Leggende romagnole, avventure metropolitane, suggestioni dal mondo e altre divagazioni in evoluzione pluriennale.
sabato, aprile 18, 2009
lunedì, aprile 13, 2009
Chi viene e chi resta e nel mezzo una grappa
C’era un signore che era solito bere solo grappa Nardini, la migliore per lui. Il distillato era la sua acqua, l’inseparabile compagna di ogni giorno. Ne beveva così tanta che prese a ordinarla direttamente dallo stabilimento di produzione. Quando morì, l’agente commerciale della Nardini chiamò nel comune di residenza del vecchio per sapere quale bar aveva chiuso: tale era il calo di vendite registrato.
Raccontai questa storia di Romagna da poco udita a una giovane coppia napoletana. Loro mi guardarono con lo sguardo stupito e sornione di chi si stava convincendo di aver intrapreso il viaggio giusto, nel posto giusto, nell’alloggio giusto. Giusto per portare a casa qualcosa che gli altri non si sarebbero mai portati indietro, giusto per sentirsi orgogliosi di essere stati veramente ospiti di un luogo per un giorno.
Lo sguardo stupito e sornione della giovane coppia napoletana assomigliava molto allo sguardo delle persone che salutavo in Australia. Avevano appena raccontato le loro storie: cacce a granchi giganti, sbornie di fronte al barbecue, colpi di scalpello in un cavallo a dondolo di legno. Si sentivano più orgogliosi del solito di appartenere a quella terra, sentivano di aver fatto la scelta giusta a essere rimasti a vivere lì se qualcuno da così lontano usava il suo tempo per ascoltarli.
Il racconto è il punto di incontro tra chi resta e chi va, tra lo stanziale e il nomade. Invita il primo a rimanere per approfondire e il secondo a partire per sfiorare. Ma invita anche il primo a partire per udire del nuovo e il secondo a fermarsi per provare il gusto di dare il benvenuto.
Raccontai questa storia di Romagna da poco udita a una giovane coppia napoletana. Loro mi guardarono con lo sguardo stupito e sornione di chi si stava convincendo di aver intrapreso il viaggio giusto, nel posto giusto, nell’alloggio giusto. Giusto per portare a casa qualcosa che gli altri non si sarebbero mai portati indietro, giusto per sentirsi orgogliosi di essere stati veramente ospiti di un luogo per un giorno.
Lo sguardo stupito e sornione della giovane coppia napoletana assomigliava molto allo sguardo delle persone che salutavo in Australia. Avevano appena raccontato le loro storie: cacce a granchi giganti, sbornie di fronte al barbecue, colpi di scalpello in un cavallo a dondolo di legno. Si sentivano più orgogliosi del solito di appartenere a quella terra, sentivano di aver fatto la scelta giusta a essere rimasti a vivere lì se qualcuno da così lontano usava il suo tempo per ascoltarli.
Il racconto è il punto di incontro tra chi resta e chi va, tra lo stanziale e il nomade. Invita il primo a rimanere per approfondire e il secondo a partire per sfiorare. Ma invita anche il primo a partire per udire del nuovo e il secondo a fermarsi per provare il gusto di dare il benvenuto.
domenica, aprile 12, 2009
Il giorno che decisi di costruire qualcosa
Un giorno decisi che avrei dovuto costruire qualcosa. Non necessariamente una casa o un muro, ma qualcosa, anche solo un’idea, ma che andasse al di là delle mie idee. Senza troppa originalità decisi che avrei raccontato qualcosa: senza inventare nulla, ma solo mettendo in parole scritte, con quel tocco di ordine in più che non guasta mai, storie e storielle che esistevano già. Ne trovai tante e più ne raccoglievo e più ne trovavo. Decisi allora che avrei costruito un contenitore per conservarle tutte: non necessariamente qualcosa di fisico, anche solo un mondo virtuale, in cui le parole avessero il carattere etereo di una memoria digitale. Costruito il contenitore, lo spazio vuoto che in esso c’era iniziò ad avanzare delle pretese. Volle più storie di quante già non ve ne fossero. Decisi allora che mi sarei costruito una memoria di esperienze reali e virtuali più grande: nulla di mai visto prima, giusto qualche libro che molto raccontava e qualche passeggiata vicino e lontano dove anche tanti altri andavano. Riempii il magazzino virtuale così tanto che decisi di riorganizzare le stanze, con nuovi indici e nuovi cartelli per raggiungerli. E decisi anche che era un peccato che le vecchie storie e le nuove stanze restassero lì da sole senza incontrare mai lo sguardo di nessuno. Decisi allora che avrei costruito qualcosa, nulla di materiale anche solo un calendario di date, per condividerle un po’: le avrei raccontate a chi era deciso ad ascoltarle nel luogo stesso in cui erano nate. Ne raccontavo ogni volta di diverse. Le storie diventarono anelli di congiunzione. Costruirono loro nuovi legami: persone che si legarono per un’ora di cammino e altre che si legarono per il cammino di una vita. Decisi allora di costruirmi più tempo per camminare con le une e con le altre. Occupai così tanto il tempo che non ne trovai più per ricordarmi ogni tanto quello che avevo da tempo iniziato a raccogliere. Decisi allora di costruire qualcosa di fisico per ancorare meglio la memoria, ma non sono sicuro che basti.
Ora quindi non mi resta che decidere cosa fare.
Ora quindi non mi resta che decidere cosa fare.
domenica, aprile 05, 2009
giovedì, aprile 02, 2009
Linee secondarie
Tratto da:
"Sulle linee secondarie del treno della nostalgia"
Rubrica "Colonne d'Ercole" di Qui Touring - aprile 2009
(Toni Capuozzo)
"Sulle linee secondarie del treno della nostalgia"
Rubrica "Colonne d'Ercole" di Qui Touring - aprile 2009
(Toni Capuozzo)
"Avrei potuto scrivere un libro e non lo feci. Così, molti dei luoghi attraversati mi lasciarono il ricordo di una cosa incompiuta, tanto che, come per una coazione a ripetere, tentai di fare la stessa cosa ma in auto. E forse, l'aver giocoforza trattenuto per me il racconto pieno di quel viaggio contribuisce ad alimentare una nostalgia che, quando si affaccia, è resa più forte dal fatto che quell'Italia non c'è più. Non ci sono più neppure molte di quelle linee e di quei treni, e nemmeno giornali disponibili a curiosità insensate".
mercoledì, aprile 01, 2009
Un lungo elenco di fatti che non posso più raccontare
Ho un lungo elenco di fatti da raccontare. Credo anzi di non averne mai avuti così tanti. In breve, tanto per compilare una lista e non trascurare nulla:
Ed eppure aveva ragione qualcuno che non ricordo neppure più, forse un direttore di giornale ascoltato alle prime armi o forse uno dei partigiani che intervistai nel 2004. Comunque non importa. Chiunque di loro fosse disse che se succedeva troppo, poi non c’era nulla da raccontare.
Sacrosanta verità, è vero Iddio. Ma chissà perché?
La domanda è puramente retorica, in vero. La mia idea, ce l’ho già. Gli orologi perfetti non perdono mai un colpo, non ritardano mai, sono sempre all’attimo successivo esattamente quando finisce l’attimo precedente: senza requie. Ecco, quando si deve tentare di essere degli “orologi perfetti” ci si comporta come loro. Non si perde mai un colpo, mai: si è così metodici nel costruire il futuro che si fa succedere solo ed esclusivamente quello che si vuole. Nessun imprevisto, nessuna parola sprecata. O se la si ascolta, per errore, la si cancella subito. “La riprenderò poi” ci si dice. Ma quando il poi arriva è già troppo tardi.
- Un dramma familiare sfiorato
- Due settimane di passione lavorativa
- Un’incerta campagna elettorale a cui non ho deciso se partecipare o meno
- Un nubifragio primaverile
- Un paio di vacanze che non riesco a progettare
- Un paio di contatti che ogni volta dimentico di riprendere
- Qualche decina di interrogativi personali ricorrenti e irrisolti
Ed eppure aveva ragione qualcuno che non ricordo neppure più, forse un direttore di giornale ascoltato alle prime armi o forse uno dei partigiani che intervistai nel 2004. Comunque non importa. Chiunque di loro fosse disse che se succedeva troppo, poi non c’era nulla da raccontare.
Sacrosanta verità, è vero Iddio. Ma chissà perché?
La domanda è puramente retorica, in vero. La mia idea, ce l’ho già. Gli orologi perfetti non perdono mai un colpo, non ritardano mai, sono sempre all’attimo successivo esattamente quando finisce l’attimo precedente: senza requie. Ecco, quando si deve tentare di essere degli “orologi perfetti” ci si comporta come loro. Non si perde mai un colpo, mai: si è così metodici nel costruire il futuro che si fa succedere solo ed esclusivamente quello che si vuole. Nessun imprevisto, nessuna parola sprecata. O se la si ascolta, per errore, la si cancella subito. “La riprenderò poi” ci si dice. Ma quando il poi arriva è già troppo tardi.
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