25 maggio 2016
Dove sono tutti quanti? Un viaggio tra stelle e pianeti alla ricerca della vita
Nel caso vi fosse sfuggito, lo dico anche qui: è uscito il mio nuovo libro, «Dove sono tutti quanti?» Altre informazioni le trovate a questa pagina. Aggiornamenti su presentazioni e altro su Twitter, Facebook, o iscrivendosi alla mia newsletter.
29 aprile 2016
Una newsletter
Ho pensato di iniziare una newsletter. Ovvero: voi vi iscrivete, e io ogni tanto vi mando una e-mail in cui scrivo cose che immagino possano interessarvi. È un tentativo, vediamo come va. Comunque, il link per iscriversi è questo.
15 giugno 2015
Fate come se qui ci fosse un titolo
Visto che ogni tanto me lo chiedete: no, questo blog non è morto. Diciamo che è in ibernazione.
Ora, io lo so che quando uno dice "non ho tempo" in realtà sta dicendo "non ho voglia". L'ho sempre pensata così, e la penso così tuttora. Nella vita si stabiliscono delle priorità, e evidentemente scrivere qui sopra non è più una priorità. D'altra parte, sono quasi dieci anni che esiste Keplero, e le cose cambiano parecchio, in dieci anni. Ho sempre curato questo spazio nei ritagli di tempo, e man mano quei ritagli sono diventati coriandoli. Scrivere due rubriche ogni mese (su Le Scienze e su Wired: spero che le seguiate, altrimenti che parliamo a fare?) è un impegno serio, e nel frattempo sto anche lavorando a un libro nuovo. In più bisogna far progredire la scienza, addestrare i prossimi Einstein e, se avanza qualcosa, avere una vita.
Insomma è colpa mia, d'accordo. Però è anche un po' colpa vostra. È inutile che fischiettate, lo vedo che non è più come prima, che siete tutto il tempo sui social. Pure io, peraltro. Se devo scrivere una cosa breve, se devo solo segnalare qualcosa, è più veloce, più pratico, più immediato farlo su Twitter e su Facebook. Perché poi c'è anche che, purtroppo, sono un perfezionista (altro che principio di Pareto), per cui, quando avrò finito di scrivere queste quattro righe, perderò altrettanto tempo a decidere un titolo che mi soddisfi e, alla fine, quando premerò il tasto "pubblica", guarderò l'orologio e la lista delle cose da fare e penserò che così non può andare. (E poi, dopo due ore, mentre sono concentrato in qualcos'altro, mi verrà in mente un titolo migliore.)
E quindi che si fa? E che ne so? In ogni caso questo è il periodo in cui chiunque incontri ti dice "ne riparliamo dopo l'estate". Ci faremo venire in mente qualcosa. Qualcosa di nuovo, magari, perché le cose cambiano.
Voi comunque restate in ascolto, non si sa mai. Pure Philae, avete visto?, ha dormito sette mesi e poi si è risvegliata.
12 marzo 2015
Su Encelado potrebbe esserci attività idrotermale
Secondo due studi appena pubblicati su Nature e su Geophysical Research Letters, ci sono forti evidenze che nell'oceano sotto la superficie ghiacciata della luna di Saturno Encelado sia in corso attività idrotermale. Le prove sono legate a due diverse osservazioni fatte dalla sonda Cassini: la presenza di microscopiche particelle di silicati nel sistema di Saturno, e di metano nelle piume di gas che fuoriescono dalle spaccature nel ghiaccio della crosta di Encelado. La migliore spiegazione dei due fenomeni, in base al confronto con quanto avviene sul nostro pianeta, è data dall'interazione di acqua molto calda con rocce e con acqua a temperature inferiori.
Per quanto ne sappiamo, sarebbe l'unico altro posto del sistema solare su cui accade una cosa del genere, a parte la Terra. Per dare un'idea della potenziale importanza: le sorgenti idrotermali sul fondo degli oceani terrestri sono ai primi posti della classifica dei luoghi più probabili dove potrebbe avere avuto origine la vita sul nostro pianeta. E oggi, sulla Terra, interi ecosistemi riescono a sopravvivere attorno a questi sfiatatoi caldi nelle profondità marine, in quasi totale isolamento dalla superficie e praticamente in assenza di luce solare. Insomma, allo stato attuale delle cose, Encelado diventerebbe il posto più importante del sistema solare su cui cercare altre forme di vita: ci sarebbero acqua liquida, una sorgente di energia (geotermica) e abbondanza di elementi chimici, ovvero i tre prerequisiti ritenuti indispensabili per la vita come la conosciamo.
4 marzo 2015
La stampa 3D e l'astrofisica
Un gruppo di astrofisici ha usato una stampante 3D commerciale per visualizzare i risultati delle simulazioni delle collisioni dei venti stellari all'interno di η Carinae, un sistema stellare binario. La cosa ha permesso di rivelare strutture non identificate precedentemente.
We present the first 3D prints of output from a supercomputer simulation of a complex astrophysical system, the colliding stellar winds in the massive (≳120 M⊙), highly eccentric (e∼0.9) binary star system η Carinae. We demonstrate the methodology used to incorporate 3D interactive figures into a PDF journal publication and the benefits of using 3D visualization and 3D printing as tools to analyze data from multidimensional numerical simulations. Using a consumer-grade 3D printer (MakerBot Replicator 2X), we successfully printed 3D smoothed particle hydrodynamics (SPH) simulations of η Carinae’s inner (r∼110 au) wind-wind collision interface at multiple orbital phases. The 3D prints and visualizations reveal important, previously unknown ‘finger-like’ structures at orbital phases shortly after periastron (φ∼1.045) that protrude radially outward from the spiral wind-wind collision region.L'articolo completo, con le immagini (inclusi i modelli 3D interattivi, che purtroppo si possono visualizzare sono usando Adobe Reader), è qui.
Lo scorso anno, astronomi dello Space Telescope Science Institute avevano cominciato a esplorare l'uso della stampa 3D per convertire l'archivio di foto del telescopio spaziale Hubble in immagini tattili per i non vedenti.
11 febbraio 2015
Il metodo scientifico, il Dr. Jekyll e Mr. Hyde
Negli ultimi giorni del 2014 è apparso su Nature un commento dei cosmologi George Ellis e Joe Silk a proposito del metodo scientifico e della sua applicazione agli sviluppi più speculativi della fisica teorica moderna. Ellis e Silk si concentrano soprattutto su due aree di ricerca sulla natura fondamentale della realtà: la teoria delle stringhe e il multiverso. La teoria delle stringhe tenta di dare una descrizione unificata della realtà sulla base di entità a una o più dimensioni (stringhe, appunto, nel primo caso; membrane, nel secondo), usando un formalismo matematico molto complesso che presuppone, fra l’altro, l’esistenza di un numero di dimensioni spaziali superiori alle tre che possiamo osservare nell’esperienza ordinaria. Il multiverso, ovvero l’idea che possano esistere molti altri universi oltre al nostro, non è invece propriamente una teoria, ma piuttosto una previsione degli scenari che provano a descrivere l’origine del nostro universo a partire da una fase primordiale di espansione accelerata nota come inflazione.
Entrambi gli scenari sono estremamente difficili da verificare empiricamente. Nel caso della teoria delle stringhe, la difficoltà è di natura tecnologica: non abbiamo (e probabilmente non avremo mai) acceleratori di particelle abbastanza potenti per arrivare alle energie necessarie per osservare direttamente le dimensioni extra o altre conseguenze della teoria, anche se sono ipotizzabili situazioni particolari che potrebbero dare luogo a effetti osservabili al Large Hadron Collider. Nel caso del multiverso, il limite è ancora più drastico ed è la natura stessa a imporlo: gli altri universi ipotizzati dallo scenario sono di fatto fuori dalla possibilità di entrare in contatto con il nostro tramite interazioni fisiche, anche se sono state fatte proposte per la ricerca di tracce di collisioni primordiali tra il nostro universo e gli altri.
Siamo quindi in una situazione in cui le idee più recenti della fisica teorica si sono spinte molto al di là del dominio dell’indagine sperimentale. Ma senza prove empiriche non c’è vera scienza, commentano preoccupati Ellis e Silk. Che facciamo? (Continua a leggere sul Post...)
Entrambi gli scenari sono estremamente difficili da verificare empiricamente. Nel caso della teoria delle stringhe, la difficoltà è di natura tecnologica: non abbiamo (e probabilmente non avremo mai) acceleratori di particelle abbastanza potenti per arrivare alle energie necessarie per osservare direttamente le dimensioni extra o altre conseguenze della teoria, anche se sono ipotizzabili situazioni particolari che potrebbero dare luogo a effetti osservabili al Large Hadron Collider. Nel caso del multiverso, il limite è ancora più drastico ed è la natura stessa a imporlo: gli altri universi ipotizzati dallo scenario sono di fatto fuori dalla possibilità di entrare in contatto con il nostro tramite interazioni fisiche, anche se sono state fatte proposte per la ricerca di tracce di collisioni primordiali tra il nostro universo e gli altri.
Siamo quindi in una situazione in cui le idee più recenti della fisica teorica si sono spinte molto al di là del dominio dell’indagine sperimentale. Ma senza prove empiriche non c’è vera scienza, commentano preoccupati Ellis e Silk. Che facciamo? (Continua a leggere sul Post...)
30 gennaio 2015
E dei risultati di BICEP2 restò solo la polvere
Il finale non sarà una grande sorpresa per chi ha seguito tutte le puntate precedenti della storia (agevoliamo: 1, 2, 3, 4) ma ormai è chiaro che quella trovata da BICEP2 non era la prova dell'esistenza di onde gravitazionali primordiali. Per l'ufficialità e i dettagli tecnici bisognerà aspettare la settimana prossima, quando uscirà su Physical Review Letters l'articolo che riporta i risultati dell'analisi congiunta dei dati di BICEP2 e di Planck (aggiornamento: il preprint è già disponibile sulla pagina di BICEP), ma la conclusione è ormai di dominio pubblico (non si capisce quanto volontariamente, visto che oggi una pagina con l'annuncio è stata rimossa dopo essere circolata per qualche ora sul web).
Tirando le somme: quando a marzo dello scorso anno BICEP2 ha annunciato di aver misurato il segnale di polarizzazione nella radiazione cosmica di fondo ha ritenuto, sulla base dei dati disponibili e dei modelli teorici, che esso non potesse essere attribuito alla contaminazione della polvere della nostra galassia, e lo ha interpretato come causato da onde gravitazionali prodotte negli istanti iniziali dell'universo. I dati di Planck raccolti nella stessa regione di cielo e analizzati in seguito hanno invece mostrato che l'emissione della polvere galattica è più che sufficiente a spiegare quanto osservato da BICEP2: se le onde gravitazionali ci sono, sono ben nascoste e per stanarle in futuro bisognerà guardare con maggiore accuratezza.
Insomma, alla fine ne sappiamo più di prima, il che è sicuramente un bene. Col senno di poi, però, si può dire con serenità che certi eccessi comunicativi (torna alla mente il video di Linde che stappa lo champagne) potevano essere evitati. Visto che la ricerca non finisce qui, al prossimo giro bisognerà stare più attenti.
29 gennaio 2015
Il più antico sistema planetario mai scoperto
A 117 anni-luce da qui (non proprio dietro l'angolo, ma relativamente vicino su scala galattica) ci sono cinque piccoli pianeti che orbitano attorno a Kepler-444, una stella simile al Sole. Il più piccolo è grande più o meno come Mercurio, il più grande come Venere. Orbitano tutti molto vicini alla loro stella, a una distanza inferiore a quella tra Mercurio e il Sole (qui c'è una animazione che mostra come stanno le cose). Sono quindi quasi certamente inospitali per la vita come la conosciamo, ma hanno una caratteristica che li rende molto interessanti: sono vecchi, molto vecchi. L'età del sistema è stata determinata da un gruppo di ricercatori combinando i dati di Kepler con altre osservazioni: è venuto fuori che Kepler-444 ha circa 11.2 miliardi di anni. È il più antico sistema planetario noto: si è formato quando la nostra galassia aveva forse un paio di miliardi di anni, e l'universo solo qualche centinaio di milioni di anni in più. Per mettere le cose in prospettiva: quando si è formato il nostro sistema solare, 4.5 miliardi di anni fa, i pianeti di Kepler-444 erano già più vecchi di quanto non sia oggi la nostra Terra. Tutto questo suggerisce che probabilmente la formazione di pianeti piccoli e rocciosi è un processo che è iniziato molto presto nella storia dell'universo. E che lì fuori potrebbero esserci molti pianeti simili al nostro ma con un passato molto più lungo.
27 gennaio 2015
La scienza di Interstellar
A dicembre, ho partecipato a una puntata di Nautilus (la trasmissione di scienza che va in onda ogni sera alle 21 su Raiscuola) in cui si parlava delle teorie che hanno ispirato Interstellar. Qui sopra c'è un estratto di pochi minuti in cui ho provato a fare una carrellata delle principali idee su cui è basato il film. Nella puntata intera c'è molto altro: se avete mezz'ora libera, la trovate a questo link.
18 gennaio 2015
L'uomo di Marte, ovvero un naufragio spaziale raccontato in modo credibile (altro che Gravity)
La prima pagina del copione de L'uomo di Marte, con disegno di Ridley Scott (dalla pagina FB di Andy Weir) |
Durante le vacanze di Natale ho trovato finalmente un po' di tempo per leggere L'uomo di Marte. È un libro di fantascienza che racconta la storia di un astronauta dato erroneamente per morto dai suoi compagni di missione e lasciato da solo sulla superficie di Marte. Il libro è in larga parte il diario estremamente dettagliato e realistico dei tentativi del protagonista di sopravvivere e tornare sulla Terra: una lettura da supernerd, insomma, ma non solo, visto che il libro ha venduto uno sproposito di copie e Ridley Scott ne sta girando un film con un cast stellare. E pensare che l'autore, Andy Weir, inizialmente se lo era autopubblicato, prima a puntate su un blog e poi come ebook su Amazon. (La storia la racconta in questa intervista).
Il libro rende molto bene alcuni aspetti delle imprese spaziali che potrebbero sembrare ovvi ma che si tende a trascurare: per esempio la complessa gestione delle traiettorie orbitali, ma soprattutto il fatto che Marte è molto ostile, è lontano, ed è grande. Ci siamo andati molte volte, con le sonde e i rover, ma ne abbiamo percorso il suolo solo per qualche decina di chilometri, e nonostante abbiamo ormai mappe complete ad alta risoluzione della sua superficie, ritrovare qualcosa che è andato perduto lì sopra è complicato. Ne volete un esempio reale? Proprio l'altro ieri l'ESA ha annunciato di aver finalmente localizzato il lander Beagle-2: se ne erano perse le tracce mentre scendeva sul pianeta, ben undici anni fa.
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