Gerald Ford
Gerald Rudolph Ford Jr., nato Leslie Lynch King, Jr.[1] (Omaha, 14 luglio 1913 – Rancho Mirage, 26 dicembre 2006), è stato un politico statunitense, 38º presidente degli Stati Uniti d'America dal 1974 al 1977.
Gerald Ford | |
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Ritratto ufficiale, 1974 | |
38º Presidente degli Stati Uniti d'America | |
Durata mandato | 9 agosto 1974 – 20 gennaio 1977 |
Vice presidente | Nelson Rockefeller |
Predecessore | Richard Nixon |
Successore | Jimmy Carter |
40º Vicepresidente degli Stati Uniti d'America | |
Durata mandato | 6 dicembre 1973 – 9 agosto 1974 |
Presidente | Richard Nixon |
Predecessore | Spiro Agnew |
Successore | Nelson Rockefeller |
Leader della Minoranza della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti | |
Durata mandato | 3 gennaio 1965 – 6 dicembre 1973 |
Predecessore | Charles A. Halleck |
Successore | John Jacob Rhodes |
Membro della Camera dei rappresentanti - Michigan, distretto n.5 | |
Durata mandato | 3 gennaio 1949 – 6 dicembre 1973 |
Predecessore | Bartel J. Jonkman |
Successore | Richard Vander Veen |
Dati generali | |
Partito politico | Repubblicano |
Titolo di studio | Bachelor of Arts Bachelor of Laws |
Università | Università del Michigan Università Yale |
Professione | Avvocato, politico |
Firma |
Diventato presidente degli Stati Uniti a seguito delle dimissioni di Richard Nixon, è fino ad oggi l'unico presidente ad aver assunto tale ruolo senza essere stato eletto nemmeno come vicepresidente, in quanto venne nominato a tale carica da Nixon dopo le dimissioni di Spiro Agnew, vicepresidente eletto con Nixon.[2]
Durante la sua presidenza finì la guerra del Vietnam e furono firmati gli Accordi di Helsinki nel quadro dell'OSCE, che hanno favorito la distensione con l'URSS. Durante il suo mandato, il Congresso ha assunto un'importanza crescente negli affari internazionali, mentre il ruolo del presidente è diminuito. Per quanto riguarda la politica interna, Ford si è trovato di fronte alle peggiori prospettive economiche dai tempi della Grande depressione: durante i suoi anni in carica, il paese è entrato in recessione e l'inflazione è aumentata. Una delle sue decisioni più controverse fu quella di graziare il predecessore Richard Nixon, implicato nel cosiddetto scandalo Watergate. Nel 1976 Ford sconfisse Ronald Reagan nella nomination del Partito Repubblicano, ma perderà di poco contro il democratico Jimmy Carter nelle elezioni presidenziali di quell'anno.
Spesso descritto come impacciato e poco intelligente, il suo predecessore Lyndon B. Johnson ha affermato che Ford era "incapace di masticare gomme e camminare allo stesso tempo". Dopo i suoi anni in carica, Ford ha continuato ad essere attivo nel Partito Repubblicano. Dopo aver sofferto di problemi di salute, è morto nella sua casa il 26 dicembre 2006 all'età di novantatré anni. Il suo mandato presidenziale, durato 895 giorni, è il più breve tra tutti quelli dei presidenti degli Stati Uniti non deceduti in carica.
Biografia
modificaI primi anni
modificaFord nacque col nome di Leslie Lynch King Jr. il 14 luglio 1913 a 3202 Woolworth Avenue di Omaha, nel Nebraska, dove i suoi genitori vivevano coi suoi nonni paterni. Egli era figlio di Dorothy Ayer Gardner e di Leslie Lynch King Sr., un mercante di lana. Suo padre era figlio del banchiere Charles Henry King e di Martha Alicia Porter. Gardner si separò da King appena sedici giorni dopo la nascita del figlio e si portò a vivere a Oak Park, nell'Illinois, a casa di sua sorella Tannisse e del cognato, Clarence Haskins James. Da qui, poi, tornò alla casa dei genitori, Levi Addison Gardner ed Adele Augusta Ayer, a Grand Rapids, nel Michigan. Gardner e King divorziarono ufficialmente nel dicembre del 1913, e la donna ottenne la piena custodia del figlio. Il nonno paterno di Ford ne pagò il sostentamento sino a poco prima della sua morte nel 1930.[3]
Ford disse nella sua autobiografia che il motivo che aveva spinto sua madre ad abbandonare suo padre era il carattere del genitore.[4] Nella biografia di Ford, James M. Cannon, membro della sua amministrazione presidenziale, disse che alcuni giorni dopo la nascita di Ford, Leslie King cercò di uccidere con un coltello da cucina la moglie, il figlio e la tata che lo accudiva.[5]
Dopo aver vissuto coi nonni per due anni e mezzo, la madre di Ford si risposò con Gerald Rudolff Ford il 1º febbraio 1917. Questi era un venditore presso l'azienda di vernici della famiglia. Il futuro presidente non venne mai formalmente adottato dal patrigno e non cambiò il suo nominativo anagrafico sino al 3 dicembre 1935.[6] Crebbe quindi a East Grand Rapids, nel Michigan coi suoi tre fratellastri nati dal secondo matrimonio di sua madre: Thomas Gardner Ford (1918–1995), Richard Addison Ford (1924–2015) e James Francis Ford (1927–2001).[7]
Ford aveva anche tre sorellastre nate dal secondo matrimonio di Leslie King Sr., suo padre biologico: Marjorie King (1921–1993), Leslie Henry King (1923–1976) e Patricia Jane King (1925–1980). Loro tre incontrarono il fratellastro solo negli anni 1960. Ford non venne a conoscenza delle circostanze della sua nascita sino ai 17 anni, quando i suoi genitori gli raccontarono ciò che era accaduto. Col padre biologico, Ford mantenne dei contatti sporadici sino alla morte di questi nel 1941.[4][8]
Ford disse a proposito della sua famiglia: "Il mio patrigno era una persona magnifica ed allo stesso modo lo era mia madre. Pertanto non potrei aver dato una descrizione migliore per l'immagine di un'ottima famiglia in cui crescere".[9]
Ford frequentò i Boy Scouts of America e raggiunse il rango di Eagle Scout, il più alto.[10] È l'unico Eagle Scout ad essere divenuto poi presidente degli Stati Uniti.[10]
Ford frequentò la Grand Rapids South High School, dove si distinse come atleta e capitano della locale squadra di football americano.[9][11]
Nel 1948 si sposò con Elizabeth Bloomer, divorziata dal suo precedente matrimonio con William Gustavas Warren, da cui ebbe quattro figli: Michael Gerald (1950), John Gardner (1952), Steven Meigs (1956) e Susan Elizabeth (1957).
Carriera politica
modificaMembro del Congresso
modificaMembro del Congresso dal 1949 e per 24 anni per il Partito Repubblicano, dichiarò più volte di non aver mai voluto correre per la nomination presidenziale. Il suo maggiore sogno politico fu, infatti, quello di diventare speaker della Camera.[12] Ford fece parte della Commissione Warren, che indagò sull'assassinio di John Fitzgerald Kennedy, avvenuto a Dallas il 22 novembre 1963. Fu anche il leader del Partito Repubblicano alla Camera dei rappresentanti, carica che detenne dal 1965 al 1973.
Vicepresidente degli Stati Uniti d'America
modificaDopo le dimissioni di Spiro Agnew, giunte a seguito di gravi accuse (poi confermate) di corruzione e riciclaggio di denaro,[2] il 12 ottobre 1973 venne scelto da Nixon come nuovo vicepresidente. Fu la prima volta che venne applicato il 25º emendamento: prima che esso entrasse in vigore, qualora un vicepresidente fosse deceduto mentre era in carica o si fosse dimesso, il ruolo restava vacante fino alle successive elezioni presidenziali. L'emendamento dava invece la possibilità al presidente di nominare un nuovo vice, purché con l'approvazione di entrambi i rami del Congresso. Il Senato degli Stati Uniti votò per confermare Ford il 27 novembre: solo tre senatori, tutti democratici, votarono contro: Gaylord Nelson del Wisconsin, Thomas Eagleton del Missouri e William Hathaway del Maine. Il 6 dicembre la Camera dette il suo voto definitivo, con 387 voti favorevoli e 35 contrari; un'ora dopo il voto di conferma in Aula, Ford prestò giuramento come Vice Presidente degli Stati Uniti.
Presidenza
modificaFord divenne presidente il 9 agosto 1974, data in cui Nixon rassegnò le dimissioni a seguito del cosiddetto scandalo Watergate.[2] In seguito ricordò che dovette accettare controvoglia quel gravoso incarico. Circa un mese dopo la sua entrata in carica, concesse il "perdono presidenziale" a Nixon: utilizzando un potere previsto dalla Costituzione degli Stati Uniti d'America, Gerald Ford cancellò ogni addebito penale per quanto il predecessore potesse aver commesso di illegale.[2] Fu un provvedimento molto discusso e considerato dai suoi oppositori un aggiramento della Costituzione, tanto che Ford è spesso citato come the man who pardoned Nixon, ossia "l'uomo che graziò Nixon". Ford motivò la sua decisione spiegando che la crisi era conclusa, che Nixon era stato estromesso dal potere e che sarebbe stato inutilmente lacerante per il paese affrontare anni di processi e ricorsi nei confronti di un ex presidente democraticamente eletto.[2] Fu presidente dal 1974 al 1977 e scelse quale vicepresidente il Governatore dello Stato di New York Nelson Rockefeller (figlio e nipote, rispettivamente, degli imprenditori John Davison Rockefeller Jr. e John Davison Rockefeller). Dick Cheney fu il suo Capo di gabinetto. Onesto e dal carattere mite, ma decisamente privo di carisma,[2] il nuovo presidente scelse di mantenere un basso profilo. Oppose il veto a molte leggi promosse dal Congresso a maggioranza democratica.
Alle primarie repubblicane per le elezioni presidenziali del 1976, in contrasto con la consuetudine secondo cui i presidenti che terminano il loro primo mandato in genere si ricandidano direttamente, Ford venne sfidato dal carismatico ex attore e governatore della California Ronald Reagan. Le primarie, comunque vinte da Ford, furono molto combattute e incerte, e quella del 1976 viene ricordata come l'ultima contested convention.[2] Alle elezioni, in cui ebbe come candidato vicepresidente Bob Dole (futuro sfidante di Bill Clinton nelle elezioni del 1996), fu sconfitto da Jimmy Carter. Lyndon B. Johnson, acerrimo rivale di Ford, dichiarò:[13] «Ford non è capace di scorreggiare e masticare una gomma contemporaneamente», riportata poi dai giornalisti con la meno irriverente «Ford non è capace di camminare e masticare una gomma contemporaneamente».[14] Tale frase venne ricordata dalla stampa anche a seguito di un episodio rimasto celebre, avvenuto il 1º giugno 1975, data in cui Ford, appena arrivato presso l'aeroporto di Salisburgo a bordo dell'Air Force One, scivolò e cadde mentre scendeva dalla scaletta del velivolo; in seguito Ford fu protagonista di una seconda caduta in pubblico, suscitando perplessità (anche in campo repubblicano) sul proprio stato di salute.
Dopo la presidenza e morte
modificaDopo aver lasciato la Casa Bianca, si trasferì nel sud della California. Si concentrò sulla scrittura di memorie e libri e sul tenere conferenze. Nel 1982 fu aperta la Ford Presidential Library ad Ann Arbor. Fornì più volte consigli ai successori Carter e Reagan durante i rispettivi periodi di presidenza.
Gerald Ford morì il 26 dicembre 2006, all'età di 93 anni, a Rancho Mirage, in California[2][15]. Dopo le esequie di stato, si svolsero dei servizi commemorativi presso la Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a Washington. Fu sepolto presso il Gerald R. Ford Presidential Museum a Grand Rapids nel Michigan[16][17].
Media
modifica- Della sua esperienza alla Casa Bianca parla il film del 1987 All'ombra della Casa Bianca (The Betty Ford Story) di David Greene, con Gena Rowlands e Josef Sommer, tratto dall'autobiografia di Betty Ford The times of my life[18].
- Nel film The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca compare il suo personaggio.
- Data la fama di presidente "dimenticato", nella commedia Beverly Hills Cop II - Un piedipiatti a Beverly Hills II, lo strambo protagonista afroamericano Axel Foley presenta un suo collega poliziotto quale "l'ex presidente Ford", senza che alcuno possa smentirne l'identità.
- Sempre a proposito di tale fama, nell'episodio Due pessimi vicini di casa (Two Bad Neighbors) della settima stagione dei Simpson, Homer riconosce immediatamente l'ex Presidente Ford, appena trasferitosi vicino a casa sua e sembra subito andarci d'accordo, mentre mostra di non conoscere minimamente George H. W. Bush, trasferitosi prima di Ford vicino a casa Simpson e costretto a traslocare per i continui battibecchi con Homer e Bart[19].
- Nel film Vice - L'uomo nell'ombra (Vice), regia di Adam McKay (2018), Ford è interpretato da Bill Camp.
Onorificenze
modificaOnorificenze statunitensi
modificaOnorificenze straniere
modificaNote
modifica- ^ Il nome gli fu cambiato dopo l'adozione.
- ^ a b c d e f g h Il presidente con una storia da serie tv, su ilpost.it, 26 dicembre 2016. URL consultato il 26 dicembre 2016.
- ^ Young, Jeff C., The Fathers of American Presidents, Jefferson, NC, McFarland & Co., 1997, ISBN 978-0-7864-0182-6.
- ^ a b Funk, Josh, Nebraska-born Ford Left State as Infant, Fox News, 27 dicembre 2006. URL consultato il 2 settembre 2009 (archiviato dall'url originale il 29 aprile 2011).
- ^ James Cannon, Gerald R. Ford, su Character Above All, Public Broadcasting System. URL consultato il 28 dicembre 2006 (archiviato dall'url originale il 26 gennaio 2011).
- ^ Gerald R. Ford Genealogical Information, su Gerald R. Ford Presidential Library & Museum, University of Texas. URL consultato il 28 dicembre 2006 (archiviato dall'url originale il 24 settembre 2015).
- ^ Richard Ford remembered as active steward of President Gerald Ford's legacy, in MLive, 20 marzo 2015. URL consultato il 21 dicembre 2015.
- ^ A Common Man on an Uncommon Climb (PDF), in The New York Times, 19 agosto 1976, p. 28. URL consultato il 26 aprile 2009.
- ^ a b Phillip Kunhardt Jr., Gerald R. Ford "Healing the Nation", New York, Riverhead Books, 1999, pp. 79–85. URL consultato il 28 dicembre 2006 (archiviato dall'url originale il 3 febbraio 2006).
- ^ a b Alvin Townley, Legacy of Honor: The Values and Influence of America's Eagle Scouts, New York, St. Martin's Press, 2007, pp. 12–13 and 87, ISBN 978-0-312-36653-7. URL consultato il 29 dicembre 2006.
- ^ Investigatory Records on Gerald Ford, Applicant for a Commission (PDF), su Gerald R. Ford Presidential Library, 30 dicembre 1941. URL consultato il 18 novembre 2010.
- ^ Gerald Ford: The Man Who Aspired to Become House Speaker, su foxnews.com, 2 maggio 2011. URL consultato il 2 febbraio 2014.
- ^ La caduta di Gerald Ford, su ilpost.it, 12 aprile 2012. URL consultato il 26 dicembre 2016.
- ^ Gerald R. Ford, su independent.co.uk, 21 gennaio 1999. URL consultato il 2 febbraio 2014.
- ^ (EN) Gerald Ford, 38th President, Dies at 93, in The New York Times. URL consultato il 12 gennaio 2023.
- ^ (EN) Ford Is Buried After Thousands in Hometown Pay Respects, in The New York Times. URL consultato il 12 gennaio 2023.
- ^ (EN) National Day of Mourning for President Gerald R. Ford, su The White House. URL consultato il 12 gennaio 2023.
- ^ Un film su Betty Ford: così ho vinto l'alcool, su ricerca.repubblica.it, repubblica.it, 4 marzo 1987. URL consultato il 2 febbraio 2014.
- ^ Episodio 3F09 della settima stagione, dal titolo Due pessimi vicini di casa.
- ^ Assegnata anche alla consorte.
Voci correlate
modificaAltri progetti
modifica- Wikisource contiene una pagina in lingua inglese dedicata a Gerald Ford
- Wikiquote contiene citazioni di o su Gerald Ford
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Gerald Ford
- Wikinotizie contiene l'articolo Gerald Ford è morto, 27 dicembre 2006
Collegamenti esterni
modifica- Ford, Gerald Rudolph, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Ford, Gerald Rudolph, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.
- Ford, Gerald Rudolph, su sapere.it, De Agostini.
- (EN) Gerald Ford, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- Opere di Gerald Ford, su MLOL, Horizons Unlimited.
- (EN) Opere di Gerald Ford, su Open Library, Internet Archive.
- (EN) Opere di Gerald Ford, su Progetto Gutenberg.
- (EN) Audiolibri di Gerald Ford, su LibriVox.
- (EN) Gerald Ford, su IMDb, IMDb.com.
- (EN) Gerald Ford, su AllMovie, All Media Network.
- (EN) Gerald Ford, su Rotten Tomatoes, Fandango Media, LLC.
Controllo di autorità | VIAF (EN) 110300539 · ISNI (EN) 0000 0001 1479 978X · SBN IEIV045654 · LCCN (EN) n79022087 · GND (DE) 118534297 · BNE (ES) XX930701 (data) · BNF (FR) cb124889486 (data) · J9U (EN, HE) 987007261230305171 · NSK (HR) 000075831 · NDL (EN, JA) 00439822 |
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