AV - Storia Dei Magazine Di Fantascienza 1 (1926-1935)
AV - Storia Dei Magazine Di Fantascienza 1 (1926-1935)
AV - Storia Dei Magazine Di Fantascienza 1 (1926-1935)
INDICE
Introduzione
MICHAEL ASHLEY: Dalla bomba al boom
1946 (Astounding):
THEODORE STURGEON: Monumento
1947 (Fantasy):
ARTHUR C. CLARKE: I Fuochi dell'Abisso
1948 (Startling Stories):
HENRY KUTTNER: Adesso non guardi
1949 (Thrilling Wonder):
RAY BRADBURY: Caleidoscopio
1950 (Galaxy):
DAMON KNIGHT: Come servire l'uomo
1951 (Super Science Stories):
POUL ANDERSON: Grido alle stelle
1952 (Amazing Stories):
ROSS ROCKLYNNE: Volare più in alto
1953 (Amazing Stories):
RICHARD MATHESON: L'ultimo giorno
1954 (Galaxy):
ROBERT SHECKLEY: Giù le mani
1955 (Science Fantasy):
E.C. TUBB: La scommessa
APPENDICI
Bibliografie 1946-1955
Elenco delle riviste 1946-1955
Elenco dei curatori 1946-1955
Guida ai disegnatori 1946-1955
VIRGIL FINLAY
(Fantastic Story Quarterly, settembre 1952)
Copyrights
Introduzione
A Walter Gillings
per i suoi servigi
in favore della fantascienza inglese.
Se avete letto il primo volume della serie, è superfluo che vi esponga le
mie intenzioni, ma spero che continuiate egualmente a leggere, in modo da
apprendere qualcosa sul conto di questo secondo. E se non avete visto il
libro precedente, permettetemi di spiegarmi.
Innanzi tutto, per «riviste di fantascienza» io non intendo i fumetti. È un
errore molto frequente, ed ha contribuito a portare le vere riviste di science
fiction ad un passo dalla fine. Queste ultime, che apparvero per la prima
volta nel 1926, pubblicavano racconti e romanzi, e non disegni grotteschi
con personaggi mirabolanti che urlavano frasi in gergo. Dieci racconti, che
rispecchiano la narrativa specializzata del decennio 1946-1955, sono
inclusi in questo volume. Vanno da Memorial Theodore Sturgeon, scritto
in conseguenza diretta degli orrori atomici di Hiroshima, al bizzarro e
inquietante The Last Day di Richard Matheson. Sono rappresentati altri
otto tra gli autori più grandi, inclusi Arthur Clarke, Robert Sheckley, Poul
Anderson, Henry Kuttner e Damon Knight.
Affinchè i racconti possano venire inquadrati nella giusta prospettiva, e
per dare un'idea più chiara delle riviste di fantascienza, tanto disprezzate e
spesso trascurate, ho incluso un'ampia storia della loro esistenza durante il
decennio. È il seguito del volume precedente, anche se qui la storia
differisce sotto un certo punto di vista. In questo caso, ho inserito nel mio
saggio in appendice preziose collaborazioni di quattro delle personalità più
importanti che hanno avuto parte nell'evoluzione della science fiction
britannica: Kenneth Bulmer, Gordon Lansborough, Philip Harbottle ed il
compianto John Carnell. Ognuno di loro ha contribuito con un breve
saggio sull'aspetto della produzione britannica cui è stato più strettamente
associato, ed in questo modo ha fornito un'idea chiara di ciò che avveniva
dietro le quinte. I quattro saggi appaiono stampati qui per la prima volta.
È incluso, inoltre, materiale nuovo sui retroscena del famigerato
«Mistero Shaver», mai pubblicato prima d'ora. Se pensate che Erik von
Däniken abbia l'ultima parola in fatto di alieni che visitano la Terra,
aspettate di aver letto le teorie di Shaver. Recentemente, sono stato in
contatto con il signor Shaver, il quale ha controllato e confermato tutto ciò
che ho scritto di lui, poche settimane prima della sua morte, avvenuta nel
novembre 1975.
Troverete inoltre notizie sulla nascita della scientologia, e sulle opere del
suo Sommo Sacerdote, L. Ron Hubbard.
I capricci e le svolte dell'evoluzione della science fiction dopo la
seconda guerra mondiale sono imprevedibili e affascinanti come un libro
giallo. Il fatto che tutta la fantascienza attuale debba la sua esistenza allo
sviluppo delle riviste e ai loro collaboratori è una prova della loro
importanza. Con questo libro, mi auguro di tramandarne il ricordo,
affinché non venga dimenticata la parte che hanno avuto nella storia della
letteratura del ventesimo secolo.
MICHAEL ASHLEY
Ottobre 1975
RINGRAZIAMENTI
Michael Ashley
Dalla bomba al boom
1. L'Era Nucleare
«Ci sono buone ragioni per credere che, esclusi i pezzi grossi del
Progetto Manhattan e delle forze armate, gli unici al mondo che
compresero quanto era avvenuto il 6 agosto 1945 furono gli
aficionados della fantascienza... i fans, i direttori e gli autori.
Hiroshima mi fece un effetto tremendo. Conoscevo i fenomeni
nucleari: nel 1940 avevo venduto un racconto che parlava di un
metodo per separare l'isotopo 235 dall'uranio puro. Anni prima del
Progetto, e prima della guerra, noi avevano usato i congegni
dell'energia atomica, e scrivevamo vicende sulle implicazioni
filosofiche e sociologiche di questa nuova e terribile realtà della
vita.» (2)
Nella sua narrativa, Shaver affermava che, molti secoli fa, la Terra era
abitata da parecchie razze, incluse due di superesseri, i Titani e gli Atlan.
Erano immortali semidivini, ed avevano civiltà grandiose. Dopo un certo
periodo, si scoprì che il Sole emetteva radiazioni dannose. I superesseri
scavarono enormi, profonde caverne per salvarsi, e crearono sottoterra la
loro città, piene di poderosi macchinari. Ma le radiazioni continuarono a
far sentire i loro effetti: i superesseri invecchiavano e morivano.
Abbandonando la loro grande civiltà, lasciarono la Terra, e la razza
inferiore degli umani, che rimase, riuscì a penetrare nella rete delle
caverne, e scoprì i macchinari. Gli umani pasticciarono con quell'energia
sconosciuta, scatenando raggi pericolosi che trasformarono alcuni di loro
in malvagi degenerati. Gli esseri di questa razza vennero chiamati dero
(detrimental robot) (6) da Shaver, perché essi utilizzarono le macchine per
emettere altri raggi dannosi ed in tal modo influenzarono i pensieri di
coloro che vivevano in superficie. C'era anche la razza dei «tero», che
avevano buone intenzioni, ma furono i «dero» a suscitare maggiore
sensazione tra il pubblico della fantascienza.
Shaver sosteneva che, nelle viscere della Terra, nelle caverne, i «dero»
continuavano a operare, e che i raggi erano la causa di tutte le cattive
intenzioni del mondo. Vengono usati raggi diversi, soprattutto il «teleaug»
(telepathic augmentor), che permette di stabilire contatti tra le grotte e la
superficie (il mezzo di contatto di Shaver). I «dero» hanno dato origine
alle leggende del Piccolo Popolo, dei dèmoni e dei diavoli; sono loro che
causano tutti gli incidenti, i disastri e le catastrofi inesplicabili. Inoltre,
Shaver diceva che i Titani hanno tenuto d'occhio la Terra e ritornano di
tanto in tanto, rapiscono varia gente e compiono scorrerie nelle caverne per
procurarsi l'equipaggiamento. Questo spiegherebbe le tante sparizioni
misteriose, e anche gli avvistamenti degli strani «oggetti volanti non
identificati». Le teorie di Shaver, quindi, fornivano le ragioni per quasi
tutti gli eventi «inspiegabili.»
Nei suoi racconti, Shaver narrava molti avvenimenti del passato. Dopo I
Remember Lemuria! fu la volta di Thought Records of Lemuria (giugno
1945). Le «registrazioni del pensiero» del titolo sono strisce metalliche su
cui vengono appunto registrati i pensieri, e perciò l'ascoltatore può
riviverli. Tali registrazioni venivano trasmesse a Shaver dalle caverne per
mezzo del «teleaug.»
Erano vicende gradevoli, benché scritte in modo molto semplice, e se
fossero state considerate semplicemente come opere di narrativa, forse gli
eventi non sarebbero precipitati. Ma la confraternita fantascientifica andò
su tutte le furie perché i critici potevano ritenere il fenomeno Shaver come
la migliore science fiction e quindi considerare tutto il genere nella stessa
luce. Inoltre, erano incolleriti perché i racconti venivano sfacciatamente
presentati come realtà, con il risultato che gli estranei vedevano il mondo
fantascientifico come una gabbia di matti. Prima della fine del 1945
scoppiò una «guerra» tra Palmer e il fandom della science fiction.
Shaver voleva che i suoi racconti venissero presentati come realtà,
oppure era stato un trucco di Palmer per aumentare le vendite?
Oggi Shaver è incrollabile come lo era allora, e sostiene che la base di
tutti i racconti è vera. Palmer, all'inizio, non sapeva cosa credere, ma la
susseguente fiumana di migliaia di lettere da parte dei lettori che davano
ragione a Shaver convinse Palmer che doveva esserci qualche granello di
verità. Verso la fine del 1946, Palmer ammise che doveva esserci una base
vera; andò a trovare Shaver e udì anche lui le strane voci. Ma come si può
riconciliare tutto questo con il fatto che, nel 1955, Palmer scriveva
esasperato: «State a sentire! Di solito ero io a creare la trama dei racconti
di Shaver. Gran parte del suo "mistero" è uscito dalla mia mente»! (7)
In realtà, si può istituire un parallelo tra il Mistero Shaver ed il fittizio
Mito di Cthulhu di H.P. Lovecraft. Lovecraft racconta che la Terra era stata
abitata un tempo dagli Antichi, una specie sovrannaturale e ostile,
sopraffatta e bandita da una razza benevola, gli Dei Primigeni. I mortali
ignoranti, che talvolta violano i sigilli, aprono la via al ritorno degli
Antichi. È possibile che tutto questo avesse influenzato Shaver? È
possibile che Shaver non conoscesse i racconti di Lovecraft, anche se
all'inizio degli Anni Quaranta erano stati quasi tutti pubblicati in volume, e
Shaver ammetteva di essere un lettore insaziabile. Senza dubbio, Palmer li
aveva letti quando erano apparsi per la prima volta su Weird Tales, e può
darsi che ne avesse inserito i temi nei testi inviatigli da Shaver. Tuttavia
Shaver nega che vi siano mai state macchinazioni di questo genere:
sostiene che Palmer non fece altro che aggiungere l'elemento sesso nella
sua narrativa (7 bis).
È una faccenda affascinante. Soprattutto oggi, alla luce delle ulteriori
ricerche di autori come Erich von Daniken e Peter Kolosimo. Per esempio,
nel libro di von Daniken, The Gold of the Gods (1972) l'autore discute a
lungo un'enorme serie di caverne sotterranee nel Sud America,
evidentemente costruite da una razza evolutasi molte centinaia di anni or
sono. È possibile che siano le caverne lasciate dai Titani? La scarsità di
spazio impedisce di parlare a lungo del Mistero Shaver, anche se ci
ritorneremo più avanti. Mi auguro di aver aguzzato la vostra curiosità,
inducendovi a cercare gli scritti di Shaver, e a decidere da soli quale è la
verità.
L'incidente Shaver aveva disgustato i fans, ma sotto altri aspetti aiutò
molto la fantascienza. La tiratura di Amazing aumentò e ben presto
Fantastic Adventures tornò alla cadenza mensile. Le riviste potevano
pagare compensi più alti, e questo permise all'editore di fare altri
esperimenti negli anni successivi. Shaver scrisse vari racconti, oltre al suo
Mistero. Parecchie fantasie degne di nota apparvero in Fantastic
Adventures, mentre vicende storiche furono pubblicate da Mammoth
Adventure.
Per fortuna, Palmer non dedicò interamente Amazing a Shaver, sebbene
nel giugno 1947 uscisse un'edizione speciale «tutta Shaver», con quattro
lunghi racconti, più un riepilogo completo del Mistero. Palmer continuò a
presentare racconti di autori famosi. Aiutò anche scrittori nuovi,
soprattutto Rog Phillips, pseudonimo con cui è più noto Roger Phillips
Graham (1909-65). Dopo un anno o due dalla pubblicazione del suo primo
racconto, Let Freedom Ring (Amazing, dicembre 1945), appariva sotto una
ventina di pseudonimi con dozzine di racconti. Inoltre, era un sostenitore
del Mistero Shaver; e scoprì un libro bizzarro, Oahpse, che sarebbe stato
scritto nel 1882 da esseri intelligenti e millenari.
Poi c'era Chester S. Geier, che apparve per la prima volta su Amazing nel
dicembre 1942 con The Sphere of Sleep, a soli ventun anni. Geier era,
sembra, sordo come una campana, ma questo non tornava a discapito dei
suoi scritti. Era abile e levigato, ma sprecava le sue doti producendo
robaccia, anche se i suoi racconti erano solitamente sul livello medio di
Amazing. Geier s'invischiò nel Mistero. Organizzò lo Shaver Mystery
Club, e divenne direttore di The Shaver Mystery Magazine, che pubblicò a
puntate Mandark, ovviamente di Shaver, una vicenda ambientata al tempo
di Cristo, che persino Palmer giudicò troppo tabù per la pubblicazione.
Geier collaborò con Shaver in alcuni racconti, poiché era più svelto a
mettere insieme il manoscritto definitivo. Completò inoltre un racconto del
fratello maggiore di Shaver, Taylor Victor Shaver, che era morto
d'influenza prima di ultimarlo: e il racconto The Strange Disappearance of
Guy Sylvester, venne finalmente pubblicato su Amazing nel marzo 1949.
Gli altri due nuovi autori alla corte di Palmer erano i fratelli Livingston,
Berkeley e Herb. Herb, minore di otto anni, scrisse quasi tutta la sua
narrativa con lo pseudonimo di H.B. Hickey, e suoi racconti appaiono
ancora di tanto in tanto, sebbene Berkley abbia abbandonato da tempo il
campo fantascientifico.
I veterani apparvero su Amazing con minore regolarità durante questo
periodo, ma una memorabile pietra miliare fu la pubblicazione, nel
settembre 1947, della versione completa di The Star Kings di Edmund
Hamilton. Il romanzo, di 75.000 parole, presentava il personaggio di John
Gordon, che veniva trasferito duecentomila anni nel futuro, scambiandosi
di corpo con Zarth Arn, principe dell'Impero Medio-Galattico.
Il Mistero Shaver raggiunse il culmine durante il 1947. Poi la direzione
generale della Ziff-Davis cominciò a dare ascolto alle proteste che lo
definivano antiscientifico. Fino a quel momento, aveva lasciato fare a
Palmer ciò che voleva, ma dopo quelle lamentele si fece più attento e
chiese a Palmer di mettere la sordina. Il Mistero venne abbandonato a
partire dal numero del marzo 1948, ma era tutt'altro che finito, e altri
racconti di Shaver continuarono ad apparire. Quel periodo segnò l'inizio
della separazione tra Palmer ed Amazing Stories.
4. Incomincia il boom
Gli Stati Uniti tornarono alla normalità prima della Gran Bretagna.
Contemporaneamente alla transitoria flessione britannica, cominciarono ad
apparire le prime onde nel mare della fantascienza americana. Già
Amazing era tornata alla cadenza mensile, e alla fine del 1946 tutte le altre
pubblicazioni uscivano a mesi alterni, ad eccezione di Planet Stories, che
era sempre stata trimestrale.
Poi, nel febbraio 1947, uscì nelle edicole una rivista nuova di zecca, il
primo nuovo periodico americano da quando Uncanny Stories era apparsa
e scomparsa con un solo numero nell'aprile 1941. Si chiamava Fantasy
Reader, anche se il suo nome è così legato a quello della casa editrice, la
Avon Books della West 57th Street, New York, che viene solitamente
chiamata Avon Fantasy Reader. Si può sostenere che era soprattutto una
regolare antologia tascabile, come la presentava il direttore, Donald
Wollheim, nella sua introduzione al numero d'esordio, ma durante la sua
esistenza venne accettata come rivista. Era insolita, poiché aveva formato
digest, era stampata con una copertina patinata, e costava trentacinque
centesimi. Fino a quel momento le riviste di fantascienza, più care,
Astounding e Amazing, costavano soltanto venticinque centesimi, e altre ne
costavano soltanto quindici! Il fatto che Fantasy Reader vendesse bene
dimostrava che c'era un pubblico affamato.
Donald Wollheim era il direttore ideale per un simile progetto. Aveva già
fatto molto per rendere popolare il genere, nella sua veste di direttore della
prima antologia tascabile di fantascienza The Pocket Book of Science
Fiction era stato pubblicato nel maggio 1943 dalla Pocket Books Inc. di
New York, e aveva avuto un successo enorme. Includeva dieci racconti,
che andavano da By the Waters of Babylon di Stephen Vincent Benet, tratto
dalla Saturday Evening Post, a A Martian Odyssey di Stanley G.
Weinbaum, tratto da Wonder Stories. Le riviste specializzate risultavano
ben rappresentate: metà dei racconti vi erano apparsi per la prima volta, e
tre di questi venivano da Astounding.
Nel 1946, Wollheim lavorava per le riviste pulp della Ace di A.A. Wyn;
ma scrisse alla Avon Books per chiedere se interessava aggiungere una
testa di fantasy alla serie delle riviste di gialli e western. Il direttore,
Herbert Williams, si entusiasmò, e impegnò Wollheim con un contratto a
compilare Fantasy Reader. Non c'era una periodicità prestabilita; appena
un numero fosse andato in pareggio, sarebbe stato pubblicato quello
successivo. Il successo di Fantasy Reader fu tale che Wollheim accettò
l'invito di passare alla Avon. Poco dopo, Williams si dimise, e Wollheim
divenne direttore dell'intera gamma della Avon.
Per Fantasy Reader dimostrò la stessa acutezza di scelta che aveva
avuto con le sue antologie. Il primo numero si apriva con un classico
intrigo spaziale di Murray Leinster, The Power Planet, tratto dall'Amazing
del giugno 1931. Erano presenti anche William Hope Hodgson, A. Merritt,
H.G. Wells, August Derleth, Clark Ashton Smith, H. Russell Wakefield e
Lord Dunsany: una parata di stelle, con testi che spaziavano dalla science
fiction ortodossa agli spettri. Alla fine del primo anno, dopo quattro
pubblicazioni, Wollheim era riuscito a ristampare una superba panoramica
di tutti i nomi più grandi e dei classici riconosciuti nei campi della
fantascienza, del fantastico e dell'orrore, e Fantasy Reader stava già
diventando una rivista ricercatissima.
Nell'estate 1947 ebbe due rivali, il cui valore concorrenziale era minimo:
ma comportavano una differenza. In precedenza le pubblicazioni
specializzate provenivano tutte da New York o da Chicago, queste invece
giungevano dalla Costa Occidentale.
The Vortex era una rivista d'altissima classe, d'aspetto molto
professionale. Era diretta congiuntamente, da San Francisco, da due fans,
Gordon M. Kull e George R. Cowie, che pubblicavano e distribuivano
gratis questa specialità! Un volantino incluso chiedeva al lettore, se era
disposto a farlo, un'offerta di venti centesimi. Ottanta pagine in formato
digest contenevano cinque racconti, più una poesia e vari articoli. La
narrativa era divisa tra fantasy e science fiction anche se nessuno dei nomi
era famoso. (Forse erano pseudonimi dei direttori). Ognuna delle pagine
patinate portava un vortice colorato, simbolo di The Vortex: il costo del
progetto doveva essere suicida. Per questa sola ragione, non fu una
sorpresa se The Vortex non riapparve più. Grande è la devozione maniaca
dei fans...
Circa seicento chilometri più a sud di San Francisco sta Los Angeles,
patria del fan William L. Crawford, il cui nome forse ricorderete dal primo
volume, a proposito delle sue riviste semiprofessionali, Marvel Tales e
Unusual Stories. Adesso ricompariva con Fantasy Book, una rivista in
formato grande, di 40 pagine, in vendita a venticinque centesimi.
Crawford, nato nel settembre 1911, era stato attivissimo nel fandom
fantascientifico durante gli Anni Trenta, ma era scomparso dal settore con
la guerra. Riapparve nel 1945 pubblicando un volumetto, The Garden of
Fear, che raccoglieva cinque racconti tratti da Marvel Tales, incluso quello
che dava il titolo alla selezione, scritto da Robert E. Howard, e Celephais
di H.P. Lovecraft. Il volumetto si vendette bene e, dopo aver trovato un
distributore, Crawford decise di approfittare della situazione e di
pubblicare una rivista. Purtroppo, prima che fosse pronto il primo numero
di Fantasy Book, il distributore chiuse, e Crawford restò a secco. Di
conseguenza, con una tiratura di sole 1000 copie, pochissime arrivarono
nelle edicole fuori dalla California, e quasi tutte furono vendute per
abbonamento o attraverso librai specializzati.
Crawford riuscì a utilizzare i racconti acquistati per Marvel Tales. Per
esempio, il primo numero si apriva con People of the Crater, di Andrew
North. North era lo pseudonimo della scrittrice specializzata più venduta,
Andre Norton, che aveva affidato il manoscritto originale a Crawford
all'inizio degli Anni Trenta, insieme al seguito, Garan of Yu-Lac. Il
manoscritto andò perso, ma fu riscritto. People of the Crater venne
finalmente pubblicato sul primo Fantasy Book. Garan of Yu-Lac doveva
attendere fino al 1969 per venire stampato, e per giunta incompleto! Sono i
pericoli inevitabili per chi scrive fantascienza.
Sarebbe un'esagerazione affermare che Fantasy Book era una bella
rivista. Aveva un aspetto goffo ed una presentazione piuttosto trascurata,
ma in quel primo numero c'erano Robert Bloch e A.E. van Vogt con il suo
impronunciabile The Cataaaaa; più altri quattro racconti. Le illustrazioni
interne erano poche ma ben eseguite, e includevano disegni di Charles
McNutt, che in seguito divenne più noto come lo scrittore Charles
Beaumont.
Con il secondo numero, sempre in formato grande, la presentazione di
Fantasy Book declinò, anche se la narrativa era gradevole, in particolare il
classico di A.E. van Vogt, The Ship of Darkness, che cominciava con un
viaggio nel tempo all'anno 3.000.000 e la scoperta di un misteriosa nave
oscura. Ai collezionisti interesserà sapere che anche questo numero ebbe
due copertine diverse, a seconda della stampa. Un'edizione speciale, su
carta da libri, con una copertina piuttosto spaventosa di Lora Crozetti,
costava trentacinque centesimi, ed oggi è più facilmente reperibile.
Un'edizione da edicola, meno diffusa, al prezzo di soli venticinque
centesimi, aveva una copertina assai migliore di Roy Hunt. Ma era
stampata su carta pulp di pessima qualità ed oggi è piuttosto rara.
Deciso a pubblicare regolarmente, Crawford rivelò le sue ambizioni
incominciando un romanzo a puntate sul secondo Fantasy Book: The
Machine-God Laughs dello scrittore britannico Festus Pragnell. La trama,
che parlava di un super-robot e di agenti cinesi, bastava appena a tener
desto l'interesse dei lettori durante le sue tre puntate, apparse nel corso di
dieci mesi.
Al terzo numero, Fantasy Book uscì in formato digest, ma la copertina e
le illustrazioni interne, quasi tutte di Lora Crozetti, erano orrende. Era
ancora pubblicata su carta pulp, e niente migliorava il suo aspetto
squallido. Tuttavia, con il quarto numero Crawford abbandonò
saggiamente le illustrazioni nell'interno e ristampò in copertina un
piacevole bozzetto di Neil Austin, che in origine aveva accompagnato The
People of the Crater nel primo numero. La presentazione migliorò
costantemente, raggiungendo il culmine con il sesto numero, nel gennaio
1950. In formato digest più piccolo, con una copertina di Jack Gaughan,
che faceva così il suo esordio professionale, comprendeva 112 pagine e
pubblicava un romanzo breve, Scanners Live in Vain, che segnò l'inizio
della sorprendente carriera di Cordwainer Smith (8). È una vicenda cruda,
che narra la tetra esistenza dei Controllori la cui vita è dedicata alla
salvezza dell'umanità. Il racconto lasciò un'impressione indelebile nelle
menti dei lettori, tanto più che l'enigmatico Cordwainer Smith non
ricomparve sulle riviste fino al 1955. Smith era lo pseudonimo del
professore americano di politica asiatica, e consigliere militare, Paul M.
Linebarger (1913-66). Aveva una laurea e una libera docenza, parlava
cinese, tedesco, francese e spagnolo e leggeva russo, portoghese e
olandese. Il fatto che una personalità del genere potesse apparire in una
rivista di fantascienza a tiratura limitata con un racconto poi entrato nella
leggenda sottolinea quanto sia ricco di sorprese e storie complesse il
mondo della fantascienza.
Vi fu un'altra pubblicazione nuova nel gennaio 1948: The Arkham
Sampler, edita dalla Arkham House, del Wisconsin. L'Arkham House era
stata fondata nel 1939 da August Derleth e Donald Wandrei, per perpetuare
le opere di H.P. Lovecraft. Nel 1947 la casa editrice stata andando bene, e
Sampler, diretta da Derleth, uscì come rivista trimestrale per dare le notizie
sull'attività editoriale e per stampare e ristampare narrativa del genere
bizzarro e scientifico. Fu sulle sue pagine che vide la luce il classico
fantastico di Lovecraft, The Dream-Quest of Unknown Kadath. The
Arkham Sampler oggi è ricordata perché pubblicò preziose recensioni
librarie e commenti editoriali, con articoli di Lovecraft, Moskowitz, Bloch
e molti altri. Sul versante della narrativa si trovano, tra gli altri, van Vogt,
John Beynon Harris e Ray Bradbury. Dopo otto numeri trimestrali, le
vendite erano ancora insufficienti, perciò Derleth chiuse la rivista, che oggi
ha raggiunto prezzi altissimi.
Poiché Fantasy Reader e Arkham Sampler includevano sostanzialmente
ristampe, e The Vortex e Fantasy Book avevano una tiratura limitata, non si
può attribuire loro un'importanza fondamentale, quando si esamina il
secondo boom delle riviste fantascientifiche. La loro esistenza dimostra
che c'era un mercato, ma non hanno un'importanza estrema. Le vere
potenze erano i giganti di Street & Smith, Ziff-Davis, Standard e Popular,
e ogni movimento in loro favore indicava la rinascita delle pubblicazioni
di fantascienza.
La Ziff-Davis aveva cominciato a dimostrarlo quando il caso Shaver
aveva aiutato prima Amazing e poi Fantastic Adventures a riprendere la
cadenza mensile. Non solo: ma la direzione ripeté il trucco usato durante la
guerra, rilegando insieme tre numeri mensili consecutivi e vendendoli
come trimestrali, a partire dall'inverno 1947-8. La cosa continuò fino al
1951.
Ma fu alla Popular che si vide il primo segno dell'inizio del boom.
Nell'anteguerra, la Popular aveva pubblicato una covata di testate
fantascientifiche, che furono tutte sospese a causa della scarsità di carta, ad
eccezione di Famous Fantastic Mysteries (FFM). Ora, abolite le
restrizioni, fu dato il bacio della vita alla gemella di FFM, Fantastic
Novels. Il che sottolineava la popolarità di FFM, poiché durante la guerra
quest'ultima aveva più o meno fatto la parte di Novels ristampando
romanzi interi. La rinascita di Fantastic Novels sembrerebbe quindi
superflua: tuttavia fu accolta a braccia aperte. Ancora una volta presentava
la tendenza ai romanzi scientifici dello stile Argosy/All-Story, mentre FFM
continuava a presentare ristampe tratte da testi rilegati.
Il primo numero di Fantastic Novels della rinascita, con Mary
Gnaedinger di nuovo al timone, apparve nel marzo 1948, e si apriva con
The Ship of Ishtar di A. Merritt (9), che era stato pubblicato per la prima
volta a puntate su Argosy nel 1924, e nel 1938 era stato indicato da un
sondaggio tra i lettori di Argosy come il racconto più popolare mai
pubblicato dalla rivista. Ma l'edizione rilegata del 1926 aveva venduto
pochissimo. Quindi per la nuova generazione postbellica dei lettori era un
classico perduto, che meritava la riesumazione. Naturalmente, era
abbastanza facile, per Fantastic Novels, avere un buon successo. Far
rinascere una rivista con una politica già nota ai lettori non era difficile e
rischioso come il lancio di una novità. I lettori che seguivano FFM
probabilmente erano disposti a comprare la sua gemella, e con questa
certezza la Popular assegnò a Fantastic Novels una cadenza bimestrale,
alternandola a FFM. Ancora una volta, A. Merritt rappresentava le
fondamenta su cui costruire. Tuttavia, si aveva l'impressione che la
«vendibilità» di Merritt poteva essere spinta troppo in là, specialmente
quando nel dicembre 1949 la Popular lanciò A. Merritt's Fantasy
Magazine, aprendo con Creep, Shadow! l'ultimo romanzo pubblicato nel
1934. Merritt's Fantasy durò soltanto cinque numeri, ma non fu
un'indigestione di questo autore a causarne la fine. C'erano altre ragioni,
anche se ne riparlerò più avanti.
Quando Fantastic Novels si fu rimessa in carreggiata, la Popular pensò
ad un'altra delle sue testate sospese, e decise di riesumare Super Science
Stories. In origine, era stata la creatura di Frederik Pohl, quando nel 1939
si era rivolto a Rogers Terrill della Popular cercando d'interessarlo ad una
rivista fantascientifica. Super Science e la sua compagna Astonishing
Stories avevano avuto molto successo, ed erano state chiuse solo in seguito
alle restrizioni sulla carta e alla partenza di Pohl per la guerra. Pohl non era
tornato alla Popular. Dopo la guerra si mise a fare, con discreto successo,
l'agente letterario. L'editore associato della Popular, Alden H. Norton, si
rivolse invece a Ejler Jakobssen, l'uomo che aveva diretto gli ultimi numeri
di Super Science Stories. Jakobssen era un finlandese nato nel dicembre
1911 ed emigrato negli Stati Uniti nel 1926. Durante gli Anni Trenta s'era
dato ai pulps e nel 1943 era entrato alla Popular. Nel 1948 era capo di un
dipartimento che includeva anche FFM. Nell'estate 1948 era in vacanza.
Ecco il suo racconto: «Ero a otto chilometri dal telefono più vicino, e
facevo il morto sul lago, in una giornata insopportabilmente afosa, quando
un ragazzo in bicicletta comparve sulla spiaggia e gridò: "Chiami il suo
ufficio". Lo seguii per otto chilometri sino ad una fattoria, chiamai, e Al
Norton mi disse che Super Science Stories era stata resuscitata e aggiunta
al mio dipartimento».
La rivista riapparve nel gennaio 1949, presentava in apertura il romanzo
breve The Black Sun Rises di Henry Kuttner. La vicenda era stata offerta a
Super Science Stories nei suoi primi tempi, ma quando la rivista aveva
chiuso, era stata stampata nell'edizione canadese della rivista, uscita
dall'agosto 1942. L'edizione aveva continuato ad apparire bimestralmente
per tutta la durata della guerra, per ventun numeri, e aveva chiuso nel
dicembre 1945. Quando nacque la nuova Super Science, inizialmente
venne stampata anch'essa in Canada.
I collezionisti tendono a trascurare Super Science Stories. Eppure per un
certo periodo fu una rivista efficiente, che ospitava una quantità di vicende
interessanti e godibili scritte dai maggiori autori. Ray Bradbury veniva
pubblicato regolarmente, con racconti che includono il classico I, Mars, in
cui si descrive la situazione di un uomo solo sul Pianeta Rosso, e
Changeling, in cui un uomo fa fare parecchie copie androidi di se stesso
per soddisfare le sue amanti. Arthur C. Clarke apparve sulle sue pagine con
l'enigma intricatissimo The Wall of Darkness. Poul Anderson, che si stava
facendo rapidamente un nome, fornì parecchi racconti, incluso Earthman,
Beware! che è compreso nel presente volume. Inoltre, fu la prima rivista
che pubblicò un racconto di Chad Oliver, The Land of Lost Content,
apparso nel novembre 1950. Era anche un grosso mercato per il famoso
scrittore di gialli John D. MacDonald, che pubblicò diciannove racconti,
con il suo vero nome e due pseudonimi, nei quindici numeri della rivista.
Super Science Stories allettava gli appassionati includendo una rubrica,
Fandom's Corner, curata dal noto fan James V. Taurasi, recensendo
pubblicazioni dilettantistiche e fornendo notizie delle loro attività, mentre
Frederik Pohl collaborava con la rubrica di recensioni librarie The Science
Fictioneer. Per molti numeri, Ejler Jakobssen fu assistito da Damon
Knight. Jakobssen sceglieva e acquistava i racconti, mentre Knight
preparava i vari numeri. I due fecero esperimenti e incoraggiarono gli
scrittori a tentare nuove vie. Quasi trascurata, fu proprio Super Science
Stories a costituire il necessario anello di congiunzione tra Astounding e le
nuove riviste che stavano per comparire. Era l'utile corso di ripasso in cui
gli autori avevano la possibilità di ripensare il loro stile, preparandosi agli
eventi futuri.
La vicinanza con gli Stati Uniti dovrebbe indicare che in Canada
esisteva un buon pubblico per la fantascienza. E invece non era così. Senza
dubbio gli scrittori canadesi sono pochi, ed una rivista originale indigena è
una rarità. C'erano edizioni canadesi delle pubblicazioni americane, come
Super Science Stories appunto. Questa, e le versioni di Science Fiction,
Weird Tales e Uncanny Tales, consisteva solitamente di ristampe, più
qualche nuovo racconto di autori americani. Quindi fu una vera stranezza
quando, nel marzo 1949, apparve una rivista canadese completamente
originale... per di più in lingua francese, per la popolazione francofona.
Les Adventures Futuristes veniva da Montreal nel Quebec, dove circa
l'ottanta per cento della popolazione parla francese. È sorprendente che
tale pubblicazione non fosse apparsa prima, e ancora più sorprendente che,
quando finalmente arrivò, fosse quindicinale. Les Adventures Futuristes
presentava soprattutto storie incentrate su due supereroi, con stranezze
varie come un uomo sferico e piante parlanti. Dopo il sesto numero
divenne mensile, e poi sparì bruscamente dopo il decimo, nel settembre
1949. Oggi la rivista è molto rara, e negli annali fantascientifici è ricordata
come un'affascinante novità.
Dopo un anno o due un'altra rivista tutta canadese si affacciò sulla scena.
Brief Fantastic Tales era, più o meno, la rivista più piccola del settore,
poiché consisteva di 64 pagine in formato 13 X 9 e conteneva solo quattro
racconti. Era edita dalla Studio Publications di Toronto, Ontario, e costava
solo dieci centesimi. Non ricomparve mai più.
Nel 1949 accadde qualcosa che precorreva il futuro, se qualcuno avesse
avuto la preveggenza di accorgersene. I supereroi erano diventati parte
integrante della science fiction da più di due decenni. Negli Anni Trenta
molte pubblicazioni nuove erano state costruite intorno ad un personaggio
del genere: di solito c'era il romanzo d'apertura dedicato alle sue avventure.
Senza dubbio, la più famosa, nel campo delle riviste pulp era Doc Savage.
Il primo numero era apparso nel marzo 1933, edito dalla Street & Smith; e
durante la guerra aveva continuato ad uscire con regolare cadenza mensile.
Molte delle vicende d'apertura, scritte quasi tutte da Lester Dent (1904-
1959), sono riapparse successivamente in tascabili americani, è c'è anche
un'edizione britannica (10). Con circa 180 avventure, c'è da leggere in
abbondanza, per gli appassionati. Nel 1975 venne anche prodotto un film
su Doc Savage del maestro del cinema fantascientifico George Pal. Doc
Savage era una favolosa combinazione di erudizione scientifica,
stregoneria mentale e valore fisico, e non faceva altro che salvare la gente
dai pericoli più strani. Doc Savage era considerata una delle pubblicazioni
fondamentali delle riviste pulp, tuttavia, fra l'incredulità di molti, nel 1947
cominciò a saltare i mesi, divenne trimestrale, e poi chiuse con il numero
dell'estate 1949. L'ultima delle riviste dedicate ad un unico personaggio era
sparita.
E la causa principale della sua scomparsa era la sorprendente fioritura
dell'industria dei comics. Gli eroi dei fumetti, soprattutto Superman e
Batman, erano stati una proliferazione della science fiction prima della
guerra, e molti scrittori e disegnatori di fantascienza lavoravano per quelle
pubblicazioni. Mortimer Weisinger, direttore di Thrilling Wonder dal 1936
al 1941, abbandonò la rivista per diventare direttore di Superman e, più
tardi, dell'intera catena di comics associati. Nel 1949 questi supereroi, con i
loro fumetti «facili da seguire», conquistarono il cuore dei lettori più
giovani. Al confronto, la lettura di un intero romanzo era pesante. Con il
loro sviluppo, vi fu un corrispondente declino nelle vendite delle riviste
pulp, particolarmente dei pulps imperniati su singoli eroi.
La fine di Doc Savage lasciò un vuoto prontamente colmato dai fumetti.
Ma, se mai era necessario il colpo di grazia, la Popular decise di entrare
nella breccia con un eroe aggiornato, Capitan Zero.
Qui c'era un uomo reso invisibile da un'esplosione atomica, ma aveva
alcune qualità di antieroe, perché era goffo, miope e smemorato! La
Popular incaricò G.T. Fleming-Roberts, un autore di pulp che era apparso
regolarmente su quasi tutte le riviste gialle e del terrore dopo gli Anni
Trenta, di scrivere romanzi d'apertura, partendo con City of Deadly Sleep
nel novembre 1949. Fleming-Roberts portò una necessaria venatura
d'umorismo all'eroe del pulp, ma l'innovazione cadde su un terreno
insensibile. Captain Zero non attecchì mai, e dopo tre numeri divenne
invisibile quanto il suo protagonista.
Tuttavia il presidente della Popular, Henry Steeger, merita ogni elogio.
Con Fantastic Novels, Super Science Stories e Captain Zero, gli editori
s'erano mostrati coraggiosi e avevano corso un rischio, Captain Zero fallì,
ma le altre due pubblicazioni prosperavano, e questo, più il successo delle
testate già affermate, diede il via al futuro.
La fine dell'estate 1949 segnò la vigilia della tempesta. Alla stessa
epoca, l'anno successivo, ci sarebbero state circa dodici riviste nuove, due
delle quali erano destinate a far storia. Prima di buttarci in argomento,
perciò è opportuno considerare alcuni dei nuovi autori che avevano
esordito nei tre anni successivi alla conclusione della guerra, e alcuni dei
racconti più famosi apparsi in quel periodo.
Ho già nominato Arthur C. Clarke e Poul Anderson, due dei nomi più
grandi dell'immediato dopoguerra. Un altro fu William Tenn, pseudonimo
dell'americano di Londra Philip Klass, che aveva esordito a sua volta su
Astounding: la rivista manteneva il suo primato in fatto di coltivazione di
talenti in nuce. Il suo Alexander the Bait (maggio 1946) fu scritto tre mesi
dopo la fine della seconda guerra mondiale, mentre Tenn lavorava come
redattore tecnico per l'Aeronautica Militare. Il racconto usa questo sfondo
come base di uno sforzo concertato per raggiungere la Luna. Poi scrisse
Child's Play (marzo 1947) che incomincia con la consegna di un dono di
Natale dall'anno 2153 d.C. ad un uomo moderno, con conseguenze
agghiaccianti.
Nell'aprile 1947, Astounding presentava la prima vendita di H. Beam
Piper, Time and Time Again, su un chimico che trova la sua coscienza
interiore trent'anni nel passato, occupando il proprio corpo di adolescente
ma con la sua memoria futura. Questo avveniva in seguito ad una droga
analgesica che gli era stata somministrata dopo una ferita ricevuta nella
seconda guerra mondiale. Il racconto fu il più votato in un sondaggio tra i
lettori, battendo il gigante di quei tempi, A.E. van Vogt con il suo romanzo
breve Home of the Gods. La carriera di Piper era ormai lanciata, ed egli si
assicurò la popolarità con il secondo racconto, He Walked Around the
Horses (aprile 1948), che si apriva con la storica sparizione di un inglese,
Benjamin Bathurst, avvenuta in Prussia nel 1809. Piper postulava che
Bathurst fosse finito in un mondo parallelo, ed il racconto sviluppa il tema.
In seguito, è stato considerato un piccolo classico.
Un nome molto onorato in campo fantascientifico, nonostante la rarità
delle sue apparizioni, è quello di T.L. Sherred, che apparve su Astounding
nel maggio 1947 con una gemma sui viaggi nel tempo, E for Effort. Parla
di due scienziati che guadagnano un patrimonio producendo film storici
con registrazioni tridimensionali del passato. Anch'esso è considerato
come un piccolo classico, come pure l'opera di una scrittrice, Wilmar
Shiras, In Hiding (Astounding, novembre 1948) che narra dei problemi di
uno psichiatra alle prese con un ragazzo supranormale di dieci anni.
Wilmar Shiras era una delle tante scrittrici che cominciavano a lasciare il
segno nella science fiction. In precedenza erano state poche: i nomi più
famosi erano C.L. Moore (moglie di Henry Kuttner), Leigh Brackett
(moglie di Edmund Hamilton) e Leslie F. Stone. Poi, Astounding nel
giugno 1948 presentò That Only a Mother di Judith Merrill. Il racconto,
che parla di un bambino mutante considerato perfettamente normale da sua
madre, è una delle vicende più agghiaccianti del genere. Un'altra scrittrice
che debuttò a quell'epoca fu Katherine MacLean, il cui Defense
Mechanism comparve anch'esso su Astounding (ottobre 1949).
Anche i britannici stavano lasciando il segno in America, a parte Arthur
C. Clarke. Il londinese Peter Phillips produsse un racconto estremamente
originale, Dream Are Sacred (Astounding, settembre 1948), in cui uno
psicologo si proietta nella mente del suo paziente per poterlo guarire. Nel
febbraio 1949, Astounding vide l'esordio di Christopher Youd con
Christmas Tree, un commovente racconto natalizio ambientato lontano
dalla Terra. C.S. Youd era il vero nome di uno scrittore che di lì a poco
avrebbe acquisito fama internazionale con libri come Death of Grass: John
Christopher, che doveva rivaleggiare per un certo periodo con Arthur C.
Clarke per il titolo del più brillante autore fantascientifico britannico.
Aveva venduto un racconto breve a Walter Gillings per Fantasy nel 1946,
ma quel testo, Monster, non venne pubblicato fino al 1950. Anche i più
famosi autori inglesi del periodo prebellico stavano ricomparendo, dopo
essere stati congedati dall'esercito. Eric Frank Russell aveva scritto un
incredibile romanzo a puntate, Dreadful Sanctuary, apparso su Astounding
nel 1948. Incomincia con i razzi diretti alla Luna che non riescono a
lasciare la Terra, e finisce con la rivelazione che la Terra è in realtà un
manicomio della galassia! Se mai il talento e l'ingegnosità di Russell
avevano ancora bisogno d'una vetrina, adesso l'avevano. Lo scrittore aveva
già ricevuto innumerevoli elogi per il suo romanzo breve Metamorphosite,
che parlava di un mutamento dell'umanità nel corso di un millennio nel
futuro, e si stava aprendo quella strada che negli Anni Cinquanta avrebbe
fatto di lui uno degli autori fantascientifici più rispettati.
Anche John Wyndham rientrò nel gregge: sotto il nome di John Beynon
produsse Adaptation (Astounding, luglio 1949), su una bambina
condizionata a vivere in un ambiente alieno.
Lo stesso numero di Astounding pubblicava il primo lavoro
fantascientifico dello scrittore americano James H. Schmitz. Schmitz era
stato pubblicato per la prima volta su Unknown Worlds nel 1943 con un
lavoro di fantasy, ma Agent of Vega segnò il suo ingresso esplosivo nel
campo fantascientifico. Era un racconto ricco d'azione e di splendore, e
parlava della immensa Confederazione Vegana, della sua superpolizia e dei
suoi agenti segreti. The Witches of Karres, che aveva per protagoniste tre
bambine dotate di formidabili poteri psichici, uscì invece sull'Astounding
di dicembre.
Il luglio 1949 segnò l'esordio di Kris Neville con The Hand from the
Stars, in Super Science Stories, e la prima apparizione della firma di Cyril
Kornbluth, con The Only Thing We Learn, su Startling Stories. Kornbluth
aveva scritto e venduto decine di racconti, quand'era ancora adolescente, a
molte riviste agli inizi degli Anni Cinquanta, ma erano apparsi tutti sotto
vari pseudonimi. Quasi tutti quei nomi oggi sono stati dimenticati, ma
Kornbluth entrò nella leggenda dopo la sua morte, avvenuta nel 1958 a soli
trentacinque anni.
Probabilmente l'autore nuovo più notevole pubblicato per la prima volta
al di fuori di Astounding fu Jack Vance: The World Thinker era uscito su
Thrilling Wonder dell'estate 1945. Per i sette anni che seguirono, continuò
ad essere una delle colonne delle riviste Standard, creando memorabili
avventure planetarie, in particolare quelle della serie di Magnus Ridolph.
Per la verità, molti di questi suoi primi lavori contenevano elementi di
fantasy. Per esempio, The World Thinker è ambientato sul pianeta di
Laoome, il Pensatore dei Mondi. In una scena, Laoome perde il controllo
delle sue creazioni, con risultati bizzarri: per esempio, il sole si trasforma
in una gigantesca lumaca e, scendendo dal cielo, resta trafitto sugli enormi
pilastri spuntati dal suolo!
La scarsità di spazio consente appena di accennare all'opera degli
scrittori affermati di questo periodo. C'era il continuo successo della
coppia dei Kuttner, marito e moglie, che firmavano molto spesso Lewis
Padgett. Nel 1947 pubblicarono su Astounding due storie a puntate,
Tomorrow and Tomorrow, una cupa vicenda del futuro, e Fury (con la
firma di Lawrence O'Donnell), un'immane avventura ambientata su una
Venere turbolenta. Jack Williamson, che dal 1928 era un grande nome
della science fiction, continuava a scrivere meglio che mai. Il suo racconto
lungo The Equalizer (Astounding, marzo 1947) parlava di un'invenzione in
grado di trasformare tutti gli elementi; e fu seguito dal suo racconto
classico sui robot, ristampato più volte, With Folded Hands..., nel mese di
luglio. La storia, imperniata sui robot che sopraffanno la Terra con il loro
desiderio iperfilantropico d'aiutare l'umanità, è oggi considerato il
capolavoro del suo genere. Williamson produsse anche un seguito, molto
lungo, ... And Searching Mind, che venne pubblicato a puntate su
Astounding nel 1948.
L'instancabile E.E. Smith comparve con Children of the Lens, uscito a
puntate su Astounding (sorpresi?) a partire dal novembre 1947; in quel
periodo Isaac Asimov continuò a sfornare racconti della serie di
Foundation e di quella dei robot. A.E. van Vogt era presente con l'atteso
seguito di World of Null-A, The Players of Null-A, che incominciò su
Astounding nell'ottobre 1948. Tuttavia il suo sconvolgente racconto della
serie dei Negozi di Armi, The Weapon Shops of Isher, apparve nel febbraio
1949 su Thrilling Wonder, e questo ci ricorda il miglioramento della
qualità della rivista, e l'impegno con cui il suo direttore cercava di farne
una degna rivale di Astounding. Alla fine del 1949 si poteva affermare che
ognuna delle riviste principali era al suo meglio, anche se gli appassionati
veterani continuavano a rimpiangere l'Astounding dell'inizio degli Anni
Quaranta, l'Età d'Oro.
Era sempre più chiaro, inoltre, che la letteratura di fantascienza
diventava accettabile per il grande pubblico, anche se aveva ancora molta
strada da percorrere prima di perdere la cattiva fama associata alle
sgargianti riviste pulp d'avventura e alle loro copertine. La science fiction
veniva regolarmente pubblicata in antologie rilegate, soprattutto da
curatori come Donald Wollheim e Groff Conklin, ed una pietra miliare fu
la creazione di una serie annuale della miglior science fiction apparsa nei
dodici mesi precedenti... una formula popolare ancora oggi. L'idea fu di
Thaddeus E. Dikty ed Everett F. Bleiler. Bleiler si era da poco fatto un
nome tra gli appassionati per la sua colossale opera bibliografica, The
Checklist of Fantastic Literature (1948) che elencava oltre 5000 testi di
fantasy e science fiction. Poi, nel settembre 1949, apparve, curata da
entrambi, la selezione The Best Science Fiction Stories: 1949, edito da
Frederick Fell di New York. Includeva dodici racconti, dieci dei quali
erano apparsi per la prima volta sulle riviste specializzate. Andavano da
Mars is Heaven! di Ray Bradbury (Planet Stories) a Knock di Fredric
Brown (Thrilling Wonder). Per riassumere, sei provenivano da Astounding,
tre da Thrilling Wonder e due dall'esterno del campo fantascientifico.
Nell'agosto 1950 apparve una seconda antologia con tredici racconti del
1949. Astounding e Thrilling Wonder erano rappresentate da tre ciascuna,
più Startling, Planet e Fantastic Adventures, con uno per ciascuna. Dei tre
altri racconti, due provenivano dallo stesso numero della Saturday Evening
Posti
La Saturday Evening Post era uno dei principali periodici degli Anni
Quaranta, una rivista slick, cioè patinata, di argomento generale. Il fatto
che pubblicasse scrittori della fantascienza dei pulps indicava senza
possibilità di errore gli sviluppi imminenti. La Post aveva già pubblicato
science fiction in passato, ma di autori del mainstream che facevano
qualche raro volo nella fantasia e che, data la loro posizione, venivano
considerati rispettabili. Scrittori come Stephen Vincent Benet, Gerald
Kersh e Aldous Huxley avevano contribuito con racconti di questo tipo:
era una cosa accettabile. Anche Murray Leinster era accettabile, quando
scriveva con il suo vero nome, Will F. Jenkins. Jenkins era un rispettato
autore di western, un genere che veniva stimato molto di più ed aveva
vinto vari premi con i suoi racconti, compreso uno della prestigiosa rivista
Liberty. Ma Robert A. Heinlein? Quello era un nome che usciva diritto
diritto dai pulps fantascientifici. Heinlein aveva seguito il consiglio di
Murray Leinster. Oggi ricorda: «Parecchi anni fa, Will F. Jenkins mi disse:
"Ti rivelerò un segreto, Bob. Qualunque vicenda, fantascienza o no, se è
scritta bene, può venire venduta alle riviste patinate"» (11). Heinlein si era
già affermato come lo scrittore numero uno agli occhi del pubblico
fantascientifico. Perché non provare allora con il grande pubblico? Lo
fece... e immediatamente ebbe successo. The Green Hills of Earth, apparso
su The Saturday Evening Post dell'8 febbraio 1947, parlava del sacrificio
compiuto dal poeta cieco Rhysling per salvare un'astronave. Poi, in rapida
successione, vendette racconti a Argosy, Town and Country, e The
American Legion Magazine.
Ad un'incollatura lo seguiva Ray Bradbury, che aveva piazzato un breve
racconto fantastico, The Invisible Boy, su Mademoiselle nel 1945. Ben
presto cominciò a vendere fantasy e non fantasy ad una quantità di riviste
patinate. Poi riuscì a vendere fantascienza, come i suoi racconti delle
Cronache Marziane, Dwellers in Silence alla canadese MacLean's (15
settembre 1948) e The Silent Towns a Charm (marzo 1949). Il mercato
delle patinate canadesi accoglieva benissimo la fantascienza: John Russel
Fearn vendeva regolarmente romanzi alla Star Weekly di Toronto fin da
The Golden Amazon, nell'aprile 1945.
Adesso riviste come la Saturday Evening Post e Collier's che, a partire
dal 6 gennaio 1951, avrebbe pubblicato The Revolt of the Triffids di John
Wyndham, vedevano la fantascienza sotto una luce nuova. Era quasi
esclusivamente il risultato dell'era nucleare, che aveva destato l'interesse
del pubblico per la scienza ed il futuro dell'umanità, e aveva conferito una
nuova rispettabilità alla fantascienza. Questo, con l'aggiunta della nuova
generazione di autori specializzati che avevano perfezionato lo stile della
narrativa fantascientifica in contrapposizione al vezzo di scrivere trattati
scientifici camuffati da narrativa, predominante negli Anni Venti, o alle
molte assurde avventure per ragazzi del periodo prebellico. Leinster e
Heinlein avevano aperto le porte, e Bradbury demolì il muro. Da quel
momento gli scrittori seppero che, affinando lo stile, potevano vendere al
mercato delle patinate, molto più redditizio. E potevano vendere della
fantascienza molto semplice. Non c'era niente di eccezionale, dal punto di
vista dei lettori specializzati, nei racconti venduti da Heinlein alla Post,
anzi, erano abbastanza ovvi. Ciò che la rivista apprezzava era il suo abile
stile divulgativo.
E i pulps? All'improvviso, i loro autori migliori si erano aperti un
mercato che questi ultimi non potevano sperare di eguagliare, dal punto di
vista delle finanze e del prestigio. Ma la verità era che, pure se le riviste
patinate adesso prendevano in considerazione la fantascienza, questo
doveva essere piuttosto terra-terra. Qualunque scritto troppo sperimentale
o ardito veniva subito rifiutato, anche se per la confraternita
fantascientifica era tutt'altro che eccezionale. I pulps continuavano a
svolgere la loro funzione specializzata. Il primo passo, ovviamente,
consisteva nel liquidare l'immagine del pulp. E così apparve il dignitoso
Magazine of Fantasy and Science Fiction.
5. Incomincia la battaglia
6. Scienza o ragione?
Nel 1950 non c'erano ancora dubbi sulla superiorità di Astounding dal
punto di vista qualitativo, ed uno dei nomi più rispettati era L. Ron
Hubbard. Nato Lafayette Ronald Hubbard a Tilden, Nebraska, nel 1911,
era già un autore regolare di narrativa avventurosa per i pulps come
Argosy quando nel 1938 fece la sua prima comparsa su Astounding con
The Dangerous Dimension, la spiritosa vicenda di un professore che
riusciva a trasferirsi da una dimensione all'altra. Con la sua abilità
d'intessere una trama affascinante e di portarla fino alle sue estreme
conseguenze, Hubbard divenne uno degli autori più apprezzati di
Unknown. Nello stesso tempo, scriveva eccellente fantascienza per
Astounding: soprattutto Final Blackout, pubblicato a puntate nel 1940, che
narrava l'ascesa al potere del «Tenente» in un mondo devastato da guerre
perpetue. Uscito in un periodo in cui il conflitto in Europa entrava nel
secondo anno, sebbene all'inizio si pensasse che sarebbe durata solo poche
settimane, fece colpo su molti lettori, e la controversia che ne risultò lanciò
il nome di Hubbard in primissimo piano. Dopo la guerra, con il trasparente
pseudonimo di René Lafayette, Hubbard produsse una serie
divertentissima, partendo da Ole Doc Methuselah (Astounding, ottobre
1947). Ole Doc, che aveva più di settecento anni, era un Soldato della
Luce, che viaggiava nell'Universo dispensando cure mediche, e finiva
sempre per lasciarsi coinvolgere in intrighi politici planetari anche quando
non avrebbe dovuto. I sette racconti della serie, che si concluse con Old
Mother Methuselah nel numero del gennaio 1950, ebbero una grande
popolarità.
I numeri di febbraio e marzo 1950 misero in primo piano il nome di
Hubbard con il suo controverso racconto a puntate, To the Stars, che
raccontava i sacrifici compiti dagli umani per esplorare le stelle. Fu quindi
con crescente interesse che i fans attesero l'Astounding del maggio 1950,
poiché Campbell aveva annunciato che avrebbe pubblicato un
importantissimo articolo di Hubbard con la proclamazione di una scienza
completamente nuova: la Dianetica. Contemporaneamente alla
pubblicazione dell'articolo, la Hermitage House di New York lanciò un
libro rilegato di Hubbard: Dianetics: The Modern Science of Mental
Health (15).
Libro e articolo causarono un'esplosione nella confraternita
fantascientifica. Cos'era la Dianetica? Era una scienza?
Hubbard postulava che la mente è essenzialmente divisa. La Mente
Analitica è la parte pienamente consapevole, che accumula e registra gli
eventi ed i pensieri quotidiani... la parte con cui in questo momento state
pensando a ciò che leggete. Ma c'è anche una Mente Reattiva che continua
ad accumulare informazioni anche quando la Mente Analitica è
occupatissima con qualche evento importante. Se la Mente Reattiva
s'interessa dei problemi che andrebbero risolti dalla Mente Analitica, molto
probabilmente la soluzione che trova è sbagliata, disastrosa per
l'interessato. Tutto questo è analogo a ciò che avviene quando un computer
ha due banchi memoria, uno dei quali non è conscio, ma rimanda
egualmente informazioni. Hubbard sostenne che mediante l'ipnosi si
possono cancellare i banchi memoria falsi, che causerebbero danni, con il
risultato che la persona diventa chiara... completamente sana di mente,
capace di pensare con chiarezza per risolvere un problema senza la
necessità di affidarsi a qualche soluzione precedente, che sarebbe
probabilmente errata.
Hubbard sosteneva che il suo metodo avrebbe guarito tutte le malattie
mentali. Era mai stata fatta un simile affermazione? Campbell era convinto
che Hubbard avesse fatto una grande scoperta. Un aspetto molto
interessante della faccenda è stato rivelato recentemente dallo scrittore
Alfred Bester, nel suo contributo, My Affair with Science Fiction, a Hell's
Cartographers (1975), curato da Brian Aldiss e Harry Harrison. Bester
ricorda una conversazione che ebbe con Campbell, dopo che questi aveva
ricevuto l'articolo di Hubbard sulla Dianetica e s'era precipitato a farlo
stampare. I commenti di Campbell furono:
7. Mondi nuovi
Authentic era stata lanciata nella prima settimana del gennaio 1951. Il
primo romanzo portava l'orrendo titolo di Mushroom Men from Mars, di
Lee Stanton (21 bis). Due settimane dopo fu seguito da Reconnoitre
Krellig II di Jon J. Deegan. Il romanzo fece conoscere ai lettori la Vecchia
Brontolona, una vecchia astronave strampalata e il suo equipaggio
variopinto (22). Quelle avventure spaziali, vivaci e senza pretese
divennero così popolari che apparvero altri romanzi della Vecchia
Brontolona, rinsaldando l'accettabilità di Authentic. La testata mutò da
Science Fiction Fortnightly in Science Fiction Monthly con il numero
nove, nel maggio 1951, e infine in Authentic SF nel settembre 1951.
Nell'ottobre 1952 il romanzo venne arricchito con un testo a puntate,
partendo da Frontier Legion di Sydney J. Bounds. Nel gennaio 1953
assunse un aspetto più spiccatamente da rivista, con articoli e racconti. A
quell'epoca Gordon Landsborough, che aveva diretto la pubblicazione con
lo pseudonimo di L.G. Holmes, aveva lasciato la Hamilton ed era stato
sostituito da Herbert J. Campbell.
Landsborough riprende il suo racconto:
È più che probabile che fosse Campbell, l'autore che si nascondeva sotto
lo pseudonimo di Jon J. Deegan. Senza dubbio, la fantascienza britannica
deve molto ai suoi sforzi instancabili, e sono lieto di riconoscere i suoi
meriti.
Nel 1952 Authentic era ormai affermata e gareggiava in popolarità con
New Worlds. C'era tuttavia un'altra concorrente sulla scena, e veniva da
Glasgow, in Scozia. La rivista si chiamava Nebula, ed uno dei suoi
principali collaboratori sarebbe stato in seguito Kenneth Bulmer. Bulmer
era un grande ammiratore di Nebula, ed a questo punto gli lascio la parola:
È quindi evidente che, già alla fine del 1953, Nebula era diventata una
pubblicazione di prestigio e contribuiva a collocare saldamente la science
fiction britannica nel panorama mondiale. Perché era un panorama
veramente mondiale. La fantascienza non era più limitata agli Stati Uniti e
alla Gran Bretagna: fioriva dovunque. Perciò, prima di tornare agli USA e
al culmine del boom, diamo una breve occhiata all'evoluzione della rivista
specializzata all'estero.
8. Diluvio globale
Una rivista britannica di ristampe che apparve nel 1951 non proveniva
da fonti americane. Amazing Science Stories, una pubblicazione di grande
formato edita e Manchester, conteneva testi ripresi da Thrills
Incorporated... una rivista australiana.
L'Australia aveva avuto la sua parte di autori, soprattutto Alan Connell,
che aveva venduto diversi piacevoli racconti a Wonder Stories di
Gernsback all'inizio degli Anni Trenta. Ma non aveva una sua rivista di
fantascienza indigena fino a quando apparve Thrills Inc. nel marzo 1950:
era di 50 pagine in formato pulp e costata 9 centesimi. Era edita a Sydney
e attirava la produzione di autori locali che, non conoscendo bene la
science fiction, copiavano sfacciatamente dalle riviste statunitensi. Ben
presto i fans locali li smascherarono, con il risultato che, sebbene la rivista
continuasse ad usare alcune ristampe americane (ora riconosciute),
comparvero più testi originali australiani. La narrativa, tuttavia, era
prevalentemente per ragazzi, e non riusciva ad affermarsi. Norma K.
Hemming era probabilmente l'autore migliore, e in realtà era nata a Ilford,
nell'Essex. Era emigrata in Australia nel 1949, e suoi testi si trovano in
tutti gli ultimi sette numeri di Thrills Inc. Fu pubblicata anche dalle riviste
della Nova, durante gli Anni Cinquanta: purtroppo morì nel luglio 1960, a
soli trentadue anni.
Thrills Inc. crollò nel giugno 1952 dopo ventitré numeri, e le successive
pubblicazioni consistettero soprattutto di ristampe americane, con qualche
racconto originale australiano. I più noti fans del paese, Vol Molesworth e
Graham Stone, sbrigavano quasi tutto il lavoro di queste pubblicazioni, che
restavano tuttavia ben lontane da una vera rivista «indigena».
Gli australiani avevano il vantaggio di poter leggere la fantascienza
americana nella lingua originale. Ben diversa era la situazione in altri
paesi, che dovevano affidarsi alle traduzioni. Peraltro, quando il boom
della science fiction si diffuse in tutto il mondo, tali traduzioni apparvero
con frequenza sempre maggiore.
L'Argentina, per esempio, aveva avuto un pulp sporadico, Narraciones
Terrorificas, dal 1939 al 1950, con settantadue numeri in tutto. Poi venne
Hombres de Futuro, che vide tre numeri pulp, ripresi da Thrilling Wonder.
Ma la più importante fu Más Allá che uscì, nel giugno 1953, con una
cadenza mensile, pubblicata da un editore di Buenos Aires. All'inizio era
formata da ristampe, ma in seguito presentò molti lavori di autori
sudamericani, e durante gli Anni Cinquanta fu la principale pubblicazione
fantascientifica di quel continente.
La riviste svedese Veckans Adventy (Avventure settimanali), nel 1946
aveva un contenuto lontano dalla fantascienza e orientato su vicende
sportive e western. Questo settimanale era nato nell'ottobre 1940 come
Jules Verne Magasinet. Chiuse nel febbraio 1948 dopo trecentotrentun
numeri. La Svezia non avrebbe più avuto una grande rivista di fantascienza
fino al marzo 1954, quando i fratelli Kurt e Karl-Gustav Kindberg di
Jonkoping pubblicarono la loro rivista, Hapna! (Sbalordite), diretta da
Kjell Ekstrom. Era un mensile formato digest che all'inizio si affidava
soprattutto alle ristampe, ma più tardi allevò scrittori svedesi, come Bjorn
Nyberg, oggi conosciuto soprattutto per i suoi legami con L. Sprague de
Camp ed i racconti della serie «Conan» di Robert E. Howard. Hapna! creò
il fandom fantascientifico svedese e perciò è considerata importantissima
in quel paese.
È veramente una grande sorpresa che l'Olanda avesse una rivista
fantascientifica originale così subito dopo la guerra. Il fan Ben Abbas,
facendo tutto da solo, riuscì a pubblicare nel dicembre 1948 il primo
numero di Fantasie en Wetenschap. Il mensile, in formato pulp, ebbe
quattro numeri, fino a quando vari problemi ne resero impossibile la
continuazione; ma la rivista, che conteneva materiale di autori noti,
rappresenta un monumento agli sforzi degli olandesi in quei tempi difficili.
Quattro anni dopo apparve un'altra rivista olandese di fantascienza,
Planeet, che prendeva materiale da fonti britanniche, come la serie della
Vecchia Brontolona. Tuttavia, ne uscì un numero soltanto.
In quel periodo, il Messico aveva diverse riviste fantascientifiche che
pubblicavano traduzioni pirata da fonti statunitensi, senza pagare mai i
diritti. Per prima venne Los Cuentos Fantasticos, che cominciò di gran
carriera, pubblicando tre numeri nel luglio 1948. Ma in seguito apparve
con minore regolarità e chiuse dopo il quarantaquattresimo numero del
maggio 1953. Due anni più tardi uscì Enigmas, anch'essa con ristampe
statunitensi, che divenne altrettanto popolare.
La prima rivista fantascientifica in lingua italiana uscì nell'aprile 1952:
Scienza Fantastica, che pubblicò sette numeri formati da traduzioni
americane. Quando la rivista chiuse, il più grande editore italiano,
Mondadori, produsse una rivista quattordicinale, Urania, pubblicando
romanzi inglesi e americani. Urania fu un grande successo e le vendite
salirono a 50.000 copie per numero: la rivista diventò la principale
pubblicazione fantascientifica dell'area mediterranea (23).
La Francia rimase a lungo assente dalla scena fantascientifica, a parte
Conquêtes, che pubblicò due numeri soltanto prima della guerra, e V, che
sopravvisse appena ad una copia dopo la guerra. Ma nell'ottobre 1953
apparve un'edizione francese di F&SF, con il nome di Fiction, diretta da
Maurice Renault. Si affidava, all'inizio, alla rivista madre, ma negli anni
successivi prese l'abitudine di pubblicare regolarmente narrativa di autori
francesi e belgi, soprattutto Charles Henneberg e Gerard Klein.
La Germania è oggi considerata la patria di Perry Rhodan, che si
affermò negli Anni Sessanta. In precedenza, a parte un'enigmatica
pubblicazione, Kapitan Mors (24), esistita antecedentemente alla prima
guerra mondiale, la pubblicazione delle riviste fantascientifiche in
Germania cominciò solo nel 1953, sebbene la Germania avesse dato il
celebre film muto di fantascienza, Metropolis (1926) (25). Fu grazie agli
sforzi di Walter Ernsting che nacquero tre riviste. Utopia-Kleinband era
quella più chiaramente rivolta ai ragazzi; era imperniata su un
personaggio, e presentava un romanzo d'apertura sulle avventure spaziali
di Jim Parker. Utopia-Grossband pubblicava soprattutto ristampe e solo
quando nel dicembre 1955 apparve Utopia-Sonderband ci fu in Germania
la prima rivista di science fiction adulta, comprendente materiale nuovo e
ristampato.
Persino il Giappone aveva una rivista. Nel 1950 apparvero alcuni numeri
della versione giapponese di Amazing; poi nel 1954 fu pubblicato Seiun,
che uscì con un solo numero, in cui erano incluse quattro ristampe e tre
racconti indigeni.
Senza dubbio, ormai la science fiction aveva un pubblico mondiale, ma
tutti si ispiravano alle tendenze americane. Solo la Gran Bretagna aveva
molti autori locali che potevano dettare nuove tendenze, ma non erano
ancora arrivati a quella fase. Poiché però nel 1953 stava vivendo un boom
spettacolare, tutti gli occhi erano rivolti su quella scena per vedere come
andavano le cose.
9. Asfissia
Mines sfidò gli scrittori a fare esperimenti con temi arditi e presentò The
Lovers come la scoperta del decennio. Sperava che inducesse gli scrittori a
dirsi: «Santo cielo, non sapevo che potessimo fare cose simili in
fantascienza!» Lo stesso discorso sarebbe stato fatto da Harlan Ellison
nella sua antologia antitabù, Dangerous Visions, nel 1967. Ma qui lo
troviamo quindici anni prima, e su una rivista pulp.
In The Lovers gli umani atterrano su un pianeta dove gli abitanti,
umanoidi, sono metamorfosi di insetti. Le femmine, che assumono
l'aspetto di donne umane, possono riprodursi solo accoppiandosi con un
maschio umano. Dopo la gravidanza, la madre muore, e il neonato si nutre
della sua carne. Gli insetti, chiamati lalitha, sanno che una certa bevanda
impedisce la gravidanza. Quando uno degli umani s'innamora d'una lalitha,
crede che sia alcolizzata. Non conoscendo il vero scopo della bevanda, la
diluisce, e di conseguenza la lalitha concepisce e muore.
La vicenda è narrata splendidamente; e dimostrava che il sesso poteva
diventare parte integrante di un'opera fantascientifica senza essere osceno.
The Lovers fu senza dubbio una pietra miliare della science fiction, eppure
ci volle Samuel Mines per capirlo... il direttore d'una rivista pulp con la
testata un po' ridicola di Startling Stories (28). Se mai c'era stata una storia
di questo genere era proprio The Lovers che sorprendentemente era stata
rifiutata da Campbell e Gold, e forse non avrebbe mai visto la luce perché
allora Farmer non era ancora un grande nome. Segnò la sua prima
apparizione, e da allora la sua passione per il lavoro ha fatto di lui uno
degli autori più prolifici, originali e ammirati del campo.
The Lovers non rappresentò per Mines un successo isolato. Aveva
acquistato anche What's It Like Out There? di Edmond Hamilton, che uscì
su Thrilling Wonder nel dicembre 1952. Mines parla del racconto
nell'editoriale citato più sopra, dicendo che «è tanto lontano dalle sue
vicende di Capitan Futuro da convincere chiunque che è opera di un'altro
scritture» (29). Hamilton aveva scritto una precedente versione del
racconto nel 1933! Ma l'asprezza con cui descrive un troppo realistico
quadro della prima spedizione a Marte lo fece rifiutare a quel tempo da
tutti i direttori. Hamilton era diventato un autore stereotipo con le sue
calamità cosmiche che gli avevano guadagnato il nomignolo di World
Wrecker, «Sfasciamondi». Era impensabile un simile cambiamento rispetto
alla formula che era tipicamente sua e dei pulps.
Ma dopo la guerra, la science fiction aveva bisogno di realismo, e
finalmente gli scrittori scoprirono di poter rompere i vecchi stampi. The
Lovers aveva abbattuto la barriera del sesso, e in tutto il campo tradizioni e
tabù incominciarono ad andare a pezzi. La religione era stata sempre
sacrosanta, fino a quando ci mise le mani Ray Bradbury. Samuel Merwin,
a Thrilling Wonder, aveva acquistato The Man per il numero di febbraio
1949: racconta di un'astronave che atterra su un altro mondo e scopre che,
proprio il giorno prima, era giunto Cristo. In This Sign, in cui Bradbury
presenta Marte immune al peccato, fu acquistato da Ray Palmer, ma giorno
prima, era venuto Cristo. In This Sign, in cui Bradbury presenta Marte
immune al peccato, fu acquistato da Ray Palmer, ma fu pubblicato su
Imagination di Hamling nell'aprile 1951.
Ray Palmer acquistò molti dei racconti più discussi di Bradbury il che
dimostra che non era poi insensibile quanto molti lo ritengono. Sebbene
Bradbury fosse accettato dalle riviste patinate, Way in the Middle of the Air
fu rifiutato da Harper's e apparve invece su Other Worlds nel luglio 1950.
Descrive Marte, abitato da negri che si preparano all'apartheid quando
apprendono che sta arrivando un razzo carico di bianchi. Il seguito The
Other Foot, fu pubblicato invece da New Story nel marzo 1951. In questo
racconto, la vita sulla Terra è quasi estinta, ed i bianchi si riducono a fare i
lustrascarpe per i negri che li salvano.
L'esplosione senza precedenti delle pubblicazioni di fantascienza
all'inizio degli Anni Cinquanta aveva portato una nuova liberazione. Era la
conseguenza diretta dell'era nucleare, che aveva causato una maggiore
accettazione da parte del pubblico nei confronti della science fiction, e
questo a sua volta indusse gli autori a levigare lo stile e a migliorare il
prodotto, con il risultato che il genere ne uscì risplendente. Secondo i
criteri di oggi, la fantascienza dell'inizio degli Anni Cinquanta non sembra
molto «liberata», ma bisogna vederla con la mentalità degli Anni Quaranta.
Era veramente una rivoluzione.
Il boom americano aveva un'eco in Gran Bretagna, e anche se questo
non portò a tendenze progredite, rivelò molti nuovi talenti.
11. Orientamenti
Per The Lovers e gli altri suoi contribuiti al genere, dati fin dall'inizio
della sua carriera, Philip José Farmer ricevette il Premio Hugo nel 1953,
quale migliore autore nuovo della science fiction.
Era il primo anno dei premi, che furono consegnati in settembre alla
World Science Fiction Convention. La manifestazione si tiene solitamente
negli Stati Uniti, ma due volte si è tenuta in Gran Bretagna (31), una volta
in Germania e una volta in Australia. Spesso, i fans e i partecipanti
avevano discusso e votato i loro scrittori preferiti, i disegnatori, i racconti,
ma solo nel 1953 fu assegnato un premio tangibile. Ebbe la forma di
un'astronave metallica, e abbastanza logicamente prese il nome da Hugo
Gernsback. Era un'ironia che proprio nell'anno della sua nascita,
Gernsback fosse costretto a riconoscersi sconfitto con Science Fiction Plus
ed avesse abbandonato il campo dell'editoria fantascientifica. Gernsback
morì il 19 agosto 1967, a ottantrè anni. Devoto alla scienza fino alla morte,
lasciò il suo corpo alla ricerca medica.
Le categorie cui oggi vengono assegnati i Premi Hugo variano, anche se
in generale ve ne sono alcune fisse, che offrono una chiara guida ai gusti
del settore. Nel 1953 il premio per la migliore rivista di fantascienza andò
congiuntamente ad Astounding e Galaxy, il che testimoniava la fulminea
ascesa di quest'ultima pubblicazione. Galaxy segnò un altro punto al suo
attivo, poiché il premio per il miglior romanzo andò a The Demolished
Man di Alfred Bester, che era uscito a puntate dal gennaio al marzo 1952.
Inoltre, un Hugo speciale andò a Willy Ley per i suoi eccellenti articoli
scientifici. E Ley aveva fornito a Galaxy, dal marzo 1952, una regolare
rubrica, For Your Information. Inoltre c'era un altro pari merito per il
miglior illustratore di copertine, tra Hannes Bok e Ed Emsh. Bok non era
mai stato un disegnatore prolifico e aveva completato poche copertine di
riviste durante il 1951-52. Il suo lavoro, caratterizzato dalle sue bizzarre
tecniche «a vetrata istoriata», oggi è molto ricercato, e la sua morte
avvenuta nel 1964, poco prima del suo cinquantesimo compleanno, lo fece
entrare nella leggenda.
Ed Emshwiller, per chiamarlo con il suo nome completo, deve essere
considerato uno degli illustratori specializzati più dotati e realistici. Per la
sua capacità di creare scene non è inferiore a nessuno, come per la sua
bravura nel ritrarre la gente. La sua prima copertina fu per Galaxy del
giugno 1951, e inizialmente quasi tutti i suoi lavori furono per quella
rivista... che aggiunse un'altra piuma al cappello con questo Hugo.
Il premio per le illustrazioni interne andò a Virgil Finlay, probabilmente
il maggiore illustratore in bianco e nero di quel periodo. I suoi lavori
apparivano un po' dovunque all'inizio degli Anni Cinquanta, poiché
nessuna rivista poteva pagare abbastanza per assicurarselo in esclusiva.
Alcuni dei suoi lavori più superbi apparivano allora su Startling, Thrilling
Wonder e sulle riviste di Ray Palmer.
Nel 1954 non furono assegnati premi, ma la consuetudine riprese
regolarmente dal 1955 in poi. In quell'anno Astounding fece quasi piazza
pulita, vincendo a mani basse il premio per la miglior rivista, oltre ad aver
pubblicato il romanzo, il racconto lungo e il racconto breve che avevano
vinto le rispettive categorie. Anche il disegnatore premiato, Kelly Freas,
era legato soprattutto a quella testata. Astounding non intendeva perdere
terreno, nonostante la formidabile opposizione.
E questo mi porta a considerare la panoramica della narrativa apparsa
dal 1950 al 1955.
Uno dei principali esponenti della fantascienza, oggi, è Philip K. Dick.
La sua prima pubblicazione fu un breve racconto, Beyond Lies the Wub
(Planet Stories, luglio 1952) (32) e per un po' si dedicò appunto ai
racconti, apparendo su quasi tutte le riviste specializzate prima di passare
ai romanzi. Dick aveva la capacità d'introdurre l'inaspettato nelle sue
vicende, e in questo periodo la dimostrò in testi come The Defenders
(Galaxy, gennaio 1953) (33) in cui l'umanità si trasferisce nel sottosuolo
lasciando in superficie i robot con il compito di proseguire la guerra:
all'insaputa degli umani, i robot concludono subito la pace, ma trasmettono
poi false informazioni tenendo la superficie per sé; e come in Impostor
(Astounding, gennaio 1953) dove il lettore viene affascinato da una ricerca
per scoprire un impostore che in realtà è una bomba ambulante.
Dick aveva esordito quasi contemporaneamente a Robert Sheckley, che
durante il 1953-4 fu sorprendentemente prolifico. Quasi tutti i suoi
racconti sono intessuti di umorismo e realismo, ed un esempio, Hands Off,
è incluso in questo volume. Sheckley fu uno dei primi scrittori che
passarono dalle riviste di science fiction alle pubblicazioni patinate per
uomini, come Playboy.
Un altro era Charles Beaumont, che più tardi acquisì grande fama a
Hollywood come sceneggiatore. Vendette il suo primo racconto a Howard
Browne che lo pubblicò su Amazing nel gennaio 1951. Perciò Beaumont,
che s'impose come grande scrittore di science fiction e orrore per le riviste
patinate, aveva cominciato lavorando per i pulps. Morì tragicamente nel
febbraio 1967, a solo trentotto anni. A metà degli Anni Cinquanta, molti
dei maggiori autori passarono dalle riviste di fantascienza alle patinate, già
all'inizio delle loro carriere. Ma dalla direzione opposta arrivò Kurt
Vonnegut, un nome onoratissimo, oggi, nei canoni della science fiction
anche se lui nega di scriverne. Non vendeva mai direttamente alle riviste di
fantascienza: vendeva alle patinate... ma solo dopo che gli autori dei pupls
avevano aperto la strada. I suoi primi racconti, come Thanasphere, che
apparve su Collier's (2 settembre 1950) parlava di un pilota collaudatore di
missili che incontrava gli spiriti dei morti in orbita intorno alla Terra,
secondo i criteri fantascientifici erano piuttosto fiacchi. Comunque,
Vonnegut sarebbe riuscito ad affermarsi, se scrittori come Leinster,
Heinlein e Bradbury non avessero già girato la chiave?
Gordon R. Dickson scrisse una vicenda ingegnosa, The Monkey Wrench
(Astounding, agosto 1951), in cui un uomo sconfigge un computer con
mezzi logici. L'uso della logica in fantascienza era un buon trampolino di
lancio per l'umorismo, e l'inglese Eric Frank Russell lo sfruttò benissimo
in Diabologic (Astounding, marzo 1955), dove un umano intrappola gli
alieni con questo mezzo. Russell stava scrivendo al meglio, durante gli
Anni Cinquanta, e vinse il Premio Hugo per Allamagoosa (Astounding,
maggio 1955), che parla della buffa ricerca, da parte dell'equipaggio di
un'astronave, di uno strano oggetto elencato nell'inventario. Anche il
superbo Dear Devil di Russell (Other Worlds, maggio 1950) avrebbe
meritato un Hugo. Parla di un orrendo marziano, blu e tentacolato, poeta e
artista, che rimane sulla Terra quasi priva di vita, dopo averla esplorata, e
fa amicizia con un gruppo di bambini abbandonati, dopo aver dato loro
prova della sua bontà. Russell propone una perfetta argomentazione in
favore della tolleranza razziale. Il fatto che fosse apparsa sulla rivista di
Palmer dimostra che questo direttore era molto sensibile, e non si affidava
esclusivamente al sensazionalismo.
Russell avrebbe proseguito i suoi paralleli razziali in racconti come The
Witness (Other Worlds, settembre 1951) dove un'aliena viene processata
come una minaccia, ma poi si scopre che era venuta a rifugiarsi sulla Terra.
In Fast Falls the Eventide (Astounding, maggio 1952), alcuni umani
vengono inviati su pianeti alieni per insegnare la fraternità universale; e
Postscript (Science Fiction Plus, ottobre 1953), in cui un uomo
corrisponde con un'aliena, e scopre che è un orrendo fungo, sottolinea il
tema più caro a Russell.
Racconti del genere sarebbero mai stati scritti, se non fossero esistite le
riviste specializzate?
Un altro nome importantissimo durante gli Anni Cinquanta fu Walter
M.Miller. Miller aveva esordito su American Mercury nel 1950, e nel
gennaio 1951 Amazing Stories presentava il suo Secret of the Death Dome,
il cui titolo era stato scelto dalla direzione. Miller aveva un talento
particolare per la caratterizzazione e la narrazione credibile degli eventi. I
Made You (Astounding, marzo 1954) è la descrizione terrificante di una
macchina robot sulla Luna, decisa a distruggere il suo operatore.
Astounding, nel gennaio 1955, pubblicava The Darfsteller, incentrato su
una compagnia teatrale robotica interstellare, che gli fece vincere il suo
primo Hugo. Più tardi ne vinse un altro, nel 1960, per il romanzo A
Canticle for Leibowitz, ambientato in una Terra postatomica dove l'ordine
religioso di San Leibowitz - uno scienziato canonizzato - si sforza di
riportare una parvenza d'ordine nel caos. Era un capolavoro, e senza
dubbio verrà ristampato anche in futuro. Il romanzo, in origine, erano in
realtà tre lunghi racconti, il primo dei quali A Canticle for Leibowitz era
apparso su F&SF nell'aprile 1955.
Il nome di Frank Herbert oggi è indissolubilmente legato alla sua trilogia
di romanzi di Dune. La sua prima apparizione in campo fantascientifico,
però risale al 1952, con un racconto apparso su Startling del mese di
agosto, Looking for Something. Nel 1955 aveva completato il suo primo
romanzo, Under Pression, pubblicato a puntate su Astounding a partire dal
novembre di quell'anno e accolto con immense lodi per il suo realismo.
Ambientato in tempo di guerra, a bordo di un sottomarino atomico del
futuro, è ricco di intrighi, via via che il sottomarino cerca di assicurarsi una
scorta di petrolio, ed un membro dell'equipaggio si rivela un sabotatore.
Pubblicato in volume nel 1956 con il titolo The Dragon in the Sea, da
allora è stato ristampato più volte.
I nomi che vengono in mente sono molti, ma la mancanza di spazio mi
costringe a citarli di sfuggita. Il primo racconto di Edgar Pangborn Angel's
Egg (Galaxy, giugno 1951) non ha bisogno di venire riassunto qui, poiché
è uno dei racconti di fantascienza più antologizzati. Ward Moore è un
nome oggi trascurato, nonostante i suoi eccellenti contributi, soprattutto
Bring the Jubilee (F&SF, novembre 1952), una grandiosa vicenda di una
Terra alternativa, in cui la guerra di secessione americana è stata vinta dai
sudisti. Poi pubblicò Lot (F&SF, maggio 1953) e Lot's Daughter (F&SF,
ottobre 1954) ambientati sulla Terra del periodo postatomico e dedicati ai
problemi dell'adolescenza. Anche il dottor Alan E. Nourse viene ricordato
con affetto, in questo periodo, soprattutto per Counterfeit (Thrilling
Wonder, agosto 1952), una delle storie più avvincenti sul tema di un alieno
che assume l'indentità di un membro dell'equipaggio di un'astronave.
Nourse aveva scritto in precedenza Tiger by the Tail (Galaxy, gennaio
1951), un'ingegnosa interpretazione della teoria delle dimensioni di
Moebius, e più tardi sarebbe stato ricordato per Brightside Crossing
(Galaxy, gennaio 1956), uno dei racconti più emozionanti ambientati su
Mercurio, così come veniva immaginato allora.
Anche molte scrittrici si stavano facendo una reputazione. Margaret St.
Clair si era già affermata prima del 1950 con vicende ingegnose come The
Gardener (Thrilling Wonder, ottobre 1949), dove un burocrate abbatte un
albero sacro su un pianeta alieno, viene condannato al massimo della pena,
e comincia a trasformarsi in albero. Si creò un alter-ego, Idris Seabright,
per i racconti di fantasy pubblicati da F&SF sebbene un racconto molto
audace sull'amore, Short in Chest, apparve su Fantastic Universe (giugno
1954). Un donna che s'era insediata a F&SF fu Zenna Henderson che
debuttò nell'ottobre 1952 con Ararat, il primo dei suoi molti racconti sul
Popolo, i profughi alieni d'aspetto umano spediti sulla Terra. Il tema della
serie è rappresentato dai tentativi dei vari individui per mescolarsi agli
umani, e la Henderson lo trattava con quel perfetto insieme di tenerezza e
di tragedia che ha fatto di lei una delle maggiori scrittrici specializzate.
Un memorabile racconto fu Pictures Don't Lie di Katherine MacLean
(Galaxy, giugno 1951), che segue la trasmissione televisiva dell'arrivo
degli alieni sulla Terra. La rivelazione, nell'ultima riga, è magistrale.
Un'importante scrittrice, Anne McCaffrey, fece la sua prima apparizione
in quest'epoca, con un breve bozzetto, Freedom of the Race, su Science
Fiction Plus dell'ottobre 1953; e il 1954 vide l'esordio narrativo di Marion
Zimmer Bradley, sebbene avesse venduto una poesia a Thrilling Wonder
tre anni prima. Le donne, finalmente, facevano sentire la loro presenza
nella science fiction. Forse questo è concomitante con la maturazione del
genere ed il suo maggiore interesse per l'umanità, anziché per la scienza. O
forse la rappresentazione dei sentimenti, nei loro racconti, era proprio
quello che volevano direttori come Gold e Boucher.
A costo di ignorare completamente molti autori come Mack Reynolds,
Randall Garrett, Milton Lesser... non devo dimenticare i nomi più
affermati, perché non si limitavano ad assistere alla maturazione dei
giovani talenti.
Isaac Asimov era al culmine della forma. La serie di Foundation si era
chiusa con la pubblicazione a puntate di ... And Now You Don't (parte di
Second Foundation) su Astounding nel 1949. Poi venne Pebble in the Sky
(in 2 Complete Science Adventures Books) su un uomo catapultato nel
lontano futuro e destinato a diventare la chiave della salvezza del mondo.
Poi The Stars Like Dust uscì a puntate su Galaxy, con il titolo Tyrann, a
partire dal quarto numero. Era un romanzo affascinante, anche se
superficiale, sulla ricerca in tutta la galassia di un documento segreto per
salvare l'umanità. Astounding, nell'ottobre 1952, cominciò a pubblicare a
puntate The Currents of Space, che descrive gli intrighi per salvare il
pianeta Fiorina da una nova imminente, e nell'ottobre 1953, Galaxy ospitò
l'episodio iniziale del suo primo importante giallo fantascientifico, The
Caves of Steel.
Robert Heinlein, ovviamente, non appariva soltanto nelle riviste
patinate. Il suo famoso romanzo The Puppet Masters, in cui gli alieni
assumono il controllo fisico e mentale di molti umani, fu pubblicato a
puntate su Galaxy durante il 1951, e nel 1954 F&SF presentò, pure a
puntate il suo romanzo per ragazzi, Star Beast (con il titolo Star Lummox),
in cui un animale domestico alieno viene portato sulla Terra con risultati
calamitosi.
Hal Clement è uno dei maestri della fantascienza più ortodossa; e
acquisì stima anche più grande con la pubblicazione a puntate di Mission
of Gravity su Astounding, durante il 1953. Una preziosissima sonda
precipita presso il polo di un pianeta che, a causa della sua rapida rotazione
e delle sue dimensioni enormi, ha ai poli un'attrazione gravitazionale
superiore di circa settecento volte a quella della Terra, e di sole tre volte
all'equatore. Il romanzo narra come vengono superate le difficoltà e come
viene recuperata la sonda. Per gli appassionati della science fiction pura il
romanzo è senza dubbio tra i più amati.
Il compianto James Blish si affermò sempre di più durante quel decennio
con la sua affascinante serie delle città volanti. La serie cominciò con Okie
(Astounding, aprile 1950): lo sviluppo di un congegno antigravità permette
alle città di abbandonare la Terra, contemporaneamente alla scoperta di
una sostanza che dona la longevità. Racconti collegati successivi
includevano Bridge (Astounding, febbraio 1952), il racconto spesso
ristampato sui tentativi di costruire un ponte su Giove.
Un nuovo arrivato, relativamente, era Charles L. Harness. Era stato
pubblicato per la prima volta su Astounding nell'agosto 1948 con
l'ingegnoso giallo sui viaggi nel tempo, Time Trap; era poi venuto un
fiume di altri racconti. Harness fece sensazione nel 1953 con il romanzo
The Rose, che descrive l'evoluzione dell'uomo in superuomo. Il romanzo
non trovò mercato in America, e fu pubblicato per la prima volta in Gran
Bretagna su Authentic, nel marzo 1953. Uno splendido romanzo ed un
grande scrittore, forse, sarebbero stati perduti per la fantascienza se non ci
fosse stata quella rivista. Poco dopo, Harness smise di scrivere per avere
più tempo da dedicare alla sua famiglia, ma recentemente è tornato in
campo, con effetti ancora più sorpendenti.
Il compianto Murray Leinster non fu meno attivo, in quel decennio, di
quanto lo fosse stato nei trent'anni precedenti. Il suo superbo romanzo
breve The Gadget Had a Ghost (Thrilling Wonder, giugno 1952) è
un'eccellente storia di paradossi temporali. E Nightmare Planet (Science
Fiction Plus, giugno 1953) aggiungeva l'episodio finale alla sua serie della
bizzarra Terra del futuro iniziata con Mad Planet su Argosy nel 1920!
Leinster vinse inoltre il Premio Hugo per il suo racconto lungo
Exploration Team, da Astounding del marzo 1956. Il suo talento era
innegabile e la sua morte, avvenuta nel giugno 1975, a settantacinque anni,
chiuse un importante capitolo della storia della fantascienza.
Frederik Pohl e Cyril Kornbluth, entrambi nomi molto rispettati nel
genere, avevano incominciato a collaborare tra loro e con altri scrittori, con
una quantità di pseudonimi, all'inizio degli Anni Cinquanta. Solo negli
Anni Cinquanta apparvero regolarmente con i loro veri nomi. Pohl diede
gemme come The Midas Plague (Galaxy, aprile 1954), ambientato in un
tempo in cui la sovrappopolazione diventa un vera minaccia; e Kornbluth
le sue visioni tipicamente crude, come The Altar at Midnight (Galaxy,
novembre 1952), con la sua cupa descrizione della vita degli astronauti. In
collaborazione, i due scrissero classici come Gravy Planet (Galaxy,
giugno-agosto 1952), che presenta mega-aziende impegnate nel tentativo
di «vendere» Venere; e Gladiator-at-Law (Galaxy, giugno-agosto 1954)
che descrive un violenta Terra del futuro. Kornbluth collaborò anche con
Judith Merril (con il nome di Cyril Judd) in parecchi lavori, soprattutto
Gunner Cade, pubblicato a puntate su Astounding nel 1952, e che presenta
il soldato irreggimentato del futuro, incapace di pensare con la propria
testa.
Gli inizi degli Anni Cinquanta portarono anche un torrente di testi di
Theodore Sturgeon, impegnato a schiantare a sua volta le barriere del
conformismo, dopo che Mines aveva accettato il lavoro di Farmer. Su
Galaxy Sturgeon sottolinea temi essenzialmente umani. Baby Is Three
(ottobre 1952) parla di un adolescente dagli eccezionali poteri psichici che
si unisce con altri bambini egualmente dotati, formando un terrificante
cervello gestalt. Il lungo racconto venne ampliato e trasformato in
romanzo con il titolo More Than Human, e vinse nel 1954 l'International
Fantasy Award, organizzato in Gran Bretagna da Leslie Flood e assegnato
tra il 1951 e il 1957. In precedenza aveva vinto Clifford Simak con il
romanzo City, ricavato dalla serie apparsa su Astounding.
Se l'inizio degli Anni Quaranta deve essere chiamato «l'Età d'Oro» di
Astounding, allora il periodo 1946-55 va senza dubbio considerato come
«l'Età del Platino» della fantascienza. Ho già ricordato decine di superbi
racconti di questo decennio, ma sono pochissimi, in confronto alle
centinaia che vennero scritti. Posso soltanto invitare ad esplorare più a
fondo.
12. Riepilogo
Alla fine del 1955, l'estinzione dei pulps era stata seguita da una calma
relativa, nel mare della fantascienza. Anche parecchi digest chiusero i
battenti, ma molti sopravvissero. È opportuno fare qui un riepilogo delle
riviste superstiti e dei loro direttori.
Amazing Stories la rivista più vecchia, era adesso una pubblicazione
digest diretta da Howard Browne, con una compagna da poco acquisita,
Fantastic. Nel 1953 Browne aveva ricevuto un budget più ricco, che gli
permise di acquistare narrativa di buona qualità; ma gli stanziamenti
vennero ridotti con il passare degli anni, e nel 1955 la qualità stava
declinando. Tuttavia, nel novembre 1955 Amazing tornò alla cadenza
mensile, mentre Fantastic restava bimestrale.
La prima Amazing mensile era anche il trecentesimo numero della
rivista. Il novembre 1955 portò anche il trecentesimo numero di
Astounding: e tutti, tranne i primi ottantadue, erano usciti sotto il ferreo
controllo di John W. Campbell. Nei dieci anni seguenti, Amazing ed
Astounding avrebbero continuato fianco a fianco, come le più vecchie
riviste superstiti di fantascienza.
La Columbia Publications mandava avanti Science Fiction Stories,
Future SF e SF Quarterly. Nel 1955 Science Fiction era diventata la
pubblicazione principale, e adesso veniva presentata come The Original...
per collegarla alla Science Fiction lanciata da Charles Hornig nel 1939.
Future era stata relegata temporaneamente in un programma di
pubblicazione irregolare. SF Quarterly manteneva la sua cadenza, ed era
rimasta pulp... un caso molto raro. Era l'unico pulp superstite in
circolazione, ma non la sola rivista del genere.
Come ho sottolineato in precedenti occasioni, Ray Palmer non era mai
stato un tipo conformista. Durante la guerra, quando il razionamento della
carta aveva costretto molte testate a limitare il numero delle pagine,
Palmer ne aveva raddoppiato il numero nelle sue pubblicazioni. A metà
degli Anni Cinquanta, quando quasi tutte le riviste si erano trasformante in
digest o avevano chiuso, Palmer trasformò la sua Other Worlds da digest in
pulp! Sì, Other Worlds. Dopo averne cambiato la testata in Science Stories
ed aver assorbito Universe nel corso dell'ultimo anno, Palmer decise che le
tendenze contemporanee stavano poco a poco causando una stagnazione.
Ma nei suoi editoriali ammetteva che Other Worlds viveva di un budget
pressoché inesistente. Tornò al formato pulp per attrarre l'attenzione, ma
presto avrebbe scoperto di non essere più in contatto con i tempi. Il suo
bernoccolo per il sensazionale lo stava abbandonando?
The Magazine of Fantasy and Science Fiction continuava a mantenere la
sua altissima qualità. Adesso era guidata dal solo Anthony Boucher, poiché
nel 1954 Mick McComas aveva abbandonato per ragioni di salute.
Per quanto riguardava Galaxy, essa appariva regolarmente, come
Astounding, e la sua compagna della serie Novel usciva ancora,
sporadicamente. Durante il boom, Galaxy aveva avuto anche una
compagna dedicata al fantastico, Beyond, che resistette per dieci numeri,
fu molto popolare, e spesso viene considerata l'erede naturale di Unknown
di Campbell. Tra i molti racconti che pubblicò, quelli più ricordati sono
Babel II di Damon Knight su un caos linguistico; il classico di Theodore
Cogswell, The Wall Around the World, ed il macabro racconto sui poteri di
un bambino, Talent di Theodore Sturgeon. Purtroppo, Beyond venne
soffocata, proprio dal boom.
Fantastic Universe si era affermata saldamente come pubblicazione
mensile, con un'ampia politica che includeva il fantastico e la science
fiction. Era abbastanza diversa da F&SF per assicurarsi la sopravvivenza,
eppure abbastanza simile per echeggiarne il successo. Leo Margulies
continuava a guidarla, anche se presto sarebbe entrato in scena un altro
personaggio, Hans Stefan Santesson.
Imagination di William Hamling era rimasta mensile durante tutto il
boom, ma nell'autunno 1955 cominciò ad apparire bimestralmente. Adesso
si alternava con una rivista nuova, Imaginative Tales, nata nel settembre
1954, sostanzialmente come veicolo per pubblicare lunghi romanzi
d'apertura, lasciando ad Imagination i testi più brevi. In questo modo si
assicurò un vasto seguito, anche se non ebbe mai il successo della
compagna. Richiamava la Amazing della fine degli Anni Quaranta, che
Hamling aveva diretto in realtà, e conteneva romanzi del genere space
opera di Edmond Hamilton, e perciò attirava il pubblico rimasto
all'asciutto con la fine di Planet Stories.
Infine, James Quinn continuava a dirigere coraggiosamente If, arrivata
ormai al trentesimo numero. Quinn aveva una certa assistenza da parte dei
suoi collaboratori, uno dei quali era stato Larry Shaw. Shaw se ne andò nel
1954, e più tardi passò alla Royal Publications. Là l'editore Irwin Shaw
(che non era suo parente) voleva lanciare una rivista di fantascienza, e
Larry ne divenne direttore. Infinity Science Fiction uscì nel novembre
1955: era la prima della riviste del dopo boom. Portava un racconto lungo
d'apertura di William Tenn, e includeva un racconto breve, The Star, di
Arthur Clarke, che vinse il Premio Hugo per la sua categoria. Se Infinity
cominciava così, dove sarebbe arrivata?
Un indizio era costituito da un autore che Shaw contribuì a lanciare,
pubblicando il suo primo racconto fantascientifico. Il secondo numero di
Infinity (febbraio 1956) presentava testi di molti grandi nomi, compresa
una brillante e divertente storia sui robot, Internal Combustion di L.
Sprague de Camp. Ma comprendeva anche Glow Worm di Harlan Ellison,
un racconto imperniato su un umano anomalo, un uomo luminoso. Ellison
era già famoso nel fandom per il suo fanzine intitolato Dimensions. Chi
avrebbe previsto che entro dieci anni Ellison avrebbe cambiato faccia alla
fantascienza?
Con Ellison negli USA e J.G. Ballard in Gran Bretagna emergenti a metà
degli Anni Cinquanta, sostenuta da un numero crescente di scrittori dotati,
era evidente che la science fiction si preparava a nuovi orientamenti e alla
demolizione di altri tabù.
Se mai ci fu una letteratura mutevole, è stata questa, ed il laboratorio in
cui tali cambiamenti vennero provati e collaudati venne rappresentato dalle
riviste specializzate. Come sarebbe stato opaco il mondo, senza di loro!
Note:
(1) Tr. it. Il potere e la gloria, in Porte sul futuro, Fanucci Roma 1978
(Enciclopedia della Fantascienza 2) (N.d.C).
(2) Dalla prefazione di Theodore Sturgeon al suo racconto Thunder and
Roses in My Best Science Fiction Story, a cura di Leo Margulies e Oscar J.
Friend, Merlin Press, New York 1949.
(3) Il principale racconto della quale, Fondazione, è apparso in Imperi
Galattici, a cura di Brian W. Aldiss, Fanucci, Roma 1978. (Enciclopedia
della Fantascienza 3) (N.d.C).
(4) Più noto in Italia come Assalto alla Terra (cfr. GIOVANNI
MONGINI, Storia del cinema di Fantascienza, Fanucci, Roma 1976, vol.
I, pag. 109 - 123) (N.d.C).
(5) Si pronuncia come man tongue, cioè «lingua umana» (N.d.C).
(6) Così sono stati chiamati anche alcuni «esseri» che assomigliano a
robot incontrati da vari testimoni e collegati agli UFO: cfr. JOHN KEEL,
Creature dall'ignoto, Fanucci, Roma 1978, (Futuro Saggi 5) (N.d.C).
(7) Da un commento di Ray Palmer in risposta ad una lettera nella
rubrica della posta Letters su Other Worlds Science Stories, maggio 1955,
pag. 121, edito dalla Palmer Publications, Illinois.
(7 bis) La Arkham House aveva infatti pubblicato i seguenti volumi: The
Outsider and Others (1939), Beyod the Wall of Sleep (1943) e Marginalia
(1944). Shaver, che scrisse il suo primo romanzo nel 1944, avrebbe dovuto
conoscerli. Se l'ipotesi di Ashley sulla influenza dei Miti di Cthulhu su
Shaver e Palmer è esatta, è però più probabile che derivi da The Lurker at
the Threshold, romanzo in «collaborazione postuma» tra Lovecraft e
Derleth (tr. it.: Il Guardiano della Soglia, Fanucci, Roma 1977), in cui la
mitologia di Cthulhu viene minuziosamente spiegata proprio nei termini
esposti da Ashley. In precedenza, nei soli testi di Lovecraft, tante
spiegazioni e precisazioni non esistevano. E del resto Shaver dettagliò tutta
la sua «mitologia di Lemuria» proprio nei romanzi e racconti successivi al
1944 (N.d.C).
(8) Tr. it.: I Controllori vivono invano, in CORDWAINER SMITH,
L'astronave d'oro, Fanucci, Roma 1972 (Futuro Pocket 4) (N.d.C.)
(9) Tr. it.: Il Vascello di Ishtar, Fanucci, Roma 1978 (Futuro 39), con in
appendice un portfolio dei disegni eseguiti da Virgil Finlay per il romanzo.
(N.d.C).
(10) L'edizione italiana è uscita presso Mondadori per una dozzina di
fascicoli senza alcun ordine né logico né cronologico (N.d.C.)
(11) Dal saggio di Robert Heinlein On the Writing of Speculative
Fiction, in Of Worlds Beyond, a cura di Lloyd Arthur Eshbach, Advent,
Chicago, edizione del 1971, pag. 13.
(12) Cfr. Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco, Obiettivo sugli UFO,
Ed. Mediterranee, II Ed. Roma 1978, cap. 3 (N.d.C).
(13) Contributo di Howard Browne a Cheap Thrills di Ron Goulart, Ace
Books, New York, edizione del 1973, pag. 192.
(14) Tr. it.: La sentinella, in Space opera, Fanucci, Roma 1977
(Enciclopedia della Fantascienza 1) (N.d.C).
(15) Tr. it.: Dianetica. Casini, Roma 1951 (N.d.C).
(16) Dal saggio di Alfred Bester, My Affair with Science Fiction, in
Hell's Cartographers, a cura di Brian W. Aldiss e Harry Harrison,
Weidenfeld & Nicolson, Londra, 1975, pag. 58.
(16 bis) In Italia esistono vari centri dell'Hubbard Dianetics Institute: il
primo è stato aperto a Milano nel gennaio 1977, altri in seguito a Brescia,
Novara, Padova, Roma e Pordenone, non senza polemiche secondo alcune
cronache apparse sui quotidiani. (Notiamo come nella carta intestata
dell'Istituto la parola Dianetics è indicata cosi: «marchio registrato di L.
Ron Hubbard per quanto riguarda le sue opere pubblicate»). Esiste infine
un'attività di Hubbard, quella di «mago» e dei suoi rapporti con Aleister
Crowley, su cui poco si sa e pochissimo si è scritto. (N.d.C).
(17) L. Sprague de Camp, Markets and Editors, capitolo 4 di Science
Fiction Handbook, Hermitage House, New York 1953, pag. 115.
(18) Dall'editoriale di H.L. Gold It's All Yours, in Galaxy Science
Fiction, novembre 1950, pag. 3, edito dalla World Editions, New York.
(19) Tr. it.: La Terra morente, in JACK VANCE, Crepuscolo di un
mondo, Fanucci, Roma 1974 (Orizzonti 4) (N.d.C.)
(19 bis) Molti di questi splendidi disegni di Finlay e Lawrence sono stati
pubblicati in appendice ai romanzi Il vascello di Ishtar di A. Merritt, La
fiamma nera di S. G. Weinbaum, Il volto dell'abisso di A. Merritt, editi da
Fanucci nelle collane Futuro e Orizzonti (N.d.C).
(20) Dall'editoriale di John Carnell Good Companions..., in New Worlds,
Estate 1950, pag. 3, edito dalla Nova Publications, Londra.
(21) «Fantascienza Nottetempo» (N.d.C).
(21 bis) «Gli Uomini-fungo di Marte» (N.d.C).
(22) Queste informazioni di Mike Ashley risolvono nel senso
dell'effettiva esistenza di uno scrittore inglese dal nome di Jon J. Deegan
(forse pseudonimo di H.J. Campbell) il «mistero» di chi invece lo riteneva
uno dei tanti pseudonimi dell'italiano Luigi Raguzzi Johannis. Senza
dubbio il breve romanzo L'avanguardia di Andromeda (nell'antologia
Superfantascienza, ELI, Milano 1954) che ha per protagonista l'equipaggio
della Old Growler cioè appunto la Vecchia Brontolona, è uno dei tanti a
firma Jon J. Deegan, apparsi su Authentic Science Fiction dopo il 1951.
Non sembra essere comunque quello citato da Ashley, Reconnoitre Krellig
II (N.d.C).
(22 bis) Dopo questo suo esordio fantascientifico H. J. Campbell, nato a
Londra nel 1925, si è dedicato all'attività scientifica, specializzandosi in
fisiologia e psichiatria, lavorando presso l'Università di Londra, il College
de France e l'Istituto Planck per gli studi sul cervello. Dei suoi numeri
saggi divulgativi, è stato tradotto in italiano solo Le aree del piacere,
Mondadori, Milano 1974 (N.d.C).
(23) Scienza Fantastica era diretta da Lionello Torossi (che utilizzava lo
pseudonimo di Massimo Zeno per la narrativa) e presentava materiale
tratto da Astounding: la proposta di tradurre science fiction con «scienza
fantastica» non ebbe seguito perché la rivista chiuse nel marzo 1953 e
s'impose invece il neologismo di «fantascienza» ideato da Giorgio
Monicelli curatore delle riviste Mondadori. Il 10 ottobre 1952, infatti
furono lanciati I romanzi di Urania (che dal n. 153 divennero
semplicemente Urania), quattordicinale di romanzi; e dal 1 ° novembre
1952 Urania, rivista mensile di racconti, articoli, rubriche, che attingeva la
narrativa da Galaxy e che chiuse dopo 14 numeri col fascicolo datato 1°
dicembre 1953. Sino al 1955, anno preso in considerazione da Mike
Ashley, in Italia uscirono anche: Galassia, diretta da Orfeo Giovanni
Landini (tre numeri dal gennaio al giugno 1953), che non era però
l'edizione italiana di Galaxy; Fantascienza, diretta da Livio Garzanti, che
usci per sette numeri dal novembre 1954 al maggio 1955, prima edizione
italiana di The Magazine of Fantasy and Science Fiction; e Mondi Astrali,
diretta da Eggardo Beltrametti, quattro numeri dal gennaio all'aprile 1955,
la prima rivista di fantascienza interamente scritta da autori nazionali,
nonostante i singolari pseudonimi adottati. Sugli esordi della fantascienza
in Italia, cfr. GIANFRANCO DE TURRIS, Breve storia della fantascienza
in Italia, in Pianeta, Torino, nn. 25, 26, 27, 28 e 30, novembre 1968 -
ottobre 1969; e Storia della fantascienza in Italia, in Roger, Roma, nn. 1,
2, 3, e 4, gennaio - maggio 1973 (N.d.C.).
(24) Cfr. MICHAEL ASHLEY, Un sorprendente esperimento, in Porte
sul Futuro, Fanucci, Roma 1978 (Enciclopedia della Fantascienza 2)
(N.d.C).
(25) Cfr. GIOVANNI MONGINI, Storia del cinema di fantascienza, cit,
pag. 20-21, e TEO MORA, Storia del cinema dell'orrore, Fanucci, Roma
1977, pag. 83 (N.d.C).
(26) Cfr. GIOVANNI MONGINI, Storia del cinema di fantascienza cit.
(N.d.C).
(27) Dall'editoriale di Samuel Mines The Ether Vibrates, in Startling
Stories, agosto 1953, pag. 6, edito dalla Better Publications, New York.
(28) «Storie sconvolgenti» (N.d.C).
(29) Dall'editoriale di Samuel Mines The Ether Vibrates cit.
(29 bis) I romanzi a firma «Astron del Martia» sono stati in totale
quattro, il primo dei quali sembra essere in effetti di Fearn. Dopo la morte
dello scrittore, avvenuta nel 1960, è stato pubblicato un suo romanzo
ancora inedito proprio con questo pseudonimo per aggirare le obiezioni
degli eredi: cfr. RICCARDO VALLA, Presentazione a ASTRON DEL
MARTIA, Il cervello esploso, Nord, Milano s.d. (N.d.C).
(29 ter) Cfr. GIOVANNI MONGINI, Storia del cinema di fantascienza
cit. (N.d.C).
(30) Tr. il.: Prima Belladonna, in J. G. BALLARD, I segreti di
Vermilion Sands, Fanucci, Roma 1976 (Orizzonti 9) (N.d.C).
(31) Tre con quella svoltasi nel 1979 a Brighton (N.d.C).
(32) Tr. it. Ora tocca al wub, in PHILIP K. DICK, Le voci di dopo,
Fanucci, Roma 1976 (Futuro 6) (N.d.C).
(33) Tr. it. I difensori della Terra, in PHILIPK. DICK, I difensori della
Terra, Fanucci, Roma 1977 (Futuro 34) (N.d.C).
1946: «Astounding»
Theodore Sturgeon
Monumento
L'Abisso, nell'anno 5000 d.C, era cambiato poco nel corso dei secoli.
Era ancora un atroce monumento all'uso sbagliato di un grande potere; e
per questa ragione, la guerra organizzata era stata dimenticata. Per questa
ragione, il mondo era libero dal fumo e dal sudiciume dell'industria. Il
sibilo e lo schianto delle bombe e il ritmo soporifico dei piedi in marcia
non si udivano mai, e finalmente la Terra era in pace.
Avvicinarsi all'Abisso era una morte lenta e certa, ed era rispettato e
temuto, e lo sarebbe stato ancora per molti secoli. Di notte ammiccava e
lampeggiava rosso, ed era circondato da un tratto nudo e dissestato che si
estendeva fino all'orizzonte; e intorno balenava una spettrale luce azzurra.
Nulla vi viveva. Nulla vi poteva vivere.
Con un simile monumento alla guerra poteva esserci soltanto la pace. La
Terra non avrebbe mai potuto dimenticare l'orrore che una guerra poteva
scatenare.
Quello era il sogno di Grenfell.
Grenfell rese il foglio dattiloscritto. «Ecco Jack. È la mia idea... vorrei
saperla esprimere così.» Si appoggiò al banco da lavoro ingombro, con
un'espressione ironica sulla faccia stranamente asimmetrica. «Perché
occorre una persona inutile per esprimere adeguatamente un'idea astratta?»
Jack Roway sorrise, riprendendo il foglio e riponendolo nel taschino.
«Domanda interessante, Grenfell, perché questa è la tua espressione, le
parole sono tue. Praticamente alla lettera. Ho lasciato fuori gli 'ehm' e gli
'ah' con cui giochi quando parli, e ho messo in fila tutti gli effetti che hai
menzionato, senza menzionare le cause tecnologiche. Risultato netto: tu
pensi che l'abbia fatto io, mentre l'hai fatto tu. Tu pensi che sia scritto bene,
io no.»
«Tu no?»
Jack stese il suo lungo corpo ossuto sul piccolo divano duro. Quando si
rilassava era un gesto che si notava, come lo sbottonarsi del colletto d'una
camicia. Il suo corpo sembrava snodarsi un po'. Rise.
«No di certo. Troppo emotivo per i miei gusti. Io sono soltanto un esteta
pasticcione... inutile, hai detto? Uhm... già. Immagino che sia così.» Fece
una pausa, pensieroso. «Vedi, voi personaggi a sangue freddo, voi
scienziati, siete i veri visionari. A me sembra che la differenza essenziale
tra uno scienziato ed un artista stia nel fatto che lo scienziato mescola la
sua speranza alla pazienza.
«Lo scienziato visualizza la sua meta ultima, ma le presta scarsa
attenzione. È completamente preso dall'impegno di salire sul prossimo
gradino. L'artista guarda tanto avanti che molto spesso non vede quel che
ha sotto i piedi: perciò cade lungo disteso e viene chiamato inutile dagli
scienziati. Ma se togli tutti i passi intermedi al pensiero dello scienziato,
hai un concetto artistico, cui lo scienziato reagisce con distacco e stupore,
attribuendo a qualche artista il merito di essere profondamente perspicace,
solo perché l'artista ha ripetuto qualcosa che ha detto lo scienziato.»
«Mi sorprendi,» disse candidamente Grenfell. «Non saresti quel che sei
se non fossi pigro e superficiale. Eppure te ne vieni fuori con cose del
genere. Non so se ho capito quello che hai appena detto. Dovrò pensarci...
ma credo che tu presenti tutti i segni di un pensiero chiaro. Con una mente
come la tua, non capisco perché non l'adoperi per costruire qualcosa,
invece di sprecarla con queste tue disinvolte interpretazioni.»
Jack Roway si stirò voluttuosamente. «A che serve? È più grande lo
spreco della distruzione di qualcosa che è già stato costruito che nella
dispersione dell'energia che sarebbe necessaria per contribuire alla
costruzione di qualcosa. Comunque, il mondo è pieno di costruttori... e
distruttori. A me piacerebbe starmene seduto a guardare, e sentire le cose.
Il mio ambiente mi piace, Grenfell. Voglio sentire tutto quel che posso,
finché dura. Non durerà ancora molto. Voglio toccare tutto quel che posso
raggiungere, assaporarlo e udirlo finché c'è tempo. Quello che mi sta
intorno, nel presente, ecco quel che è importante per me. L'accelerazione
del progresso umano, e l'aumento della sua massa - per usare i tuoi termini
- stanno portando l'umanità al Limbo. Tu, con il tuo lavoro, credi di
combattere l'inerzia dell'umanità. Beh, è vero. Ma è quel tipo d'inerzia che
viene chiamato momentum, quantità di moto. Non disponi della forza
necessaria per arrestarla, e neppure per mutarne sensibilmente il corso.»
«Ho l'energia atomica.»
Roway scosse il capo, sorridendo. «Non basta. Nessuna energia basta. È
troppo tardi.»
«Questo tipo di pessimismo non mi tocca,» disse Grenfell. «Puoi
continuare a rodere le mie fondamenta quanto vuoi, Jack, e non otterrai
altro che la perdita degli incisivi. Credo che tu lo sappia.»
«Certo che lo so. Non sto cercando di farlo. Non ho niente da vendere,
non voglio cambiare nessuno. Sono ancora più impotente di te e della tua
energia atomica; e tu sei completamente impotente. Uh... contesto il modo
con cui usi il termine «pessimista», comunque. Non lo sono. Poiché ho
accertato per me stesso che l'umanità, quale la conosciamo, è finita, sono
rassegnato. Il pessimismo da parte mia, date le circostanze, sarebbe il
pessimismo di un fotofobico il quale predice che domani sorgerà il sole.»
Grenfell sogghignò. «Dovrò pensare anche a questo. Sei una tale massa
di paradossi che si trasformano in concatenazioni di ragionamenti.
Apparentemente, vivi in un mondo in cui gli scienziati sono poeti, e la
cavalletta ha la meglio sulla formica.»
«Ho sempre pensato che la formica sia una carogna.»
«Perché continui a venire qui, Jack? Che cosa ne ricavi? Non capisci che
io sono un criminale?»
Roway socchiuse gli occhi. «Qualche volta penso che tu vorresti essere
un criminale. La legge afferma che lo sei, ed è molto probabile che tu
venga preso e trattato come tale. Moralmente, tu sai di non esserlo. E
questo toglie un po' al sapore di appartenere alla categoria dei ricercati.»
«Forse hai ragione,» disse pensieroso Grenfell. Sospirò. «È
assolutamente sciocco. Durante gli anni della guerra, a causa della mia
specializzazione il governo mi ha agguantato e sbattuto nel Progetto
Manhattan, aspettandosi miracoli... e ottenendoli. Non ho mai smesso di
lavorare lungo le stesse direttrici. E adesso il governo ha cambiato le leggi,
e mi ha buttato fuori dalla legalità.»
«Non è sorprendente. Il governo tratta con severità i militari che
continuano ad ammazzare altri militari, quando la guerra è finita.» Roway
alzò la mano per frenare l'interruzione di Grenfell. «Lo so, tu non stai
uccidendo nessuno, e stai lavorando per ottenere il risultato opposto. Stavo
solo osservando che è la stessa cosa. Noi, il popolo,» disse didatticamente,
«abbiamo deciso, nel nostro potere sovrano, che nessuna ricerca atomica
dovrà essere effettuata al di fuori dei laboratori governativi. Abbiamo
quindi permesso ai nostri politici di stanziare somme così misere per il
mantenimento di quei laboratori - a differenza dei nostri amici d'oltremare
- che in essi non si può svolgere una ricerca davvero esauriente. Inoltre
abbiamo stabilito che sia un grave reato mandare avanti un laboratorio
clandestino come il tuo.» Scrollò le spalle. «Viene la fine dell'umanità.
Saremo travolti per primi. Se investissimo più denaro e più impegno nella
ricerca nucleare, più di tutti gli altri paesi, verrebbe travolta per prima
un'altra nazione. Se dureremo ancora cento anni - il che sembra molto
dubbio - qualche povero ricercatore governativo s'imbatterà nel sistema di
riscaldamento all'isotopo che tu hai già perfezionato.»
«È stata dura,» disse amaramente Grenfell. «Costringermi alla
clandestinità proprio in tempo per impedirmi di annunciarlo. Che spreco di
tempo e d'energia è riscaldare case ed edifici con il sistema attuale! Il
riscaldamento dello spazio - il più grande uso singolo dell'energia termica -
ed io ho lì la soluzione.» Indicò con un cenno del capo un compatto cubo
di leghe di piombo, in un angolo del laboratorio. «Incorporalo nelle
fondamenta, e avrai calore controllabile per tutta la durata dell'edificio, e
senza spendere un centesimo per aggiungere combustibile né per la
manutenzione.» I muscoli della sua mascella si contrassero. «Beh, sono
contento che sia andata così.»
«Perché ti ha avviato verso il tuo monumento bellico... L'Abisso? Già.
Bene, posso dire solo questo: mi auguro che tu abbia ragione. Non è stato
ancora possibile spaventare l'umanità. L'invenzione della polvere da sparo
doveva fermare la guerra e non l'ha fatto. Idem il sommergibile, il siluro,
l'aereo, e la bomba che hanno sganciato su Hiroshima.»
«L'Abisso è diverso,» fece Grenfell. «Hai ragione: l'umanità non si è
spaventata ancora abbastanza per rinunciare alla guerra; ma la bomba di
Hiroshima l'ha sconvolta. Il mio piccolo monumento è molto reale. Non mi
affido ad un effetto di fissione, capisci, con la liberazione di un decimo
dell'uno per cento dell'energia dell'atomo. Io intendo disintegrarlo
completamente, e sfruttarne tutta l'energia. E sarà più di mille volte più
potente della bomba di Hiroshima, perché userò una quantità d'esplosivo
dodici volte superiore; ed esploderà al suolo, non a cinquanta metri
d'altezza.» La fronte di Grenfell, sopra gli occhi ardenti, cominciò a
inumidirsi di sudore. «E poi... L'Abisso,» disse sottovoce. «Il monumento
bellico che porrà fine alla guerra e a tutti gli altri monumenti alla guerra.
Un abisso enorme, vivo di lava ribollente, che irradierà morte per
diecimila anni. Un ricordo vivo della devastazione che l'umanità ha
preparato per se stessa. Qui fuori, nel deserto, dove non ci sono città, dove
la terra è sempre stata inutile: questa sarà la scena della cosa più utile nella
storia della nostra razza... un sermone interminabile, un ammonimento, un
esempio della spaventosa antitesi alla pace.» La voce tremante diventò un
bisbiglio e si spense.
«Qualche volta,» disse Roway, «tu mi fai paura, Grenfell. Mi ricordo che
sono un edonista che assaporo tutto quel che posso, perché ho paura di
sentire troppo ogni cosa.» Si scosse, o rabbrividì. «Sei un fanatico,
Grenfell. Iperemotivo, monomaniaco. Spero che tu ci riesca.»
«Ci riuscirò,» disse Grenfell.
Trascorsero due mesi, e in quei due mesi l'impegno di Grenfell venne
forzatamente accantonato dalla pressione crescente degli eventi. Un
pomeriggio, mentre guardava una banda di vigilantes che si spingeva a
cavallo nel deserto, a Sud dei suoi piccoli edifici, pensò cupamente a
quello che aveva detto Roway: «Qualche volta vorrei che fossi un
criminale.» Roway, il sensualista, avrebbe detto così. Roway avrebbe
apprezzato il sapore del pericolo, allo stesso modo in cui apprezzava tutte
le altre emozioni. Via via che s'intensificava, doveva attendere di
assaporarla, pur quanto diventasse sgradevole.
Per due volte, Grenfell spense l'energia della pila carbonio-alluminio che
aveva costruito, quando vide elicotteri del governo che si libravano
sull'orizzonte accidentato. Sapeva dell'esistenza dei rivelatori di radiazioni
pure; ne aveva realizzati due tipi diversi durante la guerra, e non voleva
che gli facessero domande. La totale frustrazione per l'impossibilità di
annunciare il completo successo del suo impianto termico, per timore di
venir punito come criminale, per paura che il suo congegno venisse
sequestrato e dimenticato... quella frustrazione era stata indescrivibile.
Aveva incanalato la sua mente, e aveva intensificato i suoi sforzi a favore
di ciò in cui aveva creduto durante la guerra. Tutti i casi di trauma neurale
che aveva incontrato negli uomini che erano stati colpiti dalla guerra e la
disprezzavano, lo spingevano a lavorare ancora più accanitamente al suo
monumento... L'Abisso. Perché, se gli umani potevano spaventarsi per la
guerra, l'umanità intera poteva spaventarsi per L'Abisso.
E quelli che aveva conosciuto, che erano stati colpiti dalla guerra e
odiavano ancora l'ex nemico - coloro che sarebbero stati felici di
ricominciare a uccidere ancora, considerando che il rischio vitale ne valeva
la pena - lui li considerava pazzi, e li dimenticava.
Quindi non poteva sopportare un'altra frustrazione. Era il centro del
proprio universo, e se ne rendeva conto spaventosamente, e doveva
giustificare la sua posizione. Era un umanitario, un filantropo nel senso più
autentico. Probabilmente era pazzo come qualunque altro uomo che, con i
suoi sforzi, ha mosso il mondo.
Per la prima volta, quindi, fu lieto quando Jack Roway arrivò con la
vecchia decapottabile scassata, sebbene si spaventasse terribilmente al
rombo del motore davanti alla finestra del suo laboratorio. Di solito, la sua
reazione all'arrivo di Jack era un insieme d'irritazione e di gratificazione,
perché era una faccenda seria arrivare fin là. L'irritazione non era dovuta
all'interruzione, perché Jack non dava certo disturbo. Grenfell sospettava
che Jack venisse a trovarlo un po' per togliersi dalla bocca il sapore della
città, ed un po' per potersi considerare superiore a qualcuno che
considerava importante.
Ma la crescente paura di venire scoperto, e la corsa per completare la sua
opera prima che gli venisse sottratta dall'isterismo del pubblico, aveva
l'effetto insolito di farlo sentire solo. Per un uomo come Grenfell sentirsi
solo era straordinario; perché nella sua vita quotidiana c'erano troppe cose
da fare. Non c'erano mai abbastanza ore in un giorno o in una settimana,
per lui, e si risentiva delle pause del sonno, che considerava uno spreco
colpevole.
«Roway!» balbettò, spalancando la porta; il suo tono era così caldo che
Roway inarcò le sopracciglia per lo stupore. «Che cosa ti ha trascinato fin
qui?»
«Niente in particolare,» disse lo scrittore, mentre si stringevano la mano.
«Niente più del solito, che è già parecchio. Come va?»
«Ho quasi finito.» Entrarono, e mentre la porta si chiudeva, Grenfell si
girò verso Jack. «Ho finito da tanto tempo che quasi mi vergogno di me
stesso,» disse, assorto.
«Ah! Un'ardente confessione a quest'ora del giorno! Di che cosa stai
parlando?»
«Oh, ci sono state varie cose da fare,» rispose Grenfell, irrequieto. «Ma
potrei procedere con la... con la cosa più grande, quasi da un momento
all'altro.»
«Tu odii l'idea di aver finito. Non avevi mai visualizzato cosa avresti
provato quando avessi finito.» I denti di Roway balenarono. «Sai, non ti ho
mai sentito dire quali sono i tuoi progetti, dopo il grosso bum. Hai
intenzione di nasconderti?»
«Io... non ci ho pensato molto. Avevo la vaga idea di trasmettere un
avvertimento ed una spiegazione prima di dare l'avvio all'esplosione.
Tuttavia ho deciso di non farne niente. Innanzi tutto, verrei fermato dopo
pochi minuti, per quanto fossi prudente con la trasmissione. In secondo
luogo... beh, sarà una cosa tanto grande che non avrà bisogno di
spiegazioni.»
«Nessuno saprà chi è stato, né perché è stato fatto.»
«È necessario?» chiese sottovoce Grenfell.
Il viso mobile di Jack si contrasse, mentre visualizzava l'Abisso che
riversava il suo inferno per diecimila anni. «Forse no,» disse. «Ma non è
necessario per te?»
«Per me?» Chiese Grenfell, sorpreso. «Vuoi dire, se ci tengo che il
mondo sappia o no che sono stato io? No: naturalmente non ci tengo. Si
presenta una catena di circostanze, che si è prodotta per mio tramite. Porta
direttamente all'Abisso: l'Abisso farà tutto quanto sarà necessario, a partire
da quel momento. Io non c'entro più.»
Jack si mosse, rumorosamente, intorno al lavello nell'angolo del
laboratorio. «Dov'è finito tutto il tuo caffè? Oh... eccolo. Uh... ero curioso
di conoscere i motivi personali del tuo lavoro. Credo che questa sia una
risposta sufficiente. E penso, anche, che tu creda in quel che stai dicendo.
Sai che gli individui che fanno qualcosa per motivi impersonali sono rari
quanto il pelo sui pesci?»
«Non ci avevo pensato.»
«Credo anche questo. Zucchero? E latte. Lo ricordo. Hai ascoltato la
radio?»
«Sì. Sono... un po' sconvolto, Jack,» fece Grenfell, prendendo la tazza.
«Non so calcolare il momento migliore per questo. Io sono un tecnico, non
un Machiavelli.»
«Sei un visionario, come ho detto. Non sai se lancerai questo tuo
gingillo nella storia del mondo troppo presto o troppo tardi... è così?»
«Esattamente. Jack, il mondo intero sembra impazzire. Persino le bombe
a fissione sono troppo grandi perché l'umanità possa maneggiarle.»
«Che altro puoi aspettarti,» fece cupamente Jack, «quando i nostri cari
amici d'oltreoceano stanno seduti davanti ai loro pulsanti, in attesa di un
pretesto per premerli?»
«E anche noi abbiamo i nostri pulsanti, naturalmente.»
Jack Roway ribatté: «Dobbiamo difenderci.»
«Stai scherzando?»
Roway lo guardò, e le sue sopracciglia scure disegnarono una V. «Non
su questo. Scherzo molto di rado, su qualunque cosa, e soprattutto non su
questo.» E rabbrividì.
Grenfell lo fissò sbalordito e poi cominciò a ridacchiare. «Adesso,»
notò, «ho proprio visto tutto. Il mio amico iconoclasta Jack Roway,
travolto da... da una moda. Un passatempo nazionale, alimentato
dall'incertezza e dal giornalismo allarmistico... la paura del nemico.»
«Il nostro paese non è in guerra.»
«Vuoi dire che non abbiamo un nemico? Stai dicendo che quei signori
d'oltreoceano, con le dita che prudono a pochi centimetri dai pulsanti, non
sono nostri nemici?»
«Beh...»
Grenfell attraversò la stanza, avvicinandosi all'amico, e gli posò la mano
sulla spalla. «Jack... cosa succede? Non puoi essere tanto turbato dalle
notizie... proprio tu!»
Roway guardò fuori, verso il sole bronzeo, e scosse lentamente il capo.
«L'equilibrio internazionale è troppo delicato,» disse sommessamente, e la
sua voce ardeva come i suoi occhi. «Vedo le nazioni del mondo come
masse bilanciate sulla rispettiva punta matematica, ognuno con il suo
centro di gravità direttamente al di sopra. Ma le masse sono fluide, e si
allontanano violentemente dalle linee centrali. Le tendenze opposte non si
equivalgono, non possono annullarsi reciprocamente; la messa in fase è
troppo lenta. L'una o l'altra si rovescerà, e allora salterà in aria tutto.»
«Ma questo lo sai da molto tempo. L'hai sempre saputo, dopo
Hiroshima. Forse anche da prima. Perché dovrebbe spaventarti proprio
adesso?»
«Non credevo che sarebbe accaduto tanto presto.»
«Oh-oh! Dunque è questo! Ti sei reso improvvisamente conto che
l'esplosione avverrà durante la tua vita. Uhm? E non lo sopporti. Sei
capace di tutte le tue soddisfacenti razionalizzazioni estetiche finché riesci
a tenere a distanza la realtà!»
«Fiuu!» fece Roway: il suo insopprimibile umorismo gli passò
abbastanza vicino per rivolgergli un cenno. «Parla più semplicemente,
Grenfell! Serba i tuoi... i tuoi polisillabili sesquipedali per una relazione
scientifica.»
«Touché!» Grenfell sorrise. «Sai, Jack, mi ricordi certi miei amici d'un
tempo che scrivono fantascienza. Erano vissuti vicinissimi all'energia
atomica per molto tempo... anni prima dell'uomo della strada... e del
politicante medio, anzi... sapevano distinguere un atomo da un carciofo.
L'energia atomica era ben nota a quei mercanti di parole specializzate
perché dava loro una fonte illimitata d'energia come sfondo di una fonte
illimitata di materiale. Ai tempi del Progetto Manhattan, molti di loro
sospettavano quello che stava succedendo, alcuni sapevano... alcuni,
addirittura, ci lavoravano. Erano tutti consapevoli delle potenzialità
terribili dell'energia nucleare. E tutti, praticamente, erano spaventati a
morte da quell'idea. Avevano paura per l'umanità, ma non avevano paura
personalmente, se non in un modo delizioso, da salotto, perché non
riuscivano a concepire questo evento alla Buck Rogers se non come
qualcosa che sarebbe accaduto ai posteri. Ma è accaduto, e durante la loro
vita.
«E che mi venga un colpo se tu non stai facendo lo stesso. Per te è stata
una scossa comprendere la sorte che attende l'umanità in una guerra
atomica. L'hai trasceso, consciamente, giudicandolo inevitabile, e nel
frattempo, raccogliamo le rose prima che cominci a piovere. Pensavi che
saresti arrivato a casa - che saresti morto - prima che cadessero le prime
gocce. Adesso il progresso sociale ha accumulato nubi temporalesche e tu
ti trovi ad un chilometro da casa, con i calzoni stazzonati e senza ombrello.
E hai paura!»
Roway fissò il pavimento e disse: «È così presto. È così presto.» Alzò
gli occhi verso Grenfell: i suoi zigomi sembravano troppo sporgenti.
Trasse un profondo respiro. «Tu... tu puoi farla finita, Grenfell.»
«Finita con che cosa?»
«La guerra... la... questa cosa che ci sta capitando. L'esplosione che verrà
quando le tensioni saranno troppo forti, nella situazione internazionale. E
bisogna impedirlo!»
«È per questo che serve l'Abisso.»
«L'Abisso!» disse sprezzante Roway. «Ti ho già dato del visionario,
Grenfell, devi essere più pratico! L'umanità non imparerà niente
dall'esempio. Bisogna prenderla a calci e tagliuzzarla. Chirurgia.»
Grenfell socchiuse gli occhi. «Chirurgia? Quello che hai detto un
momento fa sulle mie intenzioni... intendi veramente quello che penso io?»
«Non capisci?» disse Jack, incalzante. «Quello che hai qui... l'energia
distruttiva totale... il culmine dell'energia atomica. Uno o due esempi come
questi, nei posti giusti, e possiamo fermare chiunque.»
«Questa non è un'arma. Non l'ho creata perché fosse un'arma.»
«Neppure la prima pietra scagliata da un uomo preistorico era fatta per
essere un'arma. Ma era a portata di mano ed era efficace, e venne usata
sicuramente perché doveva essere usata.» Alzò improvvisamente le mani
in un gesto disperato. «Tu non capisci. Non ti rendi conto che il nostro
paese verrà probabilmente aggredito da un istante all'altro... che la
diplomazia è ormai impotente, e tutto il mondo aspetta soltanto che
incominci? Probabilmente è troppo tardi già adesso... ma è il meno che
possiamo fare.»
«E che cosa, specificamente, è il meno che possiamo fare?»
«Consegnare la tua creazione al Ministero della Guerra. In poche ore il
governo potrà spedirla dove sarà più utile.» Si passò il dito sulla gola.
«Dovunque vogliamo, oltreoceano.»
Vi fu un silenzio teso. Roway guardò l'orologio e si umettò le labbra.
Finalmente Grenfell disse: «Consegnarla al governo. Usarla come arma... e
perché? Per evitare la guerra?»
«Certo!» proruppe Roway. «Mostrare al resto del mondo che il nostro
modo di vivere... spaventare a morte i... i...»
«Finiscila!» ruggì Grenfell. «Niente da fare. Tu pensi... speri... che il
ricorso alla disintegrazione totale come arma escluderà l'inevitabile...
almeno durante la tua vita. No?»
«No. Io...»
«No?»
«Beh. Io...»
«Hai altre poesie zoppicanti da scrivere,» disse Grenfell, in tono
bruciante. «Hai altre bionde da corteggiare. Vuoi andare ancora un po' in
estasi davanti ad altre fughe di Bach.»
Jack Roway disse: «Nessuno sa dove potrebbe cadere la prima bomba.
Potrebbe essere dappertutto. Non esiste un posto dove io... dove noi
possiamo andare per metterci al sicuro.» Stava tremando.
«La gente, in città, trema così?» chiese Grenfell.
«Disordini,» mormorò Roway, con gli occhi accesi dal panico. «La radio
non parla dei disordini.»
«È per questo che sei venuto qui oggi... per cercare di convincermi a
consegnare la disintegrazione integrale ad un governo?»
Jack lo guardò con aria colpevole. «Era l'unica cosa da fare. Non so se la
tua bomba basterà, ma bisogna tentare. È la sola cosa che ci resta. Bisogna
essere pronti a colpire per primi, e più duramente di chiunque altro.»
«No.» Il monosillabo di Grenfell era assolutamente incrollabile.
«Grenfell... pensavo di riuscire a convincerti. Non vederla così. Devi
farlo. Ti prego, fallo. Ti prego, Grenfell.» Si alzò lentamente.
«Devo farlo... o che cosa? Stammi lontano!»
«No... Io...» Roway s'irrigidì all'improvviso, ascoltando. Lontano,
dall'alto e dal Nord, giunse il ronzio delle pale rotanti. Le labbra di Roway,
rese flaccide dalla paura, si contrassero in un sogghigno, e con due passi
incredibilmente rapidi si accostò a Grenfell. Afferrò lo scienziato per la
camicia e lo sollevò dal pavimento.
«Non azzardarti a far niente,» sibilò. Poi non vi fu altro suono che il loro
respiro concitato, fino a quando Grenfell disse, stancamente. «C'era uno
chiamato Giuda...»
«Non puoi insultarmi,» disse Roway, con una sfumatura della sua
vecchia baldanza. «E ti stai lusingando.»
Un elicottero scese nella sua ruggente nube di polvere davanti
all'edificio. Alcuni uomini ne balzarono fuori e varcarono la soglia. Erano
tre. Non erano in uniforme.
«Dottor Grenfell,» disse Jack Roway, senza lasciare la presa, «voglio
presentarti...»
«Lasci perdere,» disse il più alto dei tre, in tono secco. «Lei è Roway?
Uhm. Dottor Grenfell, mi risulta che lei abbia qui un ordigno nucleare.»
«Perché sei venuto?» chiese sottovoce Grenfell a Roway. «Perché non ti
sei limitato a mandare questi gorilla?»
«Per te, anche se ti sembrerà strano. Speravo di riuscire a convincerti a
consegnare volontariamente l'ordigno. Sai cosa accadrà se ti opporrai?»
«Lo so.» Grenfell sporse le labbra per un momento, e poi si rivolse
all'uomo più alto. «Sì, ho qui qualcosa del genere. Disintegrazione atomica
totale. È questo che sta cercando?»
«Dov'è?»
«Qui, nel laboratorio, e poi c'è la pila nell'altro edificio. Troverà...»
Esitò. «Troverà due campioni del concentrato. Uno è là...» Indicò una
cassetta di piombo su uno scaffale, dietro uno dei banchi. «E ce n'è un altro
in una cassetta eguale nel capanno dietro l'edificio della pila.»
Roway sospirò e lasciò andare Grenfell. «Bravo. Sapevo che saresti stato
ragionevole.»
«Sì,» fece Grenfell. «Sì...»
«Vai a prenderlo,» disse l'uomo alto: uno degli altri si mosse.
«Ci vorranno due uomini per portarlo,» disse Grenfell, con voce turbata.
Aveva le labbra sbiancate.
L'uomo alto estrasse una pistola, impugnandola pigramente. Fece un
cenno al secondo uomo. «Vai a prenderlo. Portalo qui, e li metteremo
insieme e li trascineremo all'elicottero. Sbrigati.»
I due uomini si avviarono verso il capanno.
«Jack?»
«Si, Doc.»
«Credi davvero che l'umanità possa spaventarsi?»
«Sì... adesso. Quella cosa si può usare nel modo giusto.»
«Lo spero. Oh, lo spero tanto,» mormorò Grenfell.
Gli uomini ritornarono. «Sul banco,» fece il capo, indicando la cassetta
portata dai due.
Mentre salivano sul banco e mettevano le mani sulla seconda cassetta,
per tirarla giù dallo scaffale, Jack Roway vide che il volto di Grenfell era
madido di sudore, ed un orrore improvviso l'invase.
«Grenfell!» disse con voce rauca. «È...»
«Certo,» mormorò Grenfell. «Massa critica.»
Poi esplose.
Fu come a Hiroshima, ma molto più in grande. Eppure, quell'esplosione
non creò l'Abisso. Fu la pila a crearlo... la griglia di alluminio-boro che
Grenfell aveva così faticosamente messo insieme nel corso degli anni, con
i pezzi rimediati clandestinamente. Proprio lì, nel cuore dell'esplosione
causata dalla fissione, la disintegrazione totale si operò nella pila, perché la
sua funzione era quella. Fu però lenta. Occorse più di un'ora perché la sua
attività infernale raggiungesse il culmine, e nel frattempo un enorme
cratere s'era aperto nella terra, una massa ribollente e traboccante di
elementi volatilizzati, radiazioni grezze e gas incandescenti. Era...
L'Abisso. La curva della sua attività salì bruscamente... giungendo al
culmine in un'ora e in otto minuti, e poi vi fu un graduale rallentamento,
mentre cercava di alimentarsi estendendosi, con un minore effetto di
carburazione, e mentre consumava le proprie scorie fiammeggianti nello
sforzo di raggiungere l'attività. La pioggia avrebbe contribuito a soffocarlo,
per l'energia perduta nel volatilizzare le gocce; e ognuno dei molti elementi
passò alla rispettiva attività secondaria, e incominciò il proprio periodo di
decadenza. La cessazione dell'attività dell'Abisso avrebbe richiesto tra gli
otto ed i novemila anni.
E come quella di Hiroshima, l'esplosione ebbe effetti che passarono alla
storia e nei cuori degli uomini, in luoghi lontanissimi nel tempo del
cataclisma.
Avvenne questo.
Non fu possibile nascondere l'esplosione, e c'era troppo isterismo in giro
perché si avesse qualche conferma. Era molto più facile pubblicare titoli
che annunciavano: Ci hanno attaccati. Vi fu un'immeditata, atterrita
richiesta di rappresaglie, ed il governo acconsentì, perché quelle
«rappresaglie» andavano bene per la politica di certi personaggi che
potevano disporre dei poteri d'emergenza. E così scoppiò la prima guerra
atomica.
E la seconda.
Dopo non ci furono altre guerre atomiche. La guerra dei mutanti fu una
cosa barbara, ed i mutanti sconfissero i resti laceri e quasi del tutto sterili
dell'umanità, perché i mutanti erano forti. E poi i mutanti si estinsero
perché erano inadatti a vivere. Per qualche tempo vi fu materiale molto
interessante da studiare sugli effetti delle radiazioni sull'ereditarietà: ma
non c'era nessuno che potesse studiarlo.
Erano rimasti alcuni umani. I ratti li uccisero quasi tutti, dopo essersi
riprodotti in numero sterminato; e vi furono tre epidemie.
Poi vi furono soltanto esseri nudi e curvi, la cui eredità distorta si poteva
far risalire all'umanità; ma costoro potevano spaventarsi, sia come
individui che come razza, e quindi non potevano progredire. Certamente
non erano umani.
L'Abisso, nell'anno 5000 d.C, era cambiato poco nel corso dei secoli.
Era ancora un atroce monumento all'uso sbagliato di un grande potere; e
per questa ragione, la guerra organizzata era stata dimenticata. Per
questa ragione, il mondo era libero dal fumo e dal sudiciume
dell'industria. Il sibilo e lo schianto delle bombe e il ritmo soporifico dei
piedi in marcia non si udivano mai, e finalmente la Terra era in pace.
Avvicinarsi all'Abisso era una morte lenta e certa, ed era rispettato e
temuto, e lo sarebbe stato ancora per molti secoli. Di notte ammiccava e
lampeggiava rosso, ed era circondato da un tratto nudo e dissestato che si
estendeva fino all'orizzonte; e intorno balenava una spettrale luce
azzurra. Nulla vi viveva. Nulla vi poteva vivere.
Con un simile monumento alla guerra poteva esserci soltanto la pace.
La Terra non avrebbe mai potuto dimenticare l'orrore che una guerra
poteva scatenare.
Quello era il sogno di Grenfell.
Titolo originale:
Memorial
(Astounding Science Fiction, aprile 1946).
1947: «Fantasy»
Arthur C. Clarke
I Fuochi dell'Abisso
Titolo originale:
The Fires Within
(Fantasy, agosto 1947).
Henry Kuttner
Adesso non guardi
Titolo originale:
Don't Look Now
(Startling Stories, marzo 1948).
Ray Bradbury
Caleidoscopio
E aveva ragione. Con una sensazione gelida, come se l'acqua fredda gli
scorresse sulla testa e sul corpo, Hollis sapeva che aveva ragione. C'erano
differenze tra i ricordi e i sogni. Lui aveva soltanto i sogni delle cose che
aveva desiderato fare, mentre Lespere aveva i ricordi delle cose fatte e
compiute. E quella certezza cominciò a fare a pezzi Hollis, con lenta,
fremente precisione.
«A che ti serve?» gridò a Lespere. «Adesso? Quando una cosa è finita
non serve più a niente. Non stai meglio di me.»
«Sono tranquillo,» disse Lespere. «La mia parte l'ho avuta. Non sto
diventando carogna alla fine, come te.»
«Carogna?» Hollis rigirò quella parola sulla lingua. Non era mai stato
carogna in vita sua, a quanto poteva ricordare. Non aveva mai osato
esserlo. Doveva aver conservato la cattiveria per tutti quegli anni, in attesa
di un momento come l'attuale. «Carogna.» Rigirò la parola nella mente.
Sentì le lacrime spuntargli dagli occhi e rotolargli giù per la faccia.
Qualcuno doveva averlo sentito ansimare.
«Calmati, Hollis.»
Era ridicolo, naturalmente. Solo un minuto prima, lui aveva dato
consigli agli altri, a Stimson, aveva sentito un coraggio che aveva creduto
autentico, e adesso sapeva che non era stato nient'altro che il trauma e
l'obiettività possibile nel trauma. Adesso cercava di comprimere tutta una
vita d'emozioni represse in un intervallo di pochi minuti.
«So quello che provi, Hollis,» disse Lespere, che adesso era lontano
ventimila chilometri, con la voce che svaniva. «Non me la prendo come
una faccenda personale.»
Ma non siamo uguali? Si chiese la sua mente sconvolta. Lespere ed io?
Qui, adesso? Se una cosa è finita è finita, e a che serve? Muori lo stesso.
Ma sapeva che stava razionalizzando, perché era come tentare di stabilire
la differenza tra un uomo vivo ed un cadavere. In uno c'era una scintilla
che non c'era nell'altro, un'aura, un elemento misterioso.
Dunque era così, per Lespere e per lui; Lespere aveva vissuto una vita
piena, e questo aveva fatto di lui un uomo diverso, mentre lui, Hollis, era
praticamente morto da molti anni. Arrivavano alla morte per strade diverse
e, con ogni probabilità, se c'erano tipi diversi di morte, le loro sarebbero
state differenti come la notte e il giorno. La qualità della morte, come
quella della vita, doveva essere di una varietà infinita, e se uno era già
morto una volta, cosa doveva cercare per morire una volta per tutte, come
adesso?
Dopo un secondo scoprì che il suo piede destro era stato tranciato. Quasi
si mise a ridere. L'aria era di nuovo uscita dalla tuta; si affrettò a piegarsi, e
c'era sangue, e la meteora aveva tranciato carne e tuta alla caviglia. Oh, la
morte nello spazio era quasi buffa, ti tagliava pezzo per pezzo, come un
macellaio nero e invisibile. Strinse la valvola al ginocchio, mentre la testa
gli girava per la sofferenza, lottando per non perdere conoscenza; e quando
la valvola si strinse, il sangue si bloccò, l'aria rimase, e lui si raddrizzò e
continuò a cadere e a cadere, perché non restava altro.
«Hollis?»
Hollis annuì, assonnato, stanco di attendere la morte.
«Sono ancora Applegate,» disse la voce.
«Sì.»
«Ho avuto tempo di pensare. Ti ho ascoltato. Non va bene. Ci fa
diventare carogne. È un brutto modo di morire. Fa uscire tutta la bile. Stai
ascoltando, Hollis?»
«Sì.»
«Ho mentito. Un minuto fa. Ho mentito. Non ti ho dato il voto contrario.
Non so perchè l'ho detto. Forse volevo farti male. Mi sembrava giusto
ferirti. Abbiamo sempre litigato. Adesso sto invecchiando in fretta e mi
pento in fretta. Credo che, ascoltandovi dire cattiverie, mi sono
vergognato. Quale che sia la ragione, voglio che tu sappia che sono stato
un idiota. Non c'era un granello di verità in quello che ho detto. Vai al
diavolo.»
Titolo originale:
Kaleidoscope
(Thrilling Wonder Stories, ottobre 1949).
1950: «Galaxy»
Damon Knight
Come servire l'uomo
Titolo originale:
To Serve Man
(Galaxy Science Fiction, novembre 1950).
Poul Anderson
Grido alle stelle
Solo in questi ultimi anni gli editori inglesi hanno riconosciuto in Poul
Anderson uno dei maggiori scrittori di science fiction. Una trascuratezza
molto grave. Poul William Anderson è nato a Bristol, Pennsylvania,
giovedì 25 novembre 1926, ed è quindi il primo autore rappresentato in
questa serie che sia nato dopo le riviste di fantascienza. I suoi genitori
erano danesi, e tutta la sua opera risente l'influenza delle origini
scandinave. Il suo nome, tra l'altro, si pronuncia come una via di mezzo
tra powl e pole.
Parlerò delle sue prime vendite, quando era ancora all'Università del
Minnesota, nel saggio finale. La prima vera apparizione di Anderson è su
Astounding del settembre 1944. Campbell aveva un settore intitolato
Probability Zero, un'iniziativa che durò poco, dedicata a parodie
scientifiche scritte da aspiranti scrittori. Il bozzetto di Anderson era
intitolato A Matter of Relativity.
Anderson lasciò l'università e si mise a scrivere a tempo pieno. Ha
continuato a produrre una mole cospicua di lavoro, soprattutto science
fiction, ma anche nel campo del fantastico, della narrativa storica, del
giallo e dei libri per bambini. Ha vinto parecchi premi fantascientifici,
compresi cinque Hugo e due Nebula. Tende alla precisione scientifica e
alla caratterizzazione plausibile, che danno alle sue opere un tocco di vita
in più. Ha scritto science fiction umoristica, come The High Crusade
(1960), in cui un cavaliere s'impadronisce di un'astronave aliena discesa
sulla Terra medievale, e seria, come The People of the Wind (1973), che
studia profondamente l'interazione tra i coloni umani d'un pianeta alieno
e la cultura degli indigeni alati.
Nel 1971, James Blish scriveva di Anderson: «È mia convinta opinione
(sospetto da molti condiviso) che Anderson sia l'unico scrittore superstite
dell'Età dell'Oro di Astounding e ancora attivo a non aver mostrato un
continuo (o altalenante) declino... Poul Anderson, lo scienziato, il tecnico,
lo stilista, il bardo, l'umanista, l'umorista - l'elenco potrebbe continuare
all'infinito - è completamente immune da qualsiasi mutamento delle mode
e delle tendenze. È, in breve, un artista autentico»). Devo aggiungere
altro?
Solo? Nessun essere umano avrebbe mai saputo quanto era solo.
All'inizio non era risultato terribile. Da bambino, era stato troppo
assorbito ed estasiato dall'espandersi dei suoi orizzonti intellettuali per
preoccuparsi degli altri bambini che l'annoiavano... e quelli, a loro volta
detestavano cordialmente Joel per la sua stranezza ed il suo distacco. I
genitori adottivi avevano scoperto ben presto che i criteri normali non
valevano per lui; l'avevano tolto dalla scuola e gli avevano comprato i libri
e le apparecchiature che voleva. Avevano potuto permetterselo; a sei anni
lui aveva brevettato, a nome del vecchio Weatherfield, certe migliorie sulle
macchine agricole che avevano dato l'agiatezza alla famiglia. Lui era
sempre stato un «bravo bambino», per quanto poteva. I genitori non
avevano motivo di rammaricarsi di averlo adottato; ma era stato il caso
della gallina che ha covato uova d'anatra e vede gli anatroccoli allontanarsi
a nuoto.
Gli anni a Harvard erano stati un paradiso, un'orgia di apprendimento, di
conversazioni e di amicizia con i grandi che avevano finito per trattare
come un loro eguale quel ragazzino dall'aria solenne. A quei tempi, lui non
aveva avuto un vita sociale normale, ma non ne aveva sentito la mancanza;
gli studenti erano opachi ed un po' spaventati. Ben presto aveva imparato a
evitare la pubblicità... dopotutto, i bambini prodigio non erano del tutto
sconosciuti. L'unico guaio glielo aveva causato lo psichiatra, perché voleva
che lui fosse più «normale». Sorrideva ancora quando pensava ai modi
piuttosto diabolici con cui aveva spaventato quell'uomo per costringerlo a
lasciarlo in pace.
Ma verso la fine, aveva trovato limiti nella vita. Gli sembrava
assolutamente inutile assistere a lezioni ovvie e risolvere problemi che
erano già stati affrontati migliaia di volte. E cominciava a trovare un po'
noiosi i professori; riusciva sempre più spesso ad anticipare le loro risposte
alle sue domande e alle sue osservazioni, e quelle risposte diventavano
sempre più trite.
Da molto tempo aveva compreso quale doveva essere la sua vera natura,
sebbene avesse avuto il buon senso di non comunicare agli altri
quell'informazione. Adesso, in lui aveva incominciato a crescere il sogno:
trovare la sua gente!
A che serviva tutto ciò che faceva, quando i loro figli dovevano giocare
con le stesse forze, quando le sue scoperte più grandi dovevano essere
antiche, nella loro cultura, come lo era il fuoco nella civiltà dell'uomo?
Che orgoglio poteva provare per le sue realizzazioni, quando nessuno degli
stupidi animali che le vedevano poteva dire «Ben fatto!» come sarebbe
stato doveroso? Che cameratismo avrebbe potuto provare con gli esseri
ciechi e stupidi che ben presto diventano prevedibili come le sue
macchine? Con chi poteva pensare?
Si buttò all'impazzata nel lavoro, con l'unico scopo di far denaro. Non
era stato difficile. Dopo cinque anni era multimilionario, ed aveva agenti
che lo liberavano di tutte le preoccupazioni e le responsabilità: era libero di
fare quel che preferiva. Libero di lavorare per evadere.
Ma non di tutti i mondi. Chissà dove, chissà dove, nella schiera immensa
delle stelle...
La lunga notte continuava.
«Perché sei venuto qui?» chiese Margaret. La sua voce era sommessa,
ora, smorzata dalla disperazione.
«Volevo mantenere il segreto. E la società umana stava diventando
insopportabile.»
Lei rabbrividì, poi: «Hai trovato un modo per costruire un'astronave più
veloce della luce?»
«No. Quello che ho scoperto non indica un modo per superare i limiti di
Einstein. Un sistema deve esserci, ma non riesco a trovarlo. Non è
sorprendente, in realtà. Il nostro bimbo ferino, probabilmente, non
riuscirebbe mai a costruire un transatlantico.»
«E allora come speri di uscire dal Sistema Solare?»
«Pensavo ad un'astronave guidata da robot che andasse da una stella
all'altra: e io in animazione sospesa.» Joel ne parlava con disinvoltura,
come avrebbe descritto un metodo per riparare un rubinetto difettoso. «Ma
è poco pratico. La mia gente non può vivere nelle vicinanze, altrimenti
avremmo altri indizi della sua presenza, oltre quell'unico naufragio. Forse
non vive neppure in questa galassia. Terrò in serbo l'idea come ultima
risorsa.»
«Ma tu e tua madre dovevate essere a bordo di una nave. Non è mai
stato trovato niente?»
«Solo quei pochi frammenti vitrei di cui ho parlato. Mi domando se la
mia gente si serva di astronavi. Forse usa una specie di trasmettitore di
materia. No, la mia speranza più grande è un segnale di soccorso che li
attiri.»
«Ma se vivono lontani tanti anni-luce...»
«Ho scoperto una strana specie di... beh, potresti chiamarla radiazione,
anche se non ha alcun rapporto con lo spettro elettromagnetico. I campi
d'energia, vibrando in un certo modo, producono effetti rilevabili su un
apparecchio simile, lontano dal primo. È più o meno analogo alle vecchie
trasmittenti radio. La cosa importante è che gli effetti sono trasmessi senza
scarto di tempo misurabile, e la distanza non causa diminuzione.»
In un altro momento, Margaret si sarebbe accesa di meraviglia. Adesso
si limitò ad annuire. «Capisco. È una specie di ultra-onda. Ma se non ci
sono effetti di tempo e di distanza, com'è possibile rintracciarla? Sarebbe
completamente a-direzionale, a meno che tu potessi ricavarne un raggio.»
«Non posso... per ora. Ma ho registrato uno schema d'impulsi che
devono corrispondere alla disposizione delle stelle in questa parte della
galassia. Ogni impulso rappresenta una stella, la sua intensità ne
rappresenta la luminosità assoluta, e la separazione temporale dagli altri
impulsi sta per la distanza dalle altre stelle.»
«Ma è una rappresentazione unidimensionale, e lo spazio è
tridimensionale.»
«Lo so. Non è semplice come ho detto. Il problema di questa
rappresentazione era un problema interessante di topologia applicata, ho
impiegato una settimana intera per risolverlo. Se t'interessa la parte
matematica, ho gli appunti qui, da qualche parte... Ma comunque, quelli
della mia gente, quando dirigono gli impulsi, dovrebbero essere in grado di
dedurre quello che sto cercando di dire. Ho collocato Sol all'inizio di ogni
serie d'impulsi, in modo che sappiano anche a quale stella mi riferisco.
Comunque, possono esserci soltanto pochissime configurazioni come
questa nell'universo, quindi ho dato loro un punto di riferimento. Ho
installato un apparecchio in modo che trasmetta automaticamente la mia
chiamata. Ora posso solo attendere.»
«Da quanto attendi?»
Joel fece una smorfia. «Da un anno, ormai... e neppure un segno.
Comincio a preoccuparmi. Forse dovrei provare qualcosa d'altro.»
«Forse loro non usano la tua ultra-onda. Può darsi che nella loro cultura
sia antiquata.»
Joel annuì. «Può darsi. Ma che altro posso fare?»
Margaret tacque.
Dopo qualche istante, Joel si scosse e sospirò. «Ecco tutto, Peggy.»
Lei annuì, in silenzio.
«Non rammaricarti per me,» disse lui. «Me la cavo benissimo. La mia
ricerca, qui, è interessante. Questa zona mi piace. Sono più felice di quanto
mi sia capitato di esserlo da molto tempo.»
«Non è molto, temo,» rispose lei.
«No, ma... Senti, Peggy, adesso sai cosa sono. Un mostro. Più alieno di
una scimmia. Non dovrebbe essere difficile dimenticarmi.»
«È più difficile di quanto immagini, Joel. Ti amo. Ti amerò sempre,»
«Ma... Peggy, è ridicolo. Immagina che fossi venuto a vivere con te. Non
potremmo mai avere figli... ma credo che questo non conti molto. Non
abbiamo niente in comune, comunque. Niente. Non potremmo parlare, non
potremmo dividere le mille piccole cose che costituiscono un matrimonio:
già sarebbe difficile lavorare insieme. Io non posso più vivere nella società
umana, e tu perderesti in fretta i tuoi amici, ti sentiresti sola come me. E
alla fine invecchieresti, perderesti le tue facoltà e moriresti, ed io non avrei
ancora raggiunto la maturità. Peggy, né tu né io potremmo sopportarlo.»
«Lo so.»
«Langtree è un brav'uomo. Sarebbe facile amarlo. Tu non hai il diritto di
negare alla tua razza un'eredità magnifica come la tua.»
«Forse hai ragione.»
Joel le passò la mano sotto il mento, le alzò il volto. «Ho alcuni poteri
sulla mente,» disse, lentamente. «Con la tua collaborazione, dovrei riuscire
a modificare i tuoi sentimenti.»
Lei si tese, scostandosi, spalancando gli occhi, impaurita. «No...»
«Non fare la sciocca. Sarebbe fare subito quello che il tempo farebbe
comunque.» Il suo sorriso era stanco, convulso. «È veramente facile
dimenticarmi, Peggy.»
La sua volontà era troppo forte. S'irradiava da lui, negli occhi ardenti e
nei lineamenti delicatamente cesellati che erano quasi umani, e pulsava in
grandi onde telepatiche dal suo cervello, sembrava quasi fluire attraverso
le mani sottili. Inutile resistere, inutile opporsi... arrenditi, arrenditi e
dormi. Lei era così stanca.
Finalmente Margaret annuì. Joel sorrise, il vecchio sorriso che lei
conosceva così bene. Lui cominciò a parlare.
Margaret non ricordò mai il resto della notte, se non come una
confusione semiconscia, una voce suadente che le sussurrava nella testa,
una faccia intravvista vagamente tra nebbie ondeggianti. Ad un certo
punto, ricordava, c'era una macchina che ticchettava e ronzava, e piccole
luci che lampeggiavano e turbinavano nell'oscurità. La sua memoria era
smossa come uno stagno tranquillo, e salivano alla superficie molte cose
che lei aveva dimenticato per quasi tutta la vita. Le sembrava di avere
accanto sua madre.
Nell'alba vaga e nebbiosa, lui la lasciò andare. C'era una calma
profonda, inumana, in lei; lo guardava con gli occhi vacui d'una
sonnambula, e la sua voce era inespressiva. Sarebbe passato, lei sarebbe
ridiventata normale, ma Joel Weatherfield sarebbe stato un ricordo dalla
scarsa carica emotiva, uno spettro sperduto sul fondo della sua mente.
Uno spettro. Lui si sentiva immensamente stanco, privo di forza e di
volontà. Quello non era il suo posto: era un'ombra che avrebbe dovuto
volare tra le stelle; la luce del sole della Terra lo cancellava.
«Addio, Peggy.» disse lui. «Serba il mio segreto. Non far sapere a
nessuno dove sono. E buona fortuna a te per tutti i tuoi giorni.»
«Joel...» Lei si soffermò sullo scalino, con un'espressione perplessa.
«Joel, se tu puoi pensare a me così, non può fare altrettanto la tua gente?»
«Certo. E con questo?» Per la prima volta, lui non sapeva cosa stava per
dirgli: l'aveva cambiata troppo per poterlo prevedere.
«Ecco... perché quelli dovrebbero avere bisogno di apparecchi come la
tua ultra-onda per parlarsi tra di loro? Dovrebbero essere in grado di
comunicare con il pensiero attraverso le stelle.»
Joel sbatté le palpebre. Gli era venuto in mente, ma non ci aveva mai
pensato molto: era stato troppo preso dal suo lavoro.
«Addio, Joel.» Lei si voltò e si allontanò tra la nebbia grigia e
sgocciolante. Un primo raggio di Sole penetrò attraverso uno squarcio e le
sfiorò i capelli. Lui rimase sulla soglia fino a quando lei fu scomparsa.
Joel dormì per quasi tutta la giornata. Quando si svegliò, cominciò a
pensare a quello che lei gli aveva detto.
Per tutto ciò che vi era di sacro, Peggy aveva ragione! Si era immerso
troppo profondamente nei problemi puramente tecnici dell'ultra-onda e
nella ricerca matematica per ingannare il tempo dell'attesa, e quindi non
aveva avuto la possibilità di vedere con distacco la logica fondamentale
della situazione. Ma questo... aveva senso.
Aveva soltanto un'idea vaghissima dei poteri innati della sua mente. La
scienza fisica gli aveva offerto troppe vie d'uscita. E senza aiuto non
poteva sperare di spingersi molto lontano in studi del genere. Un bimbo
ferino poteva avere l'eredità di un genio matematico, ma se non veniva
scoperto ed educato dai suoi simili non avrebbe mai compreso gli elementi
dell'aritmetica... o del linguaggio o della socievolezza o delle altre attività
che distinguono l'uomo dagli animali. C'era un'eredità troppo lunga di
evoluzione preumana e protoumana perché un uomo da solo potesse
ricapitolarla in una vita, quando il suo ambiente non indicava la strada
particolare presa dai suoi antenati.
Ma i nervi ed i centri cerebrali inattivi dovevano servire a qualcosa.
Sospettava che fossero mezzi per controllare direttamente le forze
fondamentali dell'universo. Telepatia, telecinesi, precognizione... quale
eredità divina gli era stata negata?
Comunque, sembrava che la sua razza avesse trasceso la necessità dei
meccanismi fisici. Con una comprensione completa della struttura del
continuum spazio-tempo-energia, con la capacità di dominare direttamente
per mezzo della volontà i suoi processi fondamentali, potevano proiettare
se stessi o i loro pensieri da stella a stella, creare ciò di cui avevano
bisogno per mezzo del pensiero puro... senza prestare attenzione ai
balbettii incomprensibili delle razze inferiori.
Una prospettiva fantastica, abbagliante! Restò smarrito davanti alla
grande visione splendente che si schiudeva ai suoi occhi.
Si scosse per ritornare alla realtà. Il problema immediato era mettersi in
contatto con la sua razza. E questo comportava uno studio delle energie
telepatiche che sinora aveva quasi ignorato.
S'immerse in un'attività febbrile. Il tempo perse ogni significato, divenne
una successione di giorni e di notti, di luce fioca e di neve e poi il lento
ritorno della primavera. Non aveva mai avuto molto per cui vivere,
eccettuato il suo lavoro: adesso divorava ogni suo pensiero. Anche durante
i periodi di riposo e di moto che imponeva a se stesso, la sua mente
continuava ad assediare il problema, rodendolo come un cane rode l'osso.
E lentamente, lentamente, la conoscenza crebbe.
La Luna stava sorgendo sopra le colline buie, una luce nebulosa sopra
gli alberi e le chiazze di neve e il suolo bagnato. L'aria era gelida e umida,
pungente.
L'essere che stava là, profilato nello splendore degli indumenti, era più
alto di Joel: un adulto. Gli occhi neri erano troppo fulgidi perché fosse
possibile sostenerne lo sguardo: era come se la vita, in lui, fosse
incandescente. E quando la forza piena della sua mente si protese,
dilagando in Joel, scorrendo in ogni nervo ed in ogni cellula del suo
corpo...
Lui gridò per la sofferenza e cadde carponi. La forza intollerabile si
alleviò, si attenuò, divenne una pulsazione che scuoteva ogni fibra del suo
cervello. Lo stava studiando e analizzando; e neppure la più piccola parte
di lui sfuggiva a quegli occhi terribili e alla logica che lo ricostruiva
meglio di quanto si conoscesse lui stesso. Il suo linguaggio telepatico
deformato era comprensibile per quell'essere, e Joel gracchiò la sua
invocazione.
La risposta era sfumata di pietà, ma era remota e inesorabile come i
tuoni dell'Olimpo.
Titolo originale:
Earthman, Beware!
(Super Science Stories, giugno 1951)
Ross Rocklynne
Volare più in alto
Titolo originale:
They Fly So High
(Amazing Stories, giugno 1952).
Richard Matheson
L'ultimo giorno
L'uomo si svegliò e la prima cosa che pensò fu: l'ultima notte è passata.
E lui ne aveva dormito la metà.
Giaceva sul pavimento e guardava il soffitto. Le pareti erano ancora
illuminate dai riflessi rossi della luce esterna. Nel soggiorno si sentiva
soltanto russare.
Si guardò intorno. C'erano corpi stravaccati per tutta la stanza. Sul
divano, accasciati sulle poltrone, raggomitolati sul pavimento.
Si sollevò su un gomito e rabbrividì per le fitte di sofferenza alla testa.
Chiuse gli occhi e tenne le palpebre serrate per un momento. Poi le riaprì.
Si passò la lingua sull'interno della bocca arida. C'era ancora un sapore
irrancidito di cibo e di liquore.
Restò appoggiato sul gomito e tornò a guardarsi intorno, osservando
lentamente la scena.
Nancy e Bill giacevano l'una tra le braccia dell'altro: erano nudi
entrambi. Norman era raggomitolato su una poltrona, la faccia magra tesa
nel sonno. Mort e Mel giacevano per terra, coperti da tappeti sporchi.
Russavano entrambi. C'erano altri, sul pavimento.
E fuori il bagliore rosso.
Guardò la finestra e mosse la gola. Sbatté le palpebre. Abbassò lo
sguardo sul suo lungo corpo. Deglutì di nuovo.
Sono vivo, pensò. Ed è tutto vero.
Si strofinò gli occhi. Aspirò una boccata dell'aria morta
dell'appartamento.
Rovesciò un bicchiere, mentre si rimetteva faticosamente in piedi. Il
liquore misto a soda si sparse sul pavimento, intrise il tessuto blu.
Girò lo sguardo sugli altri bicchieri, rotti, rovesciati a calci, scagliati
contro la parete. Guardò le bottiglie: erano dappertutto, tutte vuote.
Restò in piedi, a osservare intorno. Guardò il giradischi rovesciato, gli
album sparpagliati dovunque, i frammenti irregolari dei dischi disposti in
pazzeschi motivi sul tappeto.
Ricordò.
Era stato Mort a cominciare, la sera prima. Mort che all'improvviso si
era precipitato sul giradischi e aveva gridato, con voce ebbra: «Cosa
diavolo è la musica, ormai? Soltanto un sacco di chiasso!»
Con la punta della scarpa aveva spinto il giradischi contro la parete.
S'era dondolato avanti e indietro sulle ginocchia. Aveva sollevato tra le
braccia carnose il giradischi, l'aveva rovesciato, e l'aveva preso di nuovo a
calci.
«Al diavolo la musica!» Aveva gridato Mort. «Comunque mi fa schifo!»
Poi aveva cominciato a estrarre i dischi dagli album e dalle buste e a
spezzarli sul ginocchio.
«Venite!» aveva gridato a tutti. «Venite!»
L'idea aveva attaccato. Come attaccavano tutte le idee pazze in quegli
ultimi giorni.
Mel, che stava facendo l'amore con una ragazza, aveva smesso ed era
accorso. Aveva lanciato i dischi dalle finestre, disperdendoli lontano,
attraverso la strada. E Charlie aveva deposto la pistola per un momento per
andare anche lui alle finestre a cercare di colpire la gente con i dischi.
Richard aveva guardato i dischi neri rimbalzare e spaccarsi sul
marciapiedi. Ne aveva buttato uno persino lui. Poi si era tirato da parte e
aveva lasciato che fossero gli altri a impazzare. Aveva portato in camera da
letto la ragazza di Mel e per qualche momento avevano dimenticato quello
che stava succedendo al loro mondo.
Ci pensò, mentre stava ritto, un po' vacillante, nella luce rossiccia della
stanza.
Chiuse gli occhi un momento.
Poi guardò Nancy e ricordò che aveva preso anche lei, prima o poi, nel
caos delle ore frenetiche che erano state ieri e quell'ultima notte.
Aveva un'aria spregevole adesso, pensò. Era sempre stata un animale.
Ma prima, aveva sempre dovuto nasconderlo. Adesso, nel crepuscolo
finale di tutto, poteva sguazzare nell'unica cosa che le fosse sempre stata
veramente a cuore.
Norman guardò dalla porta della cucina per un momento. Poi qualcosa
gli cedette dentro e accasciò la testa sulle braccia, sopra il tavolo. Le spalle
magre gli tremavano.
«L'ho fatto anch'io,» disse con voce spezzata. «L'ho fatto anch'io. Oh,
Dio, perché sono venuto qui?»
«Sesso,» fece Richard. «Come tutti noi. Pensavi di poter finire la tua vita
nell'ebbra beatitudine carnale.»
La voce di Norman era soffocata. «Non posso morire così,» singhiozzò.
«Non posso.»
«Lo stanno facendo due miliardi di persone,» disse Richard. «Quando il
sole ci colpirà, lo staranno ancora facendo. Che spettacolo.»
Il pensiero della popolazione di un mondo che si abbandonava ad
un'ultima orgia animalesca lo fece rabbrividire. Chiuse gli occhi e premette
la fronte contro la parete e cercò di dimenticare.
Ma la parete era calda.
Norman alzò la testa dal tavolo. «Andiamo a casa,» disse.
Richard lo guardò. «A casa?» chiese.
«Dai nostri genitori. Mia madre e mio padre. Tua madre.»
Richard scosse il capo. «Non voglio,» disse.
«Ma non posso andare da solo.»
«Perché?»
«Perché... Non posso. Sai che le strade sono piene di tipi che
ammazzano tutti quelli che incontrano.»
Richard scrollò le spalle.
«Perché non vuoi?» chiese Norman.
«Non voglio vederla.»
«Tua madre?»
«Sì.»
«Sei pazzo,» disse Norman. «Chi altro c'è...»
«No.»
Pensò a sua madre, a casa, che l'aspettava. Lo aspettava. Lo aspettava,
l'ultimo giorno. E lo faceva star male l'idea di ritardare, di non rivederla
più.
Ma continuava a pensare: come posso andare a casa e sentire lei che
cerca di convincermi a pregare? Che cerca di farmi leggere la Bibbia, di
farmi passare queste ultime ore in una confusione religiosa?
Lo disse ancora, per se stesso: «No.»
Norman sembrava sperduto. Il petto gli tremava per un singhiozzo
trattenuto. «Voglio vedere mia madre.» disse.
«Vai pure,» fece distrattamente Richard.
Ma si sentiva torcere le viscere. Non vederla più. Né sua sorella, con il
marito e la figlia.
Non rivedere più nessuno di loro.
Sospirò. Era inutile lottare. Nonostante tutto, Norman aveva ragione.
Chi altro c'era, al mondo, se non loro? In un grande mondo che stava per
bruciare, c'era qualche altra persona che l'amasse più di tutti gli altri?
«Oh... va bene,» disse. «Andiamo. Qualunque cosa, pur di andare via da
questo posto.»
Richard caro,
sono a casa di tua sorella. Ti prego di venire là. Non lasciarmi
passare l'ultimo giorno senza di te. Non farmi lasciare questo
mondo senza aver rivisto ancora il tuo caro volto.
Ti prego.
L'ultimo giorno.
Era nero su bianco. E fra tutti, era stata proprio sua madre a scrivere
quelle parole. Lei che era sempre stata così scettica della sua preferenza
per le scienze materiali. Adesso ammetteva la realtà dell'ultima predizione
della scienza.
Perché non poteva più dubitare. Perché il cielo era pieno di un'evidenza
fiammeggiante e nessuno poteva più dubitarne.
Tutto il mondo stava per finire. Il conteggio abbagliante di evoluzioni e
rivoluzioni, di lotte e di scontri, d'infinite continuità di secoli che si
perdevano nel passato nebuloso, di rocce e alberi e animali e uomini. Tutto
finito. In un lampo, in un momento. L'orgoglio, la vanità del mondo
dell'uomo incenerito da una capricciosa anomalia astronomica.
Che senso aveva, allora? Nessuno. Nessuno. Poiché tutto stava per
finire.
Prese i sonniferi dall'armadietto dei medicinali e uscì. Andò a casa della
sorella pensando a sua madre, mentre passava per le strade ingombre un
po' di tutto, dalle bottiglie vuote ai cadaveri.
Se soltanto non avesse temuto il pensiero di discutere con sua madre
quell'ultimo giorno; di disputare con lei sul suo Dio e le sue convinzioni.
Decise di non discutere. Si sarebbe sforzato di fare in modo che
quell'ultimo giorno fosse pacifico. Avrebbe accettato la sua semplice
devozione e non avrebbe aggredito più la sua fede.
La porta principale della casa di Grace era chiusa a chiave. Suonò il
campanello e dopo un momento sentì un suono di passi affrettati.
Sentì Ray gridare, all'interno: «Non aprire, mamma! Può essere ancora
quella banda!»
«È Richard. Lo so!» gridò di rimando sua madre.
Poi la porta si aprì, e lei lo abbracciò, piangendo di felicità.
In un primo momento, lui non parlò. Finalmente disse, sottovoce: «Ciao,
mamma.»
Sua nipote Doris giocò tutto il pomeriggio nel salotto mentre Grace e
Ray sedevano lì immobili a guardarla.
Se fossi con Mary, continuava a pensare Richard. Se fossimo insieme,
oggi. Poi pensò che forse avrebbero avuto figli. E che avrebbe dovuto stare
lì come Grace, sapendo che i pochi anni vissuti dalla sua creatura
sarebbero stati gli unici.
Il cielo divenne più luminoso con l'avvicinarsi della sera. Era invaso di
violente correnti cremisi. Doris si accostò silenziosa alla finestra e lo
guardò. Non aveva riso o pianto in tutto il giorno. E Richard pensò: lei sa.
E pensò anche che, da un momento all'altro, sua madre avrebbe chiesto a
tutti di pregare insieme. Di sedersi a leggere la Bibbia e di sperare nella
carità divina.
Ma lei non disse niente. Sorrise. Preparò la cena. Richard rimase con lei
in cucina mentre la preparava.
«Forse non riuscirò ad aspettare,» le disse. «Forse... prenderò i
sonniferi.»
«Hai paura figliolo?» chiese lei.
«Tutti hanno paura,» rispose lui.
Lei scosse il capo. «Non tutti,» disse.
Adesso, pensò lui, sta per cominciare. Quell'espressione virtuosa, quella
frase d'apertura.
Lei gli porse un piatto con le verdure, e sedettero tutti a mangiare.
Durante la cena nessuno parlò, se non per chiedere cibo. Doris non disse
neppure una parola. Richard la guardava attraverso il tavolo.
Pensò alla notte precedente. Le bevute pazzesche, le risse, le orge. Pensò
a Charlie morto nella vasca da bagno. All'appartamento a Manhattan. Di
Spencer che si riduceva ad una bramosia di libidine, quale culmine della
sua vita. Del ragazzo che giaceva morto per una strada di New York con
una pallottola nel cervello.
Sembravano tutti molto lontani. Quasi poteva credere che non fosse mai
accaduto. Poteva quasi credere che quello fosse soltanto uno dei tanti pasti
serali in compagnia della sua famiglia.
A parte la luce rossiccia che riempiva il cielo e inondava la stanza
entrando dalle finestre come il riflesso di un gigantesco camino.
Verso la fine del pasto Grace andò a prendere una scatoletta. Sedette a
tavola e l'aprì. Ne estrasse compresse bianche. Doris la guardò, con grandi
occhi interrogativi.
«Questo è il dolce,» le disse Grace. «Per dessert, prenderemo tutti le
caramelle bianche».
«È menta piperita?» chiese tranquilla Doris.
«Sì,» disse Grace. «È menta piperita.»
Richard si sentì aggricciare il cuoio capelluto, mentre Grace metteva le
pillole davanti a Doris. Davanti a Ray.
«Non ne abbiamo abbastanza per tutti,» disse a Richard.
«Ho le mie,» disse lui.
«Ne hai abbastanza per mamma?» chiese Grace.
«Io non ne ho bisogno.»
In preda alla tensione, per poco Richard non le urlò in faccia. Finiscila
d'essere così maledettamente generosa! Ma si trattenne. Fissò, affascinato
dall'orrore, Doris che teneva le pillole nella manina.
«Non è menta piperita,» fece la bambina. «Mamma, questa non è...»
«Sì, lo è.» Grace trasse un profondo respiro. «Mangia, cara.»
Doris ne mise una in bocca. Fece una smorfia. Poi la sputò nel palmo.
«Non è menta piperita,» disse, sconvolta.
Grace alzò di scatto la mano e si piantò i denti nelle nocche bianche. I
suoi occhi si volsero freneticamente a Ray.
«Mangiale, Doris,» disse Ray. «Mangiale, sono buone.»
Doris cominciò a piangere. «No, non mi piacciono!»
«Mangia!»
Ray si girò all'improvviso dall'altra parte, tremando. Richard cercò di
pensare a qualche sistema per indurla a mangiare le pillole, ma non ci
riuscì.
Poi sua madre parlò. «Facciamo un gioco, Doris,» disse. «Vediamo se
riesci a mandar giù tutte le caramelle prima che io conti fino a dieci. Se ce
la farai, ti regalerò un dollaro.»
Doris tirò su col naso. «Un dollaro?» chiese.
La madre di Richard annuì. «Uno,» disse.
Doris non si mosse.
«Due,» disse la madre di Richard. «Un dollaro...»
Doris si asciugò una lacrima. «Un... un dollaro intero?»
«Sì, tesoro. Tre, quattro, presto.»
Doris allungò le mani verso le pillole.
«Cinque... sei... sette...»
Grace aveva gli occhi chiusi, le guance sbiancate.
«Nove... dieci...»
La madre di Richard sorrise, ma le labbra le tremavano, e c'era un
luccichio nei suoi occhi. «Ecco,» disse allegramente. «Hai vinto il gioco.»
Grace all'improvviso mise in bocca le pillole e le inghiottì, in rapida
successione. Guardò Ray. Lui tese una mano tremante e ingoiò le
compresse. Richard mise la mano in tasca per prendere le sue, ma poi la
estrasse. Non voleva che sua madre lo vedesse a prenderle.
Doris s'insonnolì quasi immediatamente. Sbadigliava e non riusciva a
tenere gli occhi aperti. Ray la prese in braccio e lei gli si appoggiò contro
la spalla, cingendogli il collo con le braccia. Grace si alzò, e tutti e tre
andarono in camera da letto.
Richard restò seduto mentre sua madre andava a dir loro addio. Restò
seduto a guardare la tovaglia bianca, gli avanzi del cibo.
Quando sua madre tornò, gli sorrise. «Aiutami a sparecchiare,» disse.
«A...?» cominciò lui. Poi s'interruppe. Che differenza avrebbe fatto?
Restò con lei nella cucina illuminata di rosso, con un acuto senso
d'irrealtà, mentre asciugava i piatti che non avrebbero usato mai più e li
riponevano in armadietti che tra poche ore non sarebbero più esistiti.
Continuava a pensare a Ray e Grace nella camera da letto. Finalmente
uscì dalla cucina senza dire una parola e tornò indietro. Aprì la porta e
guardò dentro. Li guardò a lungo, tutti e tre. Poi richiuse la porta e tornò
lentamente in cucina. Fissò sua madre.
«Sono...»
«Sta bene,» disse sua madre.
«Perché non gli hai detto niente?» le chiese. «Come mai hai lasciato che
lo facessero, senza dir niente?»
«Richard,» rispose lei, «di questi tempi, ognuno deve farsi la sua strada.
Nessuno può dire agli altri quel che devono fare. Doris era la loro figlia.»
«E io sono tuo figlio...»
«Non sei più un bambino,» disse lei.
Richard finì di lavare i piatti, con le dita intorpidite e tremanti.
«Mamma, ieri notte...» cominciò.
«Non m'interessa.»
«Ma...»
«Non importa,» fece lei. «Questa parte sta finendo.»
Adesso, pensò lui, quasi con dolore. Questa parte. Adesso lei avrebbe
parlato dell'aldilà e del paradiso e dei premi per i giusti e dell'eterna
penitenza per i peccatori.
Lei disse: «Andiamo a sederci sotto il portico.»
Richard non capì. Attraversò con lei la casa silenziosa. Sedette accanto a
lei sotto il portico e pensò: Non rivedrò mai più Grace. O Doris. O Norman
o Spencer o Mary.
Non riusciva ad accettare tutto. Era troppo. Poteva soltanto restare
seduto impalato a guardare il cielo rosso ed il sole enorme che stava per
inghiottirli. Non riusciva più neppure a sentirsi nervoso. Le paure erano
smussate dalla ripetizione infinita.
«Mamma,» disse dopo un po', «perché... perché non mi hai parlato di
religione? So che lo vorresti.»
Lei lo guardò, con un'espressione molto dolce nella luce rossa.
«Non è necessario, caro,» rispose. «So che saremo insieme, quando
questo sarà finito. Non è necessario che lo creda tu. Lo crederò io per
entrambi.»
E fu tutto. Lui la guardò, ammutolito da quella sicurezza.
«Se adesso vuoi prendere quelle compresse,» disse lei, «va bene. Puoi
addormentarti sulle mie ginocchia.»
Richard non seppe che fare, sino a quando pensò a lei, seduta là sola,
quando sarebbe finito il mondo.
«Resterò con te,» disse.
Lei sorrise. «Se cambi idea,» fece, «puoi avvertirmi.»
Rimasero in silenzio per un po'. Poi lei disse: «È grazioso.»
«Grazioso?» chiese lui.
«Sì,» disse lei. «Dio cala un sipario luminoso sulla nostra commedia.»
Lui non sapeva. Ma le cinse le spalle con un braccio e lei si appoggiò a
lui. E Richard sapeva una cosa.
Restarono seduti, nella sera dell'ultimo giorno. E sebbene la cosa non
avesse senso, si volevano bene.
Titolo originale:
The Last Day
(Amazing Stories, aprile - maggio 1953).
1954: «Galaxy»
Robert Sheckley
Giù le mani
Una delle colonne di Galaxy, durante i primi tempi della sua esistenza,
fu il sorprendentemente prolifico Robert Sheckley, che portò alla
fantascienza un considerevole contributo di brio e di vivace umorismo.
Molti critici affermano che il genere era del tutto privo di umorismo, ma
autori come Eric Frank Russell, Harry Harrison e Robert Sheckley
possono dimostrare che l'accusa è ridicolmente infondata.
Robert Sheckley è nato a Brooklyn lunedì 16 luglio 1928 ed è cresciuto
nel New Jersey. Si laureò in inglese alla New York University, e acquisì
una profonda preparazione in tutti gli aspetti della letteratura inglese. Ha
sempre ammesso che il suo scrittore di science fiction prediletto era Henry
Kuttner, quindi è doppiamente giusto che entrambi gli autori appaiano in
questo volume.
Per mantenersi, Sheckley cominciò a scrivere un po' di tutto, piazzando
due racconti presso la rivista dell'università. Poi vendette una breve storia
fantastica, Final Examination, a Imagination (maggio 1952), e quasi
immediatamente vendette un'altra dello stesso genere fuori dal campo:
Fear in the Night a Today's Woman. È un racconto semplice: un marito
che gioca sulla paura che la moglie nutre verso i serpenti per tormentarla
mentre dorme. Immaginate la mia sorpresa quando molto più tardi lessi
un racconto, The Web di Dick Harrington, sul London Mystery Magazine
del settembre 1969, che è una copia esatta dell'altro, a parte la
sostituzione dei ragni al posto dei serpenti! L'influenza di Sheckley si
spinge molto lontano.
Nell'anno del boom fantascientifico, il 1953, Sheckley appariva quasi
dappertutto, e ben presto rinunciò ad ogni impiego per scrivere a tempo
pieno. Tuttavia l'amore per i viaggi spingeva Sheckley in giro per il
mondo, e spesso i direttori delle riviste perdevano le sue tracce. Per tutti
gli Anni Cinquanta, Sheckley continuò a vendere fantascienza solida e ben
costruita, più tardi sconfinando nella suspense e nel thriller. Fu uno dei
primi autori che cominciarono a vendere regolarmente fantascienza a
Playboy e questo contribuì a creargli una carriera.
Oggi Sheckley è uno dei nomi più rispettati della science fiction,
sebbene le sue apparizioni siano ormai rarissime. Che si può fare di
meglio, allora, che recuperare uno dei suoi primi classici per
sottolinearne il contributo al genere?
Il rivelatore di massa della nave lampeggiò prima roseo, poi rosso. Agee
stava sonnecchiando ai comandi, in attesa che Victor finisse di cenare.
Adesso alzò la testa di scatto. «Pianeta in avvicinamento,» gridò, al di
sopra del sibilo dell'aria che fuggiva.
Il comandante Barnett annuì. Finì di modellare una toppa rovente, e la
sbatté sullo scafo consunto dell'Endeavour. Il sibilo dell'aria si ridusse ad
un gemito sommesso, ma non cessò completamente. Non cessava mai.
Quando Barnett si avvicinò, il pianeta era appena visibile al di là
dell'orlo di un piccolo sole rosso. Brillava verde sullo sfondo nero dello
spazio e ispirava ai due uomini un pensiero identico.
Barnett espresse quel pensiero in parole: «Chissà se c'è qualcosa che val
la pena di prendere», disse, aggrottando la fronte.
Agee inarcò speranzoso un sopracciglio bianco. Osservarono, mentre i
quadranti cominciavano a registrare.
Non avrebbero mai avvistato quel pianeta, se avessero portato la
Endeavour lungo le Rotte Galattiche Meridionali. Ma la polizia della
Confederazione stava diventando sempre più numerosa lungo quelle rotte,
e Barnett preferiva girare al largo.
L'Endeavour era registrata come mercantile... ma l'unico carico che
trasportava consisteva di parecchie bottiglie di un acido estremamente
potente usato per aprire le casseforti e tre bombe atomiche di media
grandezza. Le autorità guardavano con sfavore quelle merci, e cercavano
sempre di arrestare l'equipaggio per qualche vecchia imputazione... un
omicidio sulla Luna, un furto su Omega, furto con scasso su Samia II.
Vecchi reati semidimenticati che la polizia, ostinatamente, insisteva nel
ripescare.
Per peggiorare le cose, l'Endeavour era in condizioni d'armamento
inferiore rispetto ai nuovi incrociatori della polizia. Perciò avevano scelto
una rotta esterna per raggiungere Nuova Atene, dov'era stato appena aperto
un grande giacimento di uranio.
«Non mi pare gran cosa,» commentò Agee, esaminando con aria critica i
quadranti.
«Tanto varrebbe passare oltre,» disse Barnett.
I dati non erano interessanti. Mostravano un pianeta più piccolo della
Terra, che non figurava sulle carte, e senz'altro valore commerciale che
l'atmosfera d'ossigeno.
Mentre passavano oltre, il rilevatore dei metalli pesanti entrò in azione.
«C'è roba, laggiù,» disse Agee, interpretando prontamente le letture
multiple. «Pura. Molto pura... e in superficie!»
Guardò Barnett che annuì. La nave virò verso il pianeta.
Victor arrivò dal fondo, con una piccola papalina di lana sulla gran testa
rapata. Guardò oltre la spalla di Barnett, mentre Agee faceva scendere la
nave in una stretta spirale. A quasi un chilometro dalla superficie, videro il
loro deposito di metallo pesante.
Era un'astronave, ferma sulla coda in una radura naturale.
«Questo sì che è interessante,» disse Barnett. Accennò ad Agee di
avvicinarsi ancora di più.
Agee fece scendere la nave con grande destrezza. Aveva passato un
pezzo l'età della pensione obbligatoria per i piloti, ma questo non influiva
sulla sua coordinazione. Barnett, che l'aveva trovato squattrinato e
sbandato, l'aveva arruolato. Il comandante era sempre pronto ad aiutare un
altro umano, se la cosa era pratica e se prometteva di essere anche
redditizia. I due uomini condividevano lo stesso atteggiamento nei
confronti della proprietà privata, ma talvolta dissentivano sui modi per
acquisirla. Agee preferiva stare sul sicuro. Barnett, invece, aveva più
coraggio di quanto fosse consigliabile per una specie relativamente fragile
come l'Homo sapiens.
Presso la superficie del pianeta, videro che la nave sconosciuta era più
grossa dell'Endeavour, e lucente, nuova. La forma dello scafo era insolita,
e lo erano anche i contrassegni.
«Mai visto qualcosa del genere?» chiese Barnett.
Agee frugò nell'abbondante repertorio della sua memoria. «Sembra po'
una nave cefeana, ma non le fanno così tozze. Siamo parecchio fuorimano,
vedi. Quella nave potrebbe addirittura non appartenere alla
Confederazione.»
Victor fissò la nave, con le grosse labbra socchiuse per lo stupore.
Sospirò rumorosamente. «Di sicuro una nave come quella ci farebbe
comodo, eh, comandante?»
L'improvviso sospiro di Barnett fu come una crepa aperta nel granito.
«Victor,» disse, «nella tua semplicità sei andato al cuore della faccenda.
Una nave come quella ci farebbe comodo. Scendiamo e parliamo con il
suo comandante.»
Prima di legarsi sulla poltroncina, Victor si assicurò che i congelatori
fossero carichi.
Titolo originale:
Hands Off
(Galaxy Science Fiction, aprile 1954).
E.C. Tubb
La scommessa
È facile dimenticare, a causa del boom negli Stati Uniti, che verso la
metà degli Anni Cinquanta la Gran Bretagna aveva il suo drappello di
riviste efficienti; e senza dubbio il loro collaboratore più prolifico era E.
C. Tubb.
Edwin Charles Tubb è nato a Londra mercoledì 15 ottobre 1919; e
vendette il suo primo racconto, No Short Cuts, a John Carnell nel 1950; fu
pubblicato su New Worlds nell'estate 1951. Ormai Tubb aveva cominciato
a vendere regolarmente romanzi al fiorente mercato dei tascabili, e basta
consultare l'elenco delle sue opere nelle appendici di questo volume per
vedere la mole di tale produzione. Questo non significa che fosse di
qualità scadente. Anzi, Tubb fu uno dei pochi autori che produssero per i
tascabili materiale superiore alla media. Ed i suoi lavori destinati alle
riviste e al loro pubblico più esperto, erano di qualità altissima, come
dimostrerà il seguente racconto lungo.
Nel 1956, Tubb assunse la direzione di Authentic e riuscì ad
accrescerne ancora la popolarità; purtroppo gli editori decisero di
chiudere la rivista per dedicarsi al campo dei tascabili con i Panther
Books. Tubb riversò mesi di lavoro nella rivista, per un compenso minimo,
e impiegò diverso tempo prima di riprendere a scrivere regolarmente. Nel
1959, tuttavia, era di nuovo in piena forma, e soprattutto scriveva
romanzi. Un esempio notevole è il suo libro del 1963, Window on the
Moon. Nel 1966, Rupert Hart-Davis pubblicò una raccolta di suoi
racconti, Ten from Tomorrow, ma purtroppo è solo una frazione del suo
lavoro. Più recentemente, si è dedicato a una serie imperniata sul
personaggio di Earl Dumarest e la sua ricerca della Terra, che è risultata
molto popolare. Ha prodotto parecchi libri tratti dalla serie televisiva
Space 1999, e attualmente sta lavorando ad una serie storica ambientata
ai tempi dell'Impero Romano.
Tubb è una macchina narrativa ispirata e oggi moltissimi suoi scritti
sono perduti per il grosso pubblico: spero quindi che l'inclusione di The
Wager in questo volume induca altri ad andare in cerca dei suoi primi
lavori.
II
III
Heltin non era soddisfatto della nave; ma era la migliore che Jelkson
fosse in grado di fornire. Non era soddisfatto neppure del suo compagno,
ma si trattava di prendere o lasciare, e Heltin, che aveva gusti dispendiosi
ed una propensione per i dubbi piaceri dei mondi dell'Orlo, non aveva
avuto scelta. Adesso sedeva sulla poltroncina di comando e guardava
l'immagine sugli schermi.
«È quello?» San Luchin si sporse sulla spalla del pilota: i suoi occhi
felini brillavano d'anticipazione. Heltin annuì.
«Si. Il pianeta della selvaggina. I suoi sono pronti?»
«Certamente. Abbiamo fatto una scommessa molto ingegnosa. Lei ci
lascerà nello stesso punto dove mi sono procurato l'ultimo trofeo. Ci
lascerà tre rivoluzioni di tempo e poi verrà a prelevarci di nuovo. Quello
che avrà raccolto il più grande numero di trofei vincerà ventimila milar.»
Aspirò con un suono sibilante. «Dovrebbe essere divertente.»
«Non esagerate,» l'avvertì Heltin, inquieto. «È già stato qui e sa che
questi esseri hanno una specie di civiltà. Potreste trovarvi in guai seri. Non
si tratta semplicemente di atterrare e di mietere un raccolto, vede. Lo scopo
è opporre le vostre intelligenze e la vostra abilità agli abitanti... e cavarvela
impunemente.» Esitò. «È sicuro di non preferire un'area più isolata?»
«No.» San Luchin era decisissimo. «Tutto il fascino del piano sta nel
fatto che correremo qualche pericolo personale. Prendiamo con noi solo
l'equipaggiamento protettivo essenziale e dovremo usare tutte le nostre
capacità sia per procurarci i trofei sia per non farci sorprendere. Ha un
ipnoistruttore per la lingua?»
«Sì, i nastri sono già pronti. Però non sono riuscito a procurarmi molta
moneta locale: dovrete arrangiarvi come potrete.» Heltin regolò i comandi
e l'immagine sugli schermi divenne improvvisamente molto più vicina. «Si
sbrighi con i preparativi. Non voglio restar qui più a lungo dello stretto
indispensabile.»
«Perché? I Guardiani non possono scoprire i suoi schermi, non è vero?»
«Spero di no,» disse sinceramente Heltin. «Quella base sulla Luna mi
sembra tremendamente efficiente.»
Portò il vascello più vicino al pianeta, mentre i suoi passeggeri si
familiarizzavano con la lingua; e con tempismo perfetto, atterrò quando il
sole era dall'altra parte del pianeta. Cautamente, aprì il portello stagno e
guardò fuori, nell'oscurità.
Un uomo che camminava per la strada deserta, fissò la mole della nave,
poi tirò avanti per la sua strada. Heltin sogghignò: gli schermi d'invisibilità
stavano facendo evidentemente il loro dovere, e per un momento provò la
tentazione di lasciare la nave dov'era, invece di seguire il piano originario
e di attendere sotto la superficie di uno dei mari. Poi scacciò quell'idea.
Anche se gli abitanti locali non potevano individuarlo, i Guardiani
sarebbero stati in grado di captare la sua radiazione e, anche con gli
schermi alterati, sarebbe stato più opportuno ripararsi sotto un chilometro
d'oceano. Si girò verso i suoi passeggeri che si affollavano verso il
portello.
San Luchin si mise alla testa del gruppo. Come gli altri, indossava
indumenti così simili a quelli degli indigeni che la differenza non si
notava. Ognuno aveva camuffato le sue caratteristiche personali, e ognuno
portava una sola arma offensiva, di scarsa efficienza eppure idealmente
adatta al programma in corso. Heltin restò a guardare mentre i cinque
uomini balzavano al suolo.
«Aspettate un momento,» disse bruscamente. «Avete dimenticato una
cosa: dove li metterete?»
«Questo è affar nostro.» San Luchin espresse la sua irritazione con un
gesto particolare, tendendo e stringendo la mano destra. «Abbiamo
intenzione di goderci in pieno il passatempo, e più sarà difficile, tanto
meglio sarà. Adesso decolli e torni a prenderci fra tre rivoluzioni.»
Heltin scrollò le spalle. «Affar vostro. Buona caccia.»
Quelli risposero con cenni del capo e si allontanarono, mentre il portello
si richiudeva. Prima che fossero usciti dalla zona, la nave era sparita, e
dopo un momento, un turbine d'aria disse che era ripartita. San Luchin
tenne rapidamente consiglio.
«Propongo che ci separiamo per dirigersi in aree divergenti,» disse, nella
lingua appena acquisita. «A parte i giubbotti a energia siamo indifesi e, per
evitare interferenze, non faremo tentativi di stabilire contatti personali fino
a quando ci incontreremo qui al momento fissato. D'accordo?»
Gli altri annuirono e si dispersero: ognuno scelse un percorso che lo
portasse il più lontano dagli altri. San Luchin li guardò allontanarsi e poi,
dopo aver riflettuto un istante, si diresse verso il centro della città.
Canticchiava un po', mentre camminava, un mormorio quasi ferino, e i
suoi occhi, mentre guardava la folla circostante, brillavano d'eccitazione
crescente. Aveva fatto bene ad insistere per un soggiorno di tre rivoluzioni.
Aveva fatto bene a rendere la caccia il più possibile difficile. Da troppo
tempo non c'era stata una vera possibilità di un sano divertimento. Anche
gli androidi artificiali erano ben miseri surrogati degli originali. Andavano
bene, ma solo nella misura in cui i fabbricanti li rendevano adatti; e
quando si costruiva una cosa, se ne conoscevano le esatte capacità. Quegli
esseri erano diversi. Le loro capacità erano sconosciute, e potevano
rivelarsi deliziosamente pericolosi.
Frenò il movimento inconscio della sua mano verso l'arma che portava
sotto il giubbotto. Non ancora. Prendere i trofei sarebbe stata la parte più
facile, anche se dava il brivido supremo. Poteva permettersi di attendere e
di godere il piacere dell'anticipazione. Prima c'erano altre cose cui pensare:
trovare una base, osservare la selvaggina, assicurarsi un nascondiglio.
Canticchiò più forte, mentre camminava cautamente tra la folla.
Erano anni che non si divertiva così.
IV
Il capitano Mason era nel suo ufficio e guardava i fasci di carte che
aveva davanti. Era notte, e la lampada da tavolo gettava un ampio cono di
luce sui fogli sparpagliati. Erano quasi tutti rapporti, dettagli di una ricerca
che fino ad ora si era rivelata inutile. Prese un fascicolo e cominciò a
sfogliarne le pagine, cercando per la millesima volta qualcosa, che cosa
non sapeva... qualcosa che gli fornisse una pista per l'omicidio più
pubblicizzato degli ultimi dieci anni.
Alzò la testa quando il vice-procuratore distrettuale entrò nell'ufficio
sbattendo la porta e si piazzò su una sedia.
«Ci sei ancora dietro, Tom?»
«Sì,» Mason sospirò e accettò la sigaretta che l'altro gli offriva. «Grazie.
Andrai avanti con il processo, Bob?»
«Che altro posso fare?» Bob Shaw fece scattare un accendino e accese le
due sigarette. «Il capo è con le spalle al muro. La stampa non gli dà tregua
e, se non ce la farà a condurre in porto questo caso, potrà dire addio alle
sue speranze alle prossime elezioni.»
«Credi di poter ottenere una condanna?»
«Di sicuro.» Bob fissò la faccia tormentata del capitano. «Che cosa
succede? Non credi che sia stato quel Holden?»
«Non sono certo che sia stato lui,» ammise lentamente Mason. «Non so
come, ma non quadra.» Prese il fascicolo. «Nessun movente. Nessun'arma.
Niente macchie sui vestiti. Può darsi benissimo che stesse semplicemente
passeggiando, come dice lui, quando l'abbiamo fermato.»
«Dimentichi il testimone,» gli ricordò Shaw. «È pronto a giurare che
Holden è l'uomo che ha visto fuggire dalla scena del delitto.»
«Quell'alcolizzato? Chi gli crederà?»
«La giuria: e questo è tutto ciò che conta.» Shaw tirò una boccata dalla
sigaretta. «Ha parlato?»
«Non ancora.»
«Non gli servirà a niente. Fare scena muta non è il modo migliore per
dimostrare la propria innocenza. Se non hai niente da nascondere, allora
perché non parli? Smettila di provare rimorsi per lui Tom: se è nei guai, è
tutta colpa sua.»
«Può darsi.» Mason sospirò, posando il fascicolo. «Ma non sono affatto
tranquillo. Non hai affatto prove convincenti a suo carico. Qualunque buon
avvocato le farebbe a pezzi e riuscirebbe a farlo assolvere.»
«Tu credi?» Shaw soffiò il fumo dalle narici. «Non sono d'accordo.
Senti, la faccenda del movente possiamo dimenticarcela. Il morto era una
specie di playboy, e possiamo insinuare che il nostro amico fosse un po'
geloso o qualcosa del genere. Ma non conta molto. L'uomo è morto, e
questa è la sola cosa di cui dobbiamo occuparci; e Holden è un bersaglio
immobile e se la passerà male.»
«Anche se è innocente?»
«Raccontalo agli uccellini. È colpevole come il diavolo, ecco perché non
parla; e sa che non appena comincerà a parlare, noi controlleremo e lo
smaschereremo.» Shaw fissò Mason. «Senti. Ha buttato via il coltello,
questo è semplice: c'è un gran tratto di terreno incolto, vicino al luogo del
delitto, e in fondo c'è un grande tombino. Lui ha gettato anche il suo
carico, è tornato indietro, e poi ha cercato di far credere che stava
semplicemente facendo una passeggiata. Per sua sfortuna, è stato visto da
un testimone, e noi abbiamo bloccato la zona troppo presto. Altri cinque
minuti, e lui se ne sarebbe andato.»
«E il sangue?»
«Fortuna oppure...» Bob scrollò le spalle. «Opteremo per la fortuna.» Si
alzò in piedi. «Sei approdato a qualcosa con le sue impronte digitali?»
«No. Non sono schedate da nessuna parte.»
«Forse è anche renitente alla leva,» insinuò Bob. «Comunque, non
lasciarti abbattere, Tom. Dopotutto, che cosa conta, per te?» Se ne andò, e
il capitano guardò di nuovo il fascicolo, aggrottando la fronte.
Per Bob era facile parlare, era ancora più facile starsene tranquillo e
comportarsi cinicamente, anche se mandava sulla sedia elettrica un
innocente; ma Mason non poteva dimenticare che il dovere di un poliziotto
non consisteva semplicemente nel presumere la colpevolezza: doveva
anche contribuire a provare l'innocenza.
E c'era qualcosa che non andava.
Lo sapeva. Lo sentiva ogni volta che vedeva il detenuto. Quell'uomo non
era pazzo: e quale uomo sano di mente ne avrebbe decapitato un altro?
Non era neppure un assassino, sebbene Mason sapesse che chiunque, in
date condizioni, poteva diventare assassino. C'era qualcosa d'inafferrabile,
qualcosa che non rientrava nei solchi della normalità: e più ci pensava, e
più la cosa lo preoccupava.
Le impronte digitali, per esempio. Quelle di Holden erano state
riprodotte, secondo la consuetudine, e inviate qua e là per un controllo.
Che non fossero schedate non era straordinario: significava semplicemente
che non aveva mai lavorato in uno stabilimento della difesa, non era mai
stato arrestato in precedenza, non aveva prestato servizio presso le forze
armate, non aveva mai lavorato per una grande azienda e non aveva fatto
richiesta di passaporto. La cosa straordinaria erano proprio le impronte.
Mason le fissò, aggrottando la fronte davanti a quello schema strano,
assolutamente innaturale. Sapeva che tutte le impronte normali rientravano
in categorie ben definite, a seconda degli archi e delle spirali; ma quelle di
Holden stavano in una classe a sé. Niente archi, niente spirali, una serie di
motivi a spina di pesce su cui si sovrapponeva una massa ondulata di linee
circolari, il tutto confuso e distorto fin quasi ad essere irriconoscibile. Era
sconcertante; e mentalmente Mason cominciò a riconsiderare gli elementi
a carico di Gort.
Il coltello? Shaw l'aveva spiegato; e se il delitto era stato premeditato,
era appunto quello che avrebbe fatto l'assassino. Il movente? Non era
essenziale, e non era compito suo provare il movente. Il sangue? Fortuna,
come aveva detto Shaw, oppure...?
Il sangue!
Frettolosamente, Mason sfogliò il fascicolo sino a quando trovò quel che
cercava: una foto 20 x 25 della scena del delitto. La guardò socchiudendo
gli occhi, con impazienza, mentre qualcosa gli assillava il cervello.
Premette l'interruttore di un citofono.
«Centralino? Qui Mason. Passami il dottor Wheelan.» Attese,
tamburellando con le dita sul bordo della scrivania. «Doc? Sono Mason.
Quanto sangue contiene un corpo umano?» Aggrottò la fronte nell'udire i
suoni che uscivano dal ricevitore. «No, non sto scherzando, potrebbe
essere una faccenda seria.» Ascoltò ancora. «Tanto? Se qualcuno tagliasse
una testa schizzerebbe fuori? Quasi tutto? Dipende? Senta, lei conosce il
caso su cui sto lavorando; beh, a quanto posso dire dalle fotografie non c'è
stato quasi sangue. Come lo spiega?» Ascoltò ancora. «Okay, okay, non me
ne sono accorto sul momento. Diavolo, Doc, stava piovendo, la notte era
buia e io avevo altre cose per la mente. Il rapporto? No, non l'ho letto,
perché avrei dovuto farlo? L'uomo era morto, no? E la causa la vedevo
anch'io. Vuol calmarsi un momento?» La faccia di Mason s'indurì mentre
ascoltava. «È sicuro? Sicurissimo? Okay, ma non mi salti alla gola. Volevo
soltanto sapere.»
Lentamente, tolse la comunicazione, il volto oscurato dal pensiero. Poi
all'improvviso, premette di nuovo il pulsante.
«Centralino? Qui Mason. Faccia portare qui il detenuto Gort Holden.
Immediatamente.»
Attese fissando la fotografia: la grinza tra le sue sopracciglia era un
punto interrogativo vivente.
San Luchin era nella sua stanza d'albergo e tremava, mentre ascoltava il
giornale radio. Che sciocchi! Quegli innominabili sciocchi se n'erano
andati a caccia di trofei subito dopo essere arrivati. Eppure, anche se si
erano comportati da idioti, la loro azione aveva reso la caccia ancora più
eccitante.
Una grande carta topografica della città era aperta davanti a lui sul
pavimento, e San Luchin la scrutò, segnando le zone dov'erano stati trovati
i cadaveri, ed i suoi occhi felini sfolgoravano d'interesse mentre
estrapolava i probabili risultati della caccia intempestiva. Ovviamente,
avevano sottovalutato le risorse del pianeta. Secondo il giornale radio, le
zone adesso erano bloccate, ed ogni persona che vi veniva sorpresa
all'interno sarebbe stata interrogata. Altrettanto ovviamente, avrebbero
dovuto abbandonare i trofei e, nel contempo, avrebbero corso il rischio di
venire scoperti.
Snudò i denti mentre ci pensava: quasi quasi li invidiava eppure, nello
stesso tempo, riconosceva il pericolo in cui si trovavano. Non
dell'annientamento personale, naturalmente, poiché i campi di forza
protettivi li avrebbero salvaguardati; ma avrebbero corso il rischio di
essere così indaffarati da perdere inevitabilmente la scommessa. Inoltre, e
questo era ancora più importante, avrebbero dovuto sottrarsi a tutti i
sospetti inutili. Non che gli indigeni contassero qualcosa - non contavano
niente - ma gli occhiuti Guardiani contavano, e quello era un pianeta da
caccia troppo bello per perderlo tanto presto.
La cosa più sciocca era stata prendere i trofei quando era sicuro che i
cadaveri sarebbero stati scoperti quasi immediatamente.
Irrequieto, cominciò a camminare avanti e indietro. Aveva fatto i suoi
piani, aveva esaminato la zona, sapeva dove e quando colpire, e aveva
addirittura già pronti i contenitori per i suoi trofei. Si soffermò accanto alle
valigie di plastica... strano che quella razza conoscesse la plastica. Erano
l'ideale per i suoi scopi: leggere, robuste, e di dimensioni studiate apposta
per offrire la massima capacità con il minimo ingombro. Le stava ancora
esaminando quando bussarono alla porta.
«Sì?»
«Polizia, apra.»
«Un momento.» Rapidamente controllò, per assicurarsi che i suoi occhi
fossero nascosti dalle lenti a contatto, il camuffamento fosse perfetto e gli
abiti in ordine. Aprì prima che l'agente in uniforme avesse avuto il tempo
di bussare di nuovo.
«In che cosa posso esserle utile?»
«Può rispondere a qualche domanda,» scattò il poliziotto. Era grande e
grosso, e aveva un'arma nella fondina appesa alla cintura; il berretto
dell'uniforme era spinto all'indietro sulla testa calva. San Luchin fissò
affascinato quel cranio, immaginandolo montato su una parete della sua
sala trofei, e si sorprese di nuovo dell'incredibile varietà dei trofei che era
possibile procurarsi su quel pianeta. Si ricordò di sorridere.
«Certamente. Che cosa vuol sapere?»
«Dove si trovava durante le ultime due ore? Ha qualche documento
d'identità? C'è qualcuno che può garantire per lei?» L'agente snocciolò le
domande e San Luchin immaginò che si limitasse a svolgere una indagine
di routine. Si rilassò un po' e si frugò nella giacca cercando il portafoglio.
«Ecco... patente di guida, carta delle assicurazioni sociali, carte di
appartenenza alla Loggia e polizza assicurativa. Non sono della città, sono
venuto qui per affari, e in queste ultime ore sono rimasto quasi sempre in
camera mia.» Sorrise di nuovo. «Devo aver preso un po' d'influenza,
immagino. Il portiere dovrebbe essere in grado di confermarlo.»
«Ho già controllato,» disse l'agente. Guardò le carte contenute nel
portafoglio. «Mi dispiace di averla disturbata, signor Jones, ma sa com'è,
nel mio lavoro. Con un maniaco che se ne va in giro per la città, non si è
mai abbastanza prudenti.» Chiuse il portafoglio e lo restituì. «Se vuol
sapere quel che ne penso io, è tutto tempo sprecato. Diavolo, chiunque
capirebbe che l'assassino non resta sulla scena delle sue imprese.
Comunque, a cosa serve controllare tutti i residenti nella speranza di
trovare qualche individuo sospetto?»
«Deve essere un lavoraccio,» commentò comprensivo San Luchin.
Sapeva che non era il caso di mostrarsi dogmatico. «Pensa che li
troveranno?»
«Li?» L'agente inarcò le sopracciglia. «Chi ha mai detto che sono più di
uno?»
Era stato un errore, ma lui non era riuscito a resistere alla tentazione. Un
buon cacciatore impara le reazioni della selvaggina, e San Luchin sapeva
di essere un buon cacciatore. Si costrinse a distogliere lo sguardo da
quell'allettante trofeo.
«Mi scusi: ero un po' confuso, credo. Tre cadaveri, vede...» Aprì le mani.
L'agente annuì.
«È vero, ma può darsi che ci sia solo un assassino, abbastanza pazzo per
fare quello che ha fatto.» Spinse all'indietro il berretto e si grattò la testa
calva. «Beh, credo che farò meglio a proseguire il mio lavoro. Buonasera,
signor Jones.»
«Buonasera.» San Luchin si appoggiò alla porta chiusa e aspirò l'aria
viziata, un po' secca. Lottò disperatamente per controllare le sue reazioni.
Non ancora! Non ancora! Il pensiero gli martellava dentro la testa,
calmando gradualmente le emozioni che ribollivano in lui. Aveva quasi
ceduto alla tentazione, e aveva avuto una fuggevole visione precognitiva.
La presa del trofeo, poi l'inevitabile fuga, la caccia in cui il cacciatore
sarebbe stato cacciato. La contrapposizione fra astuzia e astuzia, abilità e
abilità, e sempre ci sarebbe stata la tentazione di acquisire nuovi trofei.
Chiuse gli occhi e fremette di un piacere orgiastico mentale.
Quando li riaprì, era gelidamente calmo.
VI
VII
Titolo originale:
The Wager
(Science Fantasy, novembre 1955).
KOSSIN
(Galaxy, aprile 1955)
APPENDICI
ED EMSH
(Space Stories, giugno 1953)
Anche le Appendici che seguono, come quelle inserite nel volume Porte
sul futuro, hanno la funzione di completare con dati bio-bibliografici le
informazioni relative allo sviluppo delle riviste di fantascienza nel periodo
trattato (in questo caso il decennio 1946-1955) e sono organizzate nel
medesimo modo.
Le bibliografie sono limitate, per necessità di spazio, agli autori che
figurano nella sezione antologica.
Legenda