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Pietro Pomponazzi

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Pietro Pomponazzi

Pietro Pomponazzi, noto anche col soprannome di Peretto Mantovano (1462 – 1525), filosofo e umanista italiano.

Citazioni di Pietro Pomponazzi

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  • [rivolto ai suoi discepoli] Alla filosofia credete fin dove ragione vi detta, alla teologia quanto vogliono i teologi e i prelati con tutta la chiesa romana, perché altrimenti vi faranno fare la fine delle castagne.[1][fonte 1]
  • Bene dissero gli antichi quando posero l'uomo fra le cose eterne e quelle temporali, perciò che non è né puramente eterno né semplicemente temporale, ma partecipando di entrambe le nature, e stando medio fra esse, gli è concesso viver quella che vuole. Perciò avviene che si diano tre tipi di uomini: alcuni, e sono ben pochi, sono annoverati fra gli Dei perché, dominati il vegetare e il sentire, divengono quasi totalmente razionali. Altri, lasciando l'intelletto e sommersi nel senso, paiono essersi tramutati in bestie. Altri infine, veri e propri uomini, son coloro che mediocremente han vissuto secondo le virtù morali, senza darsi tutti all'intelletto né tutti obliandosi nel corpo.[fonte 2]
  • La questione dell'immortalità dell'anima è un problema neutro come quello dell'eternità del mondo. Mi sembra perciò che nessun argomento naturale si possa addurre che costringa a credere che l'anima sia immortale.[2]

Citazioni su Pietro Pomponazzi

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  • Era il Peretto un omicciuolo molto picciolo, con un viso che nel vero aveva più del giudeo che del cristiano, e vestiva anco ad una certa foggia che teneva più del rabbi che del filosofo, e andava sempre raso e toso; parlava anco in certo modo che pareva un giudeo tedesco che volesse imparar a parlar italiano. (Matteo Bandello)
  • Pomponazzi insiste in più luoghi sul carattere solitario e ribelle del vero filosofo; ribelle fra gli uomini comuni, che sono piuttosto animali che persone, o maschere e finzioni dinanzi a divinità terrene; «i filosofi sono come Dei terreni, tanto lontani dagli altri tutti come uomini veri da figure dipinte». Ribelle rispetto al filosofare medesimo, quando questo divenga luogo comune, banale ripetizione di motivi accolti passivamente; poiché il filosofare non è ripetere la parole del Filosofo (Aristotele) o del Commentatore (Averroè), ma è ricercare il vero senza rispetto alcuno per autorità alcuna. (Eugenio Garin)

Note

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  1. Arrostiti come gli eretici nei roghi dell'Inquisizione.
  2. Da De immortalitate animae, 15, trad. N. Abbagnano. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X

Fonti

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  1. Citato in Eugenio Garin, Storia della filosofia italiana, terza ed., Edizione CDE su licenza della Giulio Einaudi editore, Milano, 1989, vol. 2, p. 15.
  2. Da De immortalitate, cap. 1; citato in Eugenio Garin, ibidem, vol. 2, pp. 22-23.

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