una richiesta progrediente. (p. 301)

I discorsi polemici

[modifica]
  • Ogni parola divina, quindi ogni versetto del vangelo, contiene latente in sé la pienezza della vita eterna, i misteri del cielo, il mare della verità e dell'amore trinitario. (p. 11)
  • [...] il peccato è un ostacolo puro e semplice e mai un'occasione di crescita. Invece il Signore può utilizzare benissimo una debolezza per aprire la via a una fede, che solo in un secondo momento guiderà all'amore. (p. 13)
  • Chi partecipa all'opera del Signore viene sempre messo alla prova. (p. 18)
  • Il calcolo oggettivo arriva sempre al risultato che non esiste alcun rapporto tra la richiesta del mondo e la possibilità di adempimento umano. (p. 19)
  • [...] ogni grazia concessa dal Signore non è commisurata alla capacità ricettiva del soggetto, ma la supera. (p. 22)
  • [...] la presenza del Signore può essere molto più insopportabile della sua assenza. (p. 28)
  • In noi alberga un desiderio, che in fondo in fondo non vuol essere appagato, perché la chiarezza sospirata è più insopportabile dell'attesa confusa. (p. 29)
  • E quando ci offriamo a Dio per contribuire un po' a portare il peso del mondo, lo dobbiamo fare con gioia e con amore, nella gratitudine della comunione dei santi. La rinuncia e l'ascesi stimolano a raggiungere la verità. Infatti la verità sta tra il Padre e il Figlio, e come il Figlio ha rinunciato alla propria vita per amore del Padre, così il Padre ha rinunciato al Figlio per amore del mondo. In questo amore che sa rinunciare sta il criterio dell'ascesi. Questa rinuncia in Dio è la verità. La piccola rinuncia umana può dare concretezza al desiderio dell'uomo di essere introdotto nella verità di Dio. (p. 156)
  • Non è possibile amarsi in Dio senza che Dio prenda sul serio questo amore, lo rivendichi subito e lo plasmi secondo le sue intenzioni. Gli amanti pensavano forse di inserire Dio nel loro amore, è stato invece Dio a inserire loro nel suo amore. (p. 230)
  • I santi ci mostrano con una chiarezza insuperabile che le loro opere non scaturiscono da loro stessi. Essi sono una porta aperta verso il Signore. (p. 281)
  • Lo Spirito Santo dilata, vivifica e feconda. Se lo espelliamo, tutto diventa angusto, morto e arido. (p. 320)

Citazioni su San Giovanni

[modifica]
  • I primissimi dettati (sul prologo di Giovanni) erano nell'espressione ancora goffi; Adrienne esponeva pensieri, esprimeva punti di vista l'uno dopo l'altro senza nesso, tanto che poi dovevano essere collegati fra loro in una redazione definitiva; ma presto si abituò al dettato. (Hans Urs von Balthasar)
  • L'opera maggiore di Adrienne von Speyr è il commento in quattro volumi al vangelo di Giovanni. [...] la Von Speyr riconosce a Giovanni quella vicinanza al cuore di Gesù che permette all'apostolo evangelista [...] di rivelare come nessun altro il mondo di Dio. L'esposizione contemplativa del vangelo di Giovanni è, dunque, per l'autrice la via più certa per consentire al cristiano di addentrarsi nei misteri di Dio. (Elio Guerriero)
  • Soprattutto nel commento al vangelo di Giovanni, Adrienne sviluppò una concezione trinitaria incentrata sulla donazione del Padre e l'autoaccettazione obbediente e grata del Figlio per e nello Spirito. Questa concezione trinitaria diviene rilevante tanto per l'immagine di Dio che per la visione dell'uomo. (Elio Guerriero)

Tre donne e il Signore

[modifica]
  • Gli incontri di Gesù con gli uomini sembrano essere, nel Vangelo, del tutto casuali. Alcuni personaggi appaiono e riscompaiono, schiere intere lo seguono e diventano testimoni dei suoi miracoli e ascoltatori della sua predicazione. La maggior parte rimane anonima; alcuni appaiono solamente perché la situazione sia chiaramente delineata, potrebbero quasi essere sostituiti da altri. Ma vi sono anche persone che, un po' alla volta o d'improvviso, emergono da una certa oscurità per personificare da quel momento in poi, dinanzi allo sguardo meditativo della Chiesa, la forma di un particolare servizio reso al Signore. Quando appaiono ci si accorge che già da tempo sono state oggetto della considerazione e dell'accettazione del Signore. Egli le ha prescelte, le ha accolte molto prima che esse lo sapessero. E per il momento, fin quando escono dalla segretezza in lui, egli le sostiene.[33]
  • In queste persone, che per molto tempo rimangono sconosciute e che rappresentano anche quelle innumerevoli del cui rapporto con il Signore non conosceremo mai e poi mai qualcosa, ci si manifesta in maniera particolare il suo potere di sostenere in sé ogni uomo. Con ciascuno egli può da solo entrare in rapporto, in un rapporto per il quale in un primo momento egli solamente ha pronunciato la parola sì. Lo ha posto come sua creazione – e questa posizione è la grazia, la quale precede ogni movimento e risposta dell'uomo – ma nel suo sì all'uomo vi è già incluso, come un germe vivo, latente, anche il sì dell'uomo: nell'unilateralità della chiamata vi è già la bilateralità dell'incontro.[33]
  • Di Maria, che dice all'angelo il suo sì, noi sappiamo nella fede che il Figlio già da molto tempo, fin dall'eternità, l'ha sostenuta e portata nel suo sì. Egli l'ha prescelta come sua madre, l'ha predestinata e anche preredenta. È come se fosse stata sostenuta dal sì del Figlio fin dove è stato possibile: fino al momento della decisione. Così come accade anche per colui che va a confessarsi, egli è sostenuto fino al momento in cui fa la sua confessione. Questo essere sostenuti dal Signore non significa assolutamente che egli ci toglie la responsabilità; egli, piuttosto, ci rafforza nella giusta decisione, affinché noi possiamo incontrarlo nella pienezza della nostra libera volontà, affinché per la forza da lui conferitaci veniamo resi capaci di scegliere ciò che è la volontà del Padre.[33]

Citazioni su Adrienne von Speyr

[modifica]
Adrienne von Speyr
  • Adrienne aveva una spiritualità elevatissima con molte manifestazioni mistiche (comprese le stigmate). Conversando assiduamente con lei e annotando le sue confidenze, B. matura lentamente anche la sua visione teologica. (Battista Mondin)
  • Balthasar fu accusato di sudditanza nei confronti della dottoressa, e quindi di essere succube delle sue visioni mistiche [...]. Lei era giudicata malevolmente superba, eccentrica, piuttosto visionaria [...]. Le chiacchiere non mancarono e anzi durarono non poco, nella totale (o apparente?) indifferenza però di Balthasar, lei invece in qualche passaggio dei suoi commenti al Vangelo di Giovanni si lascia sfuggire qualche critica velata nei confronti di quanti ipocritamente seminavano zizzania nella Chiesa a causa del distorto giudizio sul loro rapporto. Ma la sofferenza silenziosa e umile di entrambi per queste incomprensioni è abbastanza nota. (Marcello Paradiso)
  • Balthasar insiste molto sulla natura oggettiva della mistica di Adrienne per significare il fatto che tutte le grazie soggettive, con le personalissime e talora drammatiche esperienze connesse, in se stesse inaccessibili a noi comuni fedeli, le hanno aperto la strada ed il cuore alle profondità oggettive, teologiche, del mistero cristiano. [...] [Adrienne] ha potentemente gustato il fatto cristiano e ha saputo tradurre questo suo singolare dono in riflessione teologica oggettiva sui fattori centrali del cristianesimo. (Angelo Scola)
  • Come leggere Adrienne von Speyr? La risposta più breve ed esauriente suona: in atteggiamento di preghiera. Non ho mai incontrato una sola parola nei suoi numerosi scritti che non porti l'inconfondibile traccia d'esser frutto di una profonda preghiera contemplativa. (Joseph Fessio)
  • Egli [Balthasar] ci parlò fin dall'inizio di Adrienne e subito destò il nostro interesse appassionato, perché la sensibilità cristiana a cui siamo stati educati ci rendeva assetati di chi ha il dono di vivere un rapporto grande e significativo con Dio e di saperlo comunicare. Affascinati dalla teologia di von Balthasar non potevamo non inoltrarci con lui sulla strada di un nuovo connubio tra teologia e santità. (Angelo Scola)
  • Ella aveva una predilezione per "il discepolo che Gesù amava" [Giovanni apostolo] e lo vedeva come l'ultimo e il più profondo interprete del mistero di Gesù, dell'amore del Padre per il mondo, del ruolo dello Spirito Santo di introduttore perfetto nella luce piena della Rivelazione del Padre e del Figlio. Adrienne ha penetrato molto vivamente la profonda comunione di fede e di cuore tra la Madre di Gesù e il solo apostolo rimasto con lei ai piedi della croce. Ella vi vedeva l'origine verginale della Chiesa, di quella Chiesa che doveva essere affidata a Pietro. Che questa spiritualità, intensamente vissuta, da Adrienne von Speyr, vi aiuti a incarnare sempre meglio la vostra preoccupazione di vita evangelica ed ecclesiale nelle realtà del mondo contemporaneo. (Papa Giovanni Paolo II)
  • Hans Urs von Balthasar è impensabile senza Adrienne von Speyr. Credo che si possa dimostrare come in tutte le figure dei grandi teologi sia possibile una nuova evoluzione teologica solo nel rapporto tra teologia e profezia. Finché si procede solo in modo razionale, non accadrà mai nulla di nuovo. (Papa Benedetto XVI)
  • L'intera opera di Adrienne von Speyr si configura come un «mondo» talmente costituito che isolare all'interno di esso qualche aspetto parziale, può risultare pericoloso in quanto se ne perde la prospettiva globale. (Paolo Martinelli)
  • Mi verrebbe voglia di candidare [al titolo di dottore della Chiesa] donne del Novecento che non sono neppure state dichiarate sante: come Adrienne von Speyr, che ha accettato con semplicità e profonda umiltà il suo essere mistica e al tempo stesso medico, moglie, donna del suo tempo, e che ha scritto testi bellissimi oggi quasi dimenticati. (Lucetta Scaraffia)
  • Nella discesa del Sabato Santo agli inferi, cui alla von Speyr è dato di partecipare misticamente, Cristo ha incontrato e sconfitto il peccato, la realtà ostile a Dio e all'uomo cacciata dal mondo. Attraversando questa realtà senza vita né alito di spirito nell'estrema notte dell'obbedienza veramente cadaverica, Gesù porta la croce al di là del peccato, del male del mondo. Di qui la conclusione della von Speyr che raggiunge quella di Barth e di Origene: l'ultima realtà non può essere il no dell'uomo, bensì il sì di Dio. (Elio Guerriero)
  • Per la vita cristiana e spirituale di A. è certamente determinante la conoscenza del teologo Hans Urs von Balthasar, che [...] ne raccoglie [...] le intuizioni, le meditazioni e le straordinarie esperienze di immedesimazione in riferimento a molti aspetti del mistero cristiano (soprattutto a riguardo della passione di Cristo, della preghiera dei santi, della «reciproca obbedienza d'amore» delle Persone trinitarie, dell'espropriazione mistica di sé a favore della Chiesa). In generale, la speciale vocazione spirituale di A. può essere globalmente riconosciuta nel singolare orientamento dall'esperienza mistica alla penetrazione della spiritualità biblica ed ecclesiale. (Pierangelo Sequeri)
  • Pensando agli scritti di Madre Teresa [...] vedo un ponte ideale che lega le due donne. Entrambe sentono il peso del silenzio di Dio. Adrienne [...] chiede a tutti i cristiani di stare sulla soglia, di pensare che "i misteri bisogna lasciarli a Dio". Il silenzio di Dio diventa per lei presenza, pienezza, consolazione. Un silenzio che vive dentro di sé pensando all’angoscia del Getsemani, provata da Gesù. C'è una frase che fa sintesi del suo pensiero: "Se Dio si è donato: io sono invitato a donarmi". (Elio Guerriero)
  • Sarebbe far torto alla storia oltre che alla straordinaria intelligenza del professore Von Balthasar pensare a questa relazione solo dal punto di vista della "spiritualità" o credere che la "dogmatica" ne sia uscita impoverita e divenuta arbitraria. (Antonio Sicari)
Per approfondire, vedi: Il nostro compito e La vita, la missione teologica e l'opera di Adrienne von Speyr.
  • «Faire sans dire» era il motto della famiglia von Speyr, e lei non solo lo citava volentieri, ma soprattutto l'attuava e praticava anche frequentemente. Il suo sguardo era volto a Dio e nessuno ha mai ben saputo con quale coraggio davvero da scavezzacollo ella si è buttata per il suo Signore: nell'offerta di se stessa per gente nota e ignota, o semplicemente a fonds perdu per le necessità di Dio. Tutto ciò era per lei un ovvio dovere di gratitudine. Si sarebbe vergognata di vantarsene minimamente.
  • Molti fenomeni mistici nell'esistenza di Adrienne – stimmate, trasferimenti, irradiazioni luminose, lievitazioni, parlare in lingua ed altri simili – si verificavano certo, ma erano del tutto irrilevati, puramente come fenomeni concomitanti di ciò che era essenziale: di ciò che veniva invisibilmente ottenuto con la preghiera e con la severa penitenza, e che attraverso i dettati doveva essere trasmesso visibilmente alla Chiesa. Il criterio di autenticità della sua mistica si trova in senso del tutto primario, se non del tutto esclusivamente, nella qualità di ciò che lei ha realizzato e che aveva ed ha da dire.
  • Nel complesso ho ricevuto teologicamente più io da lei che lei da me, nonostante che non si possa stabilire un rapporto preciso. Poiché nei ventisette anni non mi è sorto il minimo dubbio sulla rettitudine della sua missione e sulla modesta sincerità, con cui la viveva e me la trasmetteva nonostante una precisissima osservazione come confessore e direttore spirituale della sua vita interiore, non solo ho preso le più ardite decisioni della mia vita – come quella di uscire dall'ordine – dietro la sua istruzione, ma ho anche cercato di adattare al suo il mio punto di vista sulla rivelazione cristiana.
  • Nessuno saprà mai quante prove tangibili della verità soprannaturale ho ottenuto. È come se si fosse voluto ficcare in testa a mazzate la verità. Una nuvola di testimoni, una vera pioggia di prove si è abbattuta su di me da tutte le parti. Visto dal di fuori, ciò che ho fatto o farò può apparire un azzardo. Ma dal di dentro non lo è mai stato. Tutto era sostenuto fin dall'inizio da una incredibile Grazia, e solo alcuni momenti di difficoltà sono stati duri da superare. Non ho mai avuto il minimo dubbio.
  • Pochi autori contemporanei hanno come Adrienne von Speyr la capacità di esprimere con ogni esattezza e profondità di pensiero la coscienza di stare alla presenza di un Dio infinitamente più grande.
  • Adrienne von Speyr si presentò agli occhi di Balthasar come [...] una donna che facilmente spingeva, per un suo carisma [...], ad intravvedere le linee del paradosso e del dramma nascosto nel mistero dell'incarnazione di Dio.
  • Ciò che permette alla von Speyr di accedere nel numero delle profetesse, comunque, è quello che costituisce, a nostro avviso, l'intuizione più originale del mistero del Sabato santo: «il più grande regalo teologico che Adrienne von Speyr ha ricevuto da Dio e lasciato in eredità alla Chiesa», per usare l'espressione di von Balthasar.[34] [...] Dovremmo attraversare l'intera teologia neotestamentaria, da Giovanni a Paolo, da Ebrei ad Apocalisse per riconoscere il fondamento dell'intuizione di Adrienne. Il Figlio di Dio incarnato esprime l'essenza della vita intratrinitaria di totale accoglienza della volontà del Padre.
  • La significatività dell'opera di Adrienne, a nostro avviso, consiste appunto in questa capacità ad aver posto al centro di ogni cosa il mistero della Trinità e della rivelazione di Dio non come un fatto comune per la vita della Chiesa e del credente, ma come evento fondativo e primario. La perenne menzione dell'obbedienza del Figlio, la sua vita compresa come pura missione alla volontà del Padre, la sua discesa agli inferi come momento estremo della salvezza che raggiunge il peccato «oggettivo» e lo distrugge per risalire nella gloria del Padre, sono i temi che caratterizzano questa profezia; nessuna teologia, quindi, che voglia essere produttiva ed efficace per l'oggi può pensare di relegarli in spazi marginali. Qualunque potrà essere il giudizio sulla von Speyr, queste sue intuizioni [...] rimangono come una ricchezza per l'intelligenza della fede e segnano il passaggio necessario per il recupero dell'unità inscindibile tra teologia e spiritualità.
  • Animata da un'intelligenza vivacissima e dal gusto di penetrare con un cuore pensante nel mistero di amore che circonda la sua esistenza, la dottoressa von Speyr non tenta affatto di impegnarsi in uno studio sistematico delle verità religiose, ma è come condotta dentro di esse da quell'esperire immediato, insondabile e misterioso, che è il vissuto mistico.
  • Leggere Adrienne von Speyr è come affacciarsi pieni di stupore e timore dentro un mondo di passione e di verità, al cui interno si è quasi rapiti e disarmati, certo incapaci di dar conto razionalmente del respiro e della vita che qui circola, della modalità tutta originale di trasformare e di vertebrare le parole con il calore inestinguibile della Parola.
  • Non temendo mai di arenarsi sulla complessità delle tematiche affrontate, la parola della von Speyr si incunea profonda e creativa dentro una scrittura efficace e suggestiva, tutta rivolta a scavare e riportare alla luce quell'energia di senso racchiusa nel dire di Dio.

Note

[modifica]
  1. Dal Diario (Ein Tagebuch, in Nachlassbände, voll. 8-10, 1975-1976); citato in Balthasar 1991, p. 37.
  2. a b Da Mistero della giovinezza (Geheimnis der Jugend, 1966); citato in Balthasar 1991, p. 27.
  3. Dal Diario; citato in Balthasar 1991, p. 35.
  4. Da La Passione dall'interno (Passion von innen, 1981); citato in Paola Zavatta, La teologia del Sabato santo, Città Nuova, Roma, 2006, p. 165. ISBN 88-311-3288-1
  5. Citato in Balthasar 1991, p. 59.
  6. Dal Diario; citato in Patrick Catry, Le tracce di Dio, in Aa.Vv. 1986, pp. 19-20.
  7. Da La santa messa (Die heilige Messe, 1980); citato in Balthasar 1991, p. 72.
  8. Dalle lettere; citato in Balthasar 1991, p. 61.
  9. Dal Diario; citato in Balthasar 1991, p. 42.
  10. Citato in Un membro dell'Istituto, Una breve presentazione dell'Istituto di San Giovanni, in Aa.Vv. 1986, p. 54.
  11. Da Mistero della giovinezza; citato in Balthasar 1991, p. 24.
  12. Dalle lettere; citato in Balthasar 1991, p. 62.
  13. Dalle lettere; citato in Balthasar 1991, p. 58.
  14. Citato in Balthasar 1989, p. 43.
  15. Dalle lettere; citato in Balthasar 1991, p. 56.
  16. [...] Molto tempo dopo ella ha visto Ignazio in numerose visioni e l'ha riconosciuto in quell'uomo. [nota a piè di pagina di Hans Urs von Balthasar]
  17. Citato in Antonio Sicari, La vita trinitaria e la preghiera, in Aa.Vv. 1986, p. 75.
  18. Citato in Sindoni 1996, pp. 14-15.
  19. Citato in Antonio Sicari, La vita trinitaria e la preghiera, in Aa.Vv. 1986, p. 73.
  20. a b Citato in Sindoni 1996, p. 77.
  21. Citato in Sindoni 1996, pp. 76-77.
  22. Citato in Balthasar 1989, p. 45.
  23. Citato in Balthasar 1989, pp. 46-47.
  24. Citato in Balthasar 1989, p. 47.
  25. Citato in Balthasar 1989, p. 48.
  26. Citato in Don Bosco nelle visioni della mistica Adrienne von Speyr, donboscoland.it, dicembre 2012.
  27. Citato in Hans Urs von Balthasar, Sperare per tutti, traduzione di Maria e Luigi Frattini, Jaca Book, Milano, 1989, p. 76. ISBN 88-16-30165-1
  28. (EN) Da Mozart (1756-1791), in Book of All Saints, traduzione di D. C. Schindler, Ignatius Press, San Francisco, 2008. ISBN 978-1-58617-192-6
  29. Mistica oggettiva è una raccolta di testi estratti da varie opere di Adrienne, in parte inedite in lingua italiana, in parte pubblicate in una diversa traduzione. Questo passo corrisponde a L'uomo di fronte a Dio, p. 105.
  30. Corrisponde a Il Verbo si fa carne, p. 23.
  31. Corrisponde a Il Verbo si fa carne, p. 45.
  32. Corrisponde a I discorsi polemici, p. 30.
  33. a b c Citato in Come Gesù lavora costantemente nelle nostre vite, Osservatoreromano.va, 2 ottobre 2013.
  34. Cfr. La vita, la missione teologica e l'opera di Adrienne von Speyr, p. 39.

Bibliografia

[modifica]

Voci correlate

[modifica]

Altri progetti

[modifica]

Opere

[modifica]
donne Portale Donne: accedi alle voci di Wikiquote che trattano di donne
Medaglia di Wikiquote
Medaglia di Wikiquote
Questa è una voce in vetrina, il che significa che è stata identificata come una delle migliori voci prodotte dalla comunità.
È stata riconosciuta come tale il giorno 19 maggio 2016.
Naturalmente sono ben accetti suggerimenti e modifiche che migliorino ulteriormente il lavoro svolto.

Segnalazioni · Criteri · Elenco voci in vetrina