Ho chiesto a Paolo Palmacci aka Paul Shiva cantante dei No Existence, gruppo punk/no wave di Latina, cosa voleva dire registrare un supporto fisico, nel caso loro caso delle audiocassette.
Per quelli, come me, geneticamente attanagliati dal dilemma “sogno o son desto?” – ovvero parafrasando il noto drammaturgo “essere o sognare?” – dubbio in realtà atavico essendone permeato l’intero pensiero filosofico e artistico umano, passando, in epoca moderna, nel 1635 per “La vita è Sogno” di Pedro Calderan de la Barca e soprattutto per il mio filosofo preferito (educatore anche per me nonostante la mia refrattarietà all’educazione) Arthur Schopenhauer con il suo “Il Mondo come Volontà e Rappresentazione” (1819) l’atto del registrare era (ed è) ‘regesta’, ovvero comprova: un’affermazione, un’attestazione di esistenza ed, al contempo, un dare tangibilità a qualcosa di immateriale per definizione come è il suono, afferrarlo (per i capelli), tenerlo intrappolato in una “scatola” per studiarlo e tentare di capirlo (capirsi attraverso di lui) di più e, subito dopo, renderlo in qualche modo ‘ripetibile’, replicabile, come il genio della lampada qualora strofinata, farlo librare nell’aria e talvolta anche come fosse la prima volta o magari agganciando e facendo librare nell’etere anche ricordi di altri, ulteriori, momenti.
Ricordo, ad esempio, la prima volta che, da una radio libera captata a malapena quasi fosse l’Apollo 13, ascoltai “Venus in Furs” e la “intrappolai” su un tape… i brividi di allora hanno continuato spesso a scorrermi sulla pelle ad ogni successivo suo ritorno auditivo.
Detto questo, non credo si tratti di un bisogno legato agli anni ’80, credo si tratti altresì di una necessità ancestrale, un dirsi esistenti ma anche (un po’) eterni o perlomeno meno mortali – mettiamola così, perché tutto è infine destinato a perire – ed anche portare una sfida alla dittatura delle leggi della (meta)fisica.
Io ho amato (e continuo ad amarle) visceralmente le audiocassette anche se ci facevano saltare il cuore in gola quando il “mangianastri” tenendo fede al suo nome, letteralmente, se le ingurgitava, ed allora ci si ritrovava come novelli, del tutto improvvisati, chirurghi ad estrarre – per recuperarlo – piano piano il nastro dalla sua gola per poi procedere a recidere la sezione irrimediabilmente irrecuperabile – perché davvero troppo masticata – ed incollarne poi i due lembi per poterla poi riascoltare pur se leggermente mutilata…
Certo prima dell’avvento dell’informatica domestica il regesta era, dapprima, impossibile, poi – nell’era analogica – comunque piuttosto complicato (e quindi costoso) soprattutto se si desiderava qualcosa di cosiddetto “fedele” (e su questo concetto si aprirebbe una dissertazione infinita, volendo). Io avevo con me sempre il mio fido registratore walkman e talvolta il mio boombox con il quale “intrappolavo” sia le sessions di prova dei miei N.Ex. e Bathroom Flowers sia le esibizioni live. Alla faccia, quindi, di qualsiasi concetto di fedeltà. Quello che contava era (e lo è anche oggi) il documento (la conferma che quei suoni – ed io con loro – sono esistiti) ed il ricordo che questo riesce a far rivivere.
Non ho mai pensato di realizzare un vinile perchè la mia naivetè punk me lo impediva di fatto, anche solamente di immaginarlo. Dovevo invece registrare audiocassette – soprattutto infedelmente – per i bisogni e le finalità sopra dettagliate, queste si assolutamente alla portata sia della mia immaginazione che delle mie tasche.
Solo un paio di volte mi sono cimentato in qualcosa che non fosse “presa diretta” tout court: per registrare il demo dei No Existence intitolato “The Bathos” (marzo 1986) e per quello dei Bathroom Flowers (“Shootin’N’Up!” – maggio 1989).
Per “The Bathos” ho utilizzato un mixer che vederlo adesso fa ancora più impressione di quella che ne facesse allora (si allega doverosamente una foto) che in realtà era un kit (credo della mitica GBC) assemblato dal mio amico e collaboratore Renato. Un 6 piste, chiamiamolo così, ma per un demo intitolato “Goffa Discesa dal Sublime al Ridicolo” oserei dire perfetto…
Per “Shootin’N’Up!” con i Bathroom Flowers, tre anni dopo, esagerammo, ci chiudemmo, se ricordo bene, tre o quattro pomeriggi dentro lo Human Studio di Sabaudia (LT) ove c’era un Mixer TEAC 24 canali ed una macchina TEAC a 24 piste (2 pollici di nastro) insomma: per me Star Trek. Ed al termine ci consegnarono una registrazione digitale dei 4 pezzi su DAT (Digital Audio Tape) una tecnologia introdotta da poco sul mercato. Su come siano stati racimolati i denari sorvoliamo pur se i relativi reati si siano ampiamente prescritti 😉
Come ho spiegato la promozione non era certamente una delle mie principali preoccupazioni: “The Bathos” fu recensito su diverse fanzine partendo da “Plastica” e finendo su “Dopo” di Alberto Fiori Carones e “Rattlesnake Arena” mentre “Shootin’N’Up!” non fu oggetto di alcun tentativo di diffusione, quello che era importante, davvero, era il ‘regesta’. Quello che mi permette oggi di escludere che si sia trattato solo di un sogno.
Riferimenti:
Le gli articoli de Perché dovevi registrare un vinile negli anni’80? Sono qui.
I vinili purtroppo li conservo come oggetti preziosi e alcuni lo sono ma non li ascolto dovrei procurarmi l’attrezzatura per farlo⬛❤️
Eh, ti ci vuole il cosiddetto “lettore di vinili “.
😉
Mmmhh mi sta venendo voglia di averlo⬛
Interessante la musica vissuta e ascoltata in analogico ⬛
Beh, forse perché siamo nati nel secolo scorso, in ogni caso ad ognuno le proprie scelte, personalmente ascolto in casa da cd e vinile.
La cosa bella della musica è anche – o soprattutto? – vederla e “toccarla” attraverso un disco, qualsiasi esso sia: su cassetta, vinile o CD… la musica “mp3” non lascerà tracce.
Si, personalmente sono amcora da questa parte. Grazie.
Ricordo quando si parlava del DAT come del futuro.
Ah beh, non tanti anni fa… comunque dev’essere stata una bella avventura arrivare ad registrare un demo, che ne pensi?
🙂
Beh, mi pare prima del cd.
Registrare un demo immagino di sì. Non sono musicista ma come ascoltatore nel racconto ho trovato situazioni comuni.
Certo, certo. Mi fa piacere il tuo commento, sto facendo questa ricerca personale per riportare un senso a quelle situazioni del secolo passato.
Thurston Moore scrisse un libro sui mixtape, in Italia lo pubblicò ISBN.
Mi pare d’averlo visto, prendo nota.
Ti suggerisco Sonic Life sempre di T. Moore pubblicato da poco in italiano. Il chitarrista dei Sonic Youth racconta la sua vita e tutta la scena indie. Bello.
Grazie.
Comprai la mia prima audio cassetta una cinquantina di anni fa, insieme a disco vinilico e cd è l’unico modo di “toccare” la musica lontano da un concerto.
Toccare in questo caso ha un significato notevole, un qualcosa di rappresentato che potevi ascoltare più e più volte, pensa all’avventura di un gruppo che riusciva a registrare un demo…
vero
Tu hai mai suonato?